Centenario della pubblicazione della fondamentale opera di Lenin scritta alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre
Cosa ci dice oggi “Stato e rivoluzione”

Esattamente cento anni fa, tra l'agosto e il settembre 1917, Lenin scriveva quell'opera magistrale che è “Stato e rivoluzione”. Un capolavoro di teoria marxista ispirato dall'esperienza della grande Rivoluzione d'Ottobre che si andava compiendo proprio in quei giorni sotto la sua ferma e lungimirante direzione, e che al tempo stesso ne tracciava il cammino anticipandone i complessi problemi e fornendone le appropriate e inedite risposte.
Con quest'opera, infatti, Lenin si prefiggeva di rispondere a delle domande fondamentali che non erano ancora affatto chiare al movimento operaio internazionale, allora per la maggior parte in mano a partiti e capi borghesi, opportunisti, riformisti e finanche sciovinisti. Domande quali: che cos'è lo Stato, e qual è la sua funzione in una società divisa in classi? Che cosa deve fare il proletariato dello Stato borghese, una volta preso il potere con la rivoluzione? Deve utilizzarlo così com'è a proprio vantaggio, come sostenevano gli opportunisti e i riformisti socialdemocratici, oppure deve distruggerlo e basta, senza bisogno di crearsene uno suo, come predicavano gli anarchici? E se invece il proletariato al potere deve dotarsi di un suo Stato, affatto diverso da quello appena rovesciato, a che condizioni, con quali caratteristiche e in quale prospettiva deve costruirlo?
Questioni oltremodo cruciali e urgenti per Lenin, in preparazione dell'imminente insurrezione bolscevica, per chiarire le idee e gli obiettivi al proletariato e alle masse popolari e per smascherare i menscevichi, i socialisti rivoluzionari e gli altri partiti rinnegati e opportunisti. I quali volevano bloccare le lancette dell'orologio della storia alla rivoluzione democratico borghese del febbraio 1917, sostenendo che i tempi e le condizioni non erano mature per una rivoluzione socialista e continuavano ad appoggiare la borghesia russa ancora al potere (lo “Stato nazionale”) e la partecipazione alla guerra imperialista.
Questioni talmente urgenti e calate nella viva realtà immediata che Lenin, come poi spiegherà nel poscritto alla prima edizione, fu costretto a rinviare al futuro la stesura di un VII capitolo sull'esperienza delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, perché ne fu “impedito” dal precipitare della crisi politica e dalla necessità di guidare l'insurrezione che sarebbe scoppiata di lì a poco: d'altra parte, concludeva con la proverbiale ironia la sua breve nota, “è più piacevole e più utile fare 'l'esperienza di una rivoluzione' che non scrivere su di essa” .

Ristabilire la vera dottrina marxista sullo Stato
Chiarire in maniera approfondita e definitiva la questione dello Stato era importante anche perché Marx ed Engels non l'avevano mai affrontata da sola e in scritti specifici, anche se l'avevano più volte toccata in varie loro opere. Di questo si erano approfittati i dirigenti opportunisti e revisionisti della II Internazionale che si spacciavano per autorevoli marxisti, a partire dall'allora suo capo riconosciuto, Kautsky, per snaturare a destra la dottrina marxista negando la necessità della rivoluzione proletaria e predicando la via riformista, parlamentare e pacifica al socialismo, il quale a suo dire poteva essere realizzato mantenendo intatta e utilizzando l'intera macchina statale borghese. Al punto di spingere il proletariato ad identificare i propri interessi con i rispettivi “Stati nazionali” e a partecipare come carne da cannone al macello imperialista, posizioni che Lenin bollò come social-sciovinismo.
Lenin si assunse quindi il compito di ristabilire la vera dottrina di Marx ed Engels sullo Stato, compiendo una minuziosa ricerca dei loro scritti e interventi sulla questione, e portando il tutto a sintesi, attraverso la mediazione della sua originale esperienza della rivoluzione russa, in questo libro che giustamente il nostro Partito considera una tra le cinque opere fondamentali del marxismo-leninismo e assolutamente da leggere per gli anticapitalisti e i fautori del socialismo. Attraverso l'analisi queste opere, che abbracciano un notevole arco di tempo, Lenin dimostra che Marx ed Engels avevano già capito e chiarito, sia pure non in forma organica e sintetica, tutti i problemi inerenti la questione dello Stato. Soprattutto dopo l'esperienza pratica della Comune di Parigi del 1871, che seppure soffocata nel sangue costituì il primo tentativo di abbattimento dello Stato borghese e di edificazione di uno Stato proletario.
Innanzi tutto, come evidenzia Lenin, essi chiarirono che lo Stato non è quell'entità impersonale, imparziale e al di sopra della società che si vuole far credere: lo Stato nasce con la proprietà privata e la divisione della società in classi, e precisamente è lo strumento della classe dominante, cioè la minoranza degli sfruttatori, per tenere soggiogate le classi subalterne, ovvero la maggioranza degli sfruttati. Per questo compito esso si avvale di uno speciale apparato militare-poliziesco professionale e di una burocrazia di funzionari ben pagati e gerarchicamente strutturati.
“Lo Stato – spiega Lenin interpretando il pensiero di Engels ne “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” – è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili” . “Per Marx – aggiunge Lenin – lo Stato è l'organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la creazione di un 'ordine' che legalizza e consolida questa oppressione” .

La macchina statale borghese va demolita
In secondo luogo il proletariato non può semplicemente impossessarsi della macchina statale borghese già pronta e utilizzarla per i suoi scopi, come predicano gli opportunisti alla Kautsky, ma deve spezzarla e demolirla e sostituirla con il proprio Stato. Questo Stato è la dittatura del proletariato, ossia il proletariato che si organizza in classe dominante: “Tutte le rivoluzioni precedenti non fecero che perfezionare la macchina dello Stato, mentre bisogna spezzarla, demolirla” , sottolinea Lenin parafrasando Marx ne “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”. Lo Stato quindi non si estingue immediatamente con l'abbattimento dello Stato borghese, come vorrebbero idealisticamente gli anarchici, ma continua per un certo periodo, perché c'è bisogno di una macchina statale repressiva per schiacciare la borghesia che cerca sempre di tornare al potere.
Se infatti, spiegava Lenin, nel “Manifesto del Partito comunista” del 1848 la questione dello Stato proletario era posta ancora in forma generica, come “trasformazione del proletariato in classe dominante”, dopo l'esperienza della Comune Marx parla apertamente di dittatura del proletariato. Questo per Lenin è anche il punto cruciale che distingue i veri marxisti dai falsi marxisti e revisionisti alla Kautsky: “Colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non è ancora un marxista... Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato , chiarisce il padre della Rivoluzione d'Ottobre.
Ma è un punto cruciale che distingue i marxisti anche dagli anarchici, che considerano liberticida la dittatura del proletariato. Invece la macchina statale proletaria non ha niente a che vedere con quella oppressiva borghese, anche mascherata da Stato parlamentare “democratico”. Perché quest'ultima serve a garantire il dominio di una minoranza di sfruttatori sulla maggioranza della società, mentre la dittatura del proletariato serve a garantire il dominio della maggioranza del popolo contro la minoranza spodestata che altrimenti cercherà sempre di ritornare al potere. In questo senso la dittatura del proletariato è una democrazia reale, e segna l'inizio di quell'estinzione progressiva dello Stato che gli anarchici vorrebbero fosse immediata.
E come è fatta e si articola la macchina statale proletaria? Anche qui i due fondatori del socialismo scientifico erano stati lungimiranti, avendo individuato nella pur sfortunata esperienza della Comune il giusto modello da seguire: all'apparato militare e poliziesco professionale dello Stato borghese il proletariato sostituisce l'intero popolo degli sfruttati in armi. E al posto del vecchio apparato burocratico borghese di funzionari privilegiati e corrotti, che sarà demolito dalle fondamenta, il proletariato creerà un nuovo apparato, “che sarà composto - dice Lenin avendo ormai in mente il modello concreto dei Soviet – dagli stessi operai e dagli stessi impiegati; e contro il pericolo che anch'essi diventino dei burocrati, saranno immediatamente prese le misure minuziosamente studiate da Marx e da Engels: 1) non soltanto eleggibilità ma anche revocabilità in ogni istante; 2) stipendio non superiore al salario di un operaio; 3) passaggio immediato a una situazione in cui tutti assumano le funzioni di controllo e di sorveglianza, in cui tutti diventino temporaneamente dei 'burocrati', e quindi nessuno possa diventare un 'burocrate” .

Piena attualità di “Stato e rivoluzione”
Perciò, se ci si domanda se “Stato e rivoluzione” è valida ancora oggi la risposta è: sì, al cento per cento. In questa meravigliosa opera di Lenin non c'è nemmeno un rigo di caduco o di superato, e ancora oggi la sua lettura ci apre l'orizzonte e riesce a dissipare, con rigorosa chiarezza geometrica, la nebbia di menzogne e di retorica con cui la classe dominante borghese ammanta il suo “Stato democratico”, mostrandoci il suo vero volto di strumento di repressione e oppressione di classe. Anche perché non esiste una nuova “teoria” dello Stato, al di fuori delle due già battute in breccia in “Stato e rivoluzione” - quella opportunista, riformista e revisionista di destra alla Kautsky, e quella anarchica o di “ultrasinistra” (autorganizzazione, ecc.) - che possa contrapporsi oggi alla rigorosa e inconfutabile analisi di Lenin.
Per quanto più complessa di allora appaia la società borghese nel moderno sistema capitalistico, le sue basi di classe sono sempre le stesse, e per quanto più sofisticata appaia la sua democrazia parlamentare, ancora oggi Lenin le smaschera entrambe con queste parole lapidarie: “Noi siamo per la repubblica democratica (rispetto all'assolutismo zarista di allora, ndr) in quanto essa è, in regime capitalista la forma migliore di Stato per il proletariato, ma non abbiamo il diritto di dimenticare che la sorte riservata al popolo, anche nella più democratica delle repubbliche borghesi, è la schiavitù salariata” .
Come non riconoscere ancora oggi la forza persuasiva di questa semplice ma incontestabile verità? E come non riconoscere la verità, ampiamente dimostrata dall'esperienza pratica dei governi della “sinistra” borghese, delle parole di Lenin che descrive la repubblica democratica borghese come “il miglior involucro politico possibile per il capitalismo” , perché su questo involucro “fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” ?

Stare all'opposizione del governo e dello Stato borghesi
“Stato e rivoluzione” insegna quindi oggi al proletariato a stare fermamente all'opposizione del governo e delle istituzioni borghesi, ad abbandonare le illusioni elettorali, parlamentari, governative, costituzionali, riformiste e pacifiste, e a contare solo sulla lotta di classe per difendere le sue condizioni di vita e di lavoro e i suoi obiettivi di classe a breve e a lungo termine; il più strategico dei quali, che li riassume tutti, è il socialismo. Per indebolire, disgregare e delegittimare lo Sato borghese, oggi l'arma elettorale da usare è l'astensionismo concepito come un voto dato al PMLI e al socialismo, non il partecipazionismo elettorale. Ciò vale sia per le elezioni regionali siciliane di novembre, sia per elezioni politiche del prossimo anno.
“Stato e rivoluzione” ci insegna anche che nel corso della lotta di classe quotidiana occorre educare il proletariato e le masse popolari, seguendo le indicazioni del Partito del socialismo, a organizzarsi al di fuori e contro lo Stato borghese, per prepararsi a prendere il potere, demolire la macchina statale borghese e instaurare la dittatura del proletariato, cominciando già da oggi col costruire dal basso delle proprie istituzioni rappresentative che siano fondate sulla democrazia diretta, l'eleggibilità e la revocabilità dei suoi delegati, come al tempo di Lenin avveniva per i Soviet.
Questo è anche ciò che il PMLI rivendica con la sua proposta di costruzione delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari ad ogni livello territoriale, questi ultimi formati dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati delle masse, eleggibili fin dall'età di 16 anni e con pari rappresentanza tra uomini e donne, ed eletti con voto palese e con mandato revocabile in qualunque momento.
Ma soprattutto “Stato e rivoluzione” ci dice ancora oggi che o si sta con il capitalismo o si sta con il socialismo, con lo Stato borghese (dittatura della borghesia) o con la dittatura del proletariato: una scelta diversa non esiste, come la gloriosa Rivoluzione d'Ottobre ha dimostrato cento anni fa a tutto il mondo e alla storia.

30 agosto 2017