La verità sulla Brigata ebraica, strumento del sionismo e dell'imperialismo inglese
No all'introduzione del simbolo sionista della stella di Davide tra i simboli della Resistenza
La medaglia d’oro al valor militare alla Brigata ebraica è un oltraggio alla Resistenza

Lo scorso 20 maggio la Commissione Difesa della Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la proposta di legge n. 3187 che ha come finalità la concessione, da parte del Presidente della Repubblica, della medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza a quello strumento del sionismo e dell’imperialismo inglese che è stata la Jewish Infantry Brigade Group , meglio conosciuta come Brigata ebraica, che combattè, peraltro pochissimo, in Italia durante l’ultimo mese di guerra, tra il marzo e l’aprile del 1945.
Hanno assunto tale iniziativa i seguenti deputati: per il PD Lia Quartapelle Procopio (membro della Commissione trilaterale nella quale i sionisti hanno da sempre un’influenza notevole), Emanuele Fiano (ebreo e sionista), Maria Amato, Tiziano Arlotti, Marco Bergonzi, Giuseppe Berretta, Sabrina Capozzolo, Piergiorgio Carrescia, Diego Crivellari, Carlo Dell’Aringa, Marco Di Maio, Vittoria D’Incecco, Gianluca Fusilli, Gero Grassi, Chiara Gribaudo, Vanna Iori, Daniele Montroni, Sara Moretto, Alessandro Naccarato, Giulia Narduolo, Fabio Porta, Francesco Prina, Giuseppe Romanini, Anna Rossomando, Chiara Scuvera, Alessio Tacconi, Valeria Valente, Simone Valiante, Walter Verini, Sandra Zampa e Diego Zardini; per Alternativa Popolare Fabrizio Cicchitto; per Articolo 1 Luigi Lacquaniti, Michele Mognato e Arturo Scotto; infine, per Democrazia Solidale - Centro Democratico Milena Santerini.
La relazione di accompagnamento al progetto di legge sostiene: “proprio la situazione attuale ci porta a chiedere di preservare il ricordo di chi, sopravvissuto al progetto di eliminazione totale, con la divisa della cosiddetta Brigata ebraica, tra le rovine fumanti dell’Italia del 1945 fece cessare il crepitio delle armi. Questo stesso gruppo di giovani si dedicò al recupero della dignità della vita attraverso il soccorso fisico, educativo e morale, attuando un’operazione, che oggi chiameremmo di search and rescue (ricerca e salvataggio, ndr), destinata alle persone, alla cultura e al sentimento religioso ”. Composta in gran parte da militanti provenienti soprattutto dalle bande criminali dell’Irgun, dell’Haganah, della Banda Stern che già molti anni prima del 1945 avevano flagellato la Palestina con rapine e massacri di ogni tipo ai danni sia della popolazione araba sia degli stessi ebrei che prendevano le distanze dal sionismo.
La Brigata ebraica ebbe in realtà un ruolo marginalissimo nella Resistenza ed essa deve essere definita come Brigata sionista, ossia proveniente da quello stesso ambiente ideologico impregnato di quella forma di violento nazionalismo che nulla ha da invidiare, quanto a ideologia, metodi e prassi, al nazismo tedesco, al fascismo italiano e al nazionalismo giapponese (sul fenomeno del sionismo, dei crimini dello Stato di Israele e sull’opposizione al sionismo all’interno del mondo ebraico si veda, da ultimo, un ampio ed esaustivo articolo pubblicato su Il Bolscevico n. 22 dell’8 giugno 2017).
Ricordando i concetti espressi dal giurista polacco di religione ebraica Raphael Lemkin (1900-1959) nella relazione si continua a leggere che “egli si preoccupava del fatto che la guerra non finisse solamente con una vittoria sul campo da parte degli alleati, ma con la celebrazione di processi in tribunali internazionali, che stabilissero come uno Stato sovrano non dovesse essere promotore di leggi discriminatorie. Tra gli imputati, accanto alla Germania, Lemkin indicava l’Italia, che aveva promulgato le leggi razziali, che aveva costituito un proprio sistema di campi di concentramento, che dopo l’8 settembre divenne terra di delazioni, persecuzioni, rastrellamenti ai danni di cittadini ebrei sulle rive del Lago Maggiore, a Roma, e ai valichi di confine verso la Svizzera e che aveva adibito raggi delle case circondariali a luoghi di raccolta per i deportandi verso i campi di sterminio nazionalsocialisti ”.
Va fatta però una precisazione a proposito di ciò che dichiara Lemkin, e che i deputati relatori evidentemente condividono, a proposito delle responsabilità, genericamente attribuite alla “Germania ” e all’”Italia ” nella persecuzione degli ebrei e di tutti gli altri perseguitati: infatti tale responsabilità non fu dei rispettivi popoli bensì fu solo ed esclusivamente del regime nazista al potere in Germania e di quello fascista al potere in Italia.
Quanto alle masse popolari che subirono la dominazione nazifascista, esse furono le vittime di tali regimi e furono oggetto di atti vessatori che vanno a braccetto con le norme che colpirono i cittadini ebrei di tali paesi: si pensi ai massacri operati nelle colonie italiane, in Libia ed Etiopia, dalle forze di polizia e da quelle militari per stroncare i moti indipendentisti, che fecero in totale alcune centinaia di migliaia di morti, si pensi al giogo medievale che colpì i lavoratori tedeschi e italiani con l’istituzione del regime corporativo, che fece retrocedere le condizioni lavorative di secoli, vanificando altrettanti secoli di lotte sindacali.
Fu la Resistenza al nazifascismo che, attiva in Italia e, in misura minore, anche in Germania, dimostrò al mondo a guerra finita che la responsabilità dello sterminio degli ebrei ricadeva solo ed esclusivamente sui regimi nazifascisti e su coloro che li sostennero e appoggiarono.
Del resto Lemkin, preoccupato giustamente dei morti ebrei, non sapeva al momento della pubblicazione del suo testo nel 1944 - mentre gli zelanti deputati firmatari della proposta legislativa non possono non saperlo, che i maggiori stermini di popolazione civile durante la seconda guerra mondiale avvennero, ad opera delle truppe nazifasciste dell’Asse.
Assodato quindi il fatto che la Resistenza dimostrò al mondo che il popolo italiano e quello tedesco in quanto tali sono innocenti, in quanto essi stessi vittime di regimi criminali, del sangue degli ebrei, non bisogna dimenticare che oltre un migliaio di italiani di origine ebraica si unirono alle formazioni partigiane combattenti o comunque parteciparono attivamente alla Resistenza clandestina contro il nazifascismo tra il 1943 e il 1945 insieme ad altri italiani, o comunque insieme ad altri combattenti contro la tirannide nazifascista. Afferma Leo Valiani, italiano di origini ebraiche e dirigente del Comitato di Liberazione Alta Italia, il quale mai nulla ha avuto a che fare con il sionismo, che “gli ebrei in quanto tali avevano particolari ragioni per militare nelle file partigiane ” aggiungendo che “non vi fu un antifascismo specificamente ebraico, non vi fu una lotta partigiana specificamente. Tutti si battevano per l’avvenire della comune patria italiana, sapendo che il destino degli ebrei era inseparabile da quello dell’Italia libera e democratica ”.

Il ruolo degli ebrei e dei sionisti
È quindi chiaro che gli ebrei italiani hanno dato il loro contributo innegabile alla Resistenza insieme ai loro connazionali non ebrei, in un comune sforzo popolare antifascista che ha visto le masse popolari, gli intellettuali, uomini e donne delle più disparate fedi politiche e religiose uniti in uno sforzo comune nel fronte unito contro il nazifascismo.
Se quindi l’onore del popolo italiano è stato pienamente ristabilito dalla Resistenza alla quale, come si è visto, parteciparono anche ebrei italiani, perché richiedere a gran voce un riconoscimento formale per la Brigata ebraica?
Nel prosieguo della relazione di accompagnamento al progetto di legge si può intuire la risposta, in quanto, scrivono i deputati proponenti, “composta da giovani volontari ebrei provenienti dalle terre del Mandato britannico in Palestina, la Brigata aveva peculiari mostrine e bandiera, che riscattavano la stella di Davide dall’essere ricordata in Europa come ‘marchio d’infamia’ imposto dai nazisti sugli abiti degli ebrei delle terre occupate in Polonia già dal 1939. Oltre al simbolo divenuto vessillo di orgoglio e di sopravvivenza, il fatto che tutti i suoi soldati fossero ebrei del Mandato britannico in Palestina la portò a essere ricordata come la Brigata ebraica, così chiamata ancora oggi nei trattati di storiografia e nella memorialistica. Forse proprio la tutela del ricordo dei soldati orgogliosi di vedersi ricordare come membri della Brigata ebraica può diventare una sorta di parziale risarcimento morale per quanto fatto dall’Italia del ventennio e della Repubblica sociale italiana (RSI) contro una parte dell’umanità resa nei fatti e nelle leggi ‘colpevole di esistere’ ”.
Il chiaro riferimento al simbolo della stella di Davide utilizzato dalla Brigata indica chiaramente che la proposta di legge non ha certo lo scopo di rendere onore alla Resistenza degli ebrei.
In realtà i deputati proponenti vogliono semplicemente introdurre tra i simboli della Resistenza il simbolo sionista, e, di conseguenza, introdurre il principio aberrante che l’ideologia sionista, rappresentata dalla stella di Davide, possa essere accolta con dignità e onore dagli italiani nel seno di quei valori che storicamente animarono la Resistenza stessa, ma questo, come si è detto, è inaccettabile.
Esattamente come hanno fatto i nazisti con l’antichissimo simbolo della svastica o i fascisti con il fascio littorio in uso nell’antica Roma, i sionisti hanno adottato come loro bandiera un antico simbolo ebraico, che però accostato ad essi e ai crimini mostruosi da essi compiuti diviene un simbolo di oppressione e di morte esattamente come la svastica e il fascio littorio, perché il sionismo altro non è che una ideologia assimilabile a quelle nazifasciste del secolo scorso, per cui deve essere negato ogni accostamento con la Resistenza antifascista a un simbolo, quello sionista, che sintetizza una ideologia aberrante, un nazionalismo esasperato simile a quello nazifascista.
Nel prosieguo della relazione di accompagnamento si legge che “negli eserciti alleati combattevano già soldati ebrei, ma come cittadini dello Stato di origine. Nulla li caratterizzava come appartenenti a quella che i nazionalsocialisti e i fascisti avevano identificato una cittadinanza a parte, poiché di razza inferiore. Eppure nei territori del Mandato britannico in Palestina già dallo scoppio della seconda guerra mondiale si alzò la richiesta da parte dei giovani ebrei di potere combattere contro gli eserciti dell’Asse, mantenendo una propria peculiarità e identità ”.
I deputati proponenti finalmente si smascherano, poiché chiariscono che il vero scopo della loro macchinazione provocatoria è quello di accostare il sionismo e i suoi simboli alla Resistenza con cui esso nulla ha mai avuto a che fare, e rispetto ai loro propositi essi sono quasi dispiaciuti che centinaia di migliaia di ebrei abbiano combattuto, quali cittadini dei Paesi di origine, negli eserciti regolari (solo nelle forze armate sovietiche gli ebrei furono non meno di trecentomila militari e oltre un centinaio tra generali e ammiragli), il che significa che la stragrande maggioranza degli ebrei che vivevano nei Paesi non dominati da regimi nazifascisti decisero di lottare insieme al resto dei propri concittadini, e che con il sionismo nulla avevano a che fare.
La relazione di accompagnamento poi ricorda che la Brigata ebraica fu costituita dalle autorità britanniche il 20 settembre 1944 nel territorio della Palestina, che allora era governato dal Regno Unito su mandato della Società delle Nazioni, che essa fu composta da circa cinquemila volontari ebrei, che tale corpo fu inserito nell’esercito britannico come parte integrante, pur con una propria bandiera con la stella di Davide, e che, sbarcata in Italia nel novembre 1944, seguì il resto dell’esercito inglese fino alla provincia di Ravenna, dove entrò in azione a partire dal 19 marzo 1945, quando ebbe il battesimo del fuoco contro i tedeschi, che furono sconfitti.
Quindi, prosegue la relazione di accompagnamento, la Brigata si distinse “combattendo, ma soprattutto facendo tornare alla vita lo spirito della comunità ebraica, ricercando i superstiti e tornando a fare parlare la lingua e la cultura che i nazionalsocialisti e i loro alleati avrebbero voluto cancellare dalle pagine della storia ”.
Qui i relatori peccano sia di imprecisione sia di falsità: di imprecisione, in quanto non solo la ricerca degli ebrei superstiti in territorio italiano da parte della Brigata non risulta minimamente attestata da alcuna fonte, ma addirittura risulta difficilmente compatibile con le funzioni prettamente militari per le quali il corpo era stato costituito, inoltre, poiché gli italiani di religione ebraica hanno sempre storicamente parlato solo ed esclusivamente la lingua italiana o i dialetti locali come il resto della popolazione mentre la Brigata ebraica era composta quasi esclusivamente da ebrei immigrati dall’Europa orientale (che parlavano, oltre alle lingue di origine, l’yiddish o l’ebraico moderno e che avevano il rito religioso askenazita mentre gli ebrei italiani hanno da sempre il rito italiano), non si comprende come tale reparto militare abbia contribuito “a fare parlare la lingua e la cultura ” a persone (gli ebrei italiani) che già avevano la loro lingua e la loro cultura religiosa, entrambi differenti rispetto a quella degli appartenenti alla Brigata.
Si tratta, come si vedrà, di una vera e propria mistificazione della storia, in quanto semmai la Brigata ebraica (confermando in questo pienamente la radice ideologica sionista che è contrapposta al sentimento nazionale che la stragrande maggioranza degli ebrei sparsi per il mondo nutrivano e nutrono tuttora per il Paese in cui vivono e del quale sono cittadini) aiutò numerosi ebrei a spostarsi in Palestina, organizzando una vera e propria rete illegale con lo scopo di favorire l’emigrazione clandestina in Palestina di quanti più ebrei possibile.
A guerra finita - continua la relazione - la Brigata ebraica non si perse nella realizzazione della vendetta nei confronti dei carnefici, come auspicato da molti Governi alleati, ma scelse di effettuare numerose azioni di ricerca e messa in salvo dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazionalsocialisti. Dalla Germania e dall’Austria essi li condussero, attraverso il Tarvisio, a luoghi dove furono ricoverati e aiutati nella ripresa della vita quotidiana. Questo loro compito ne fece anche degli esempi positivi per i giovani ebrei sopravvissuti, che presero parte alle attività e iniziarono a guardare all’emigrazione verso le terre del Mandato britannico in Palestina come a una nuova rinascita. Così, deposte le armi impugnate negli scontri fino alla fine della campagna di liberazione in Italia, gli uomini della Brigata ebraica divennero operatori di pace, educatori di libertà e di rinascita custodite nei libri, insegnate dalla Torà e dagli ideali dello scoutismo sionista socialista ”.
Anche qui i deputati si sbagliano, in quanto gli appartenenti alla Brigata ebraica, lungi dall’astenersi da vendette, le perpetrarono in modo sistematico, da bravi sionisti, con quella stessa violenza arbitraria che avevano usato fino a pochi mesi prima contro gli arabi, e, con lo stesso spirito sionista, essi - lungi dall’aiutare gli ebrei europei a reintegrarsi nei luoghi dove avevano sempre vissuto - li incoraggiarono sistematicamente a stabilirsi in Palestina, organizzando il loro trasferimento clandestino in violazione delle stesse leggi italiane.
Quanto al riferimento agli “ideali dello scoutismo socialista ” che i membri della Brigata avrebbero professato, si ricordi che l’Haganah, l’Irgun e la Banda Stern, nelle quali moltissimi di loro militavano (e nelle quali avrebbero ripreso a militare attivamente dopo il loro ritorno in Palestina), non possono essere considerate né associazioni scoutistiche né possono essere minimamente associate a qualsiasi partito socialista, in quanto furono organizzazioni criminali che all’epoca della campagna d’Italia si erano già rese responsabili di decine di migliaia di morti innocenti, la cui ferocia non aveva nulla da invidiare a quella delle SS naziste contro le quali essi combatterono, per cui tale farneticante accostamento sia allo scoutismo sia al socialismo risulta, più che menzognero, addirittura beffardo e grottesco, oltre che lesivo della memoria di tante vittime innocenti, arabe e non solo.

Perché non può essere giuridicamente conferita la medaglia d'oro
Del resto, a confermare il fatto che tale proposta di legge, finalizzata al conferimento della medaglia d’oro per la Resistenza a tale reparto militare, sia una forzatura anche da un punto di vista giuridico, l’articolo 1 della proposta legislativa stabilisce che tale onorificenza sia concessa dal Presidente della Repubblica “in deroga a quanto stabilito dall’articolo 1416 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, relativo alla presentazione di proposte di onorificenze al valor militare ” e stabilisce altresì che debba essere concessa in quanto la Brigata ebraica “offrì un notevole contributo per la liberazione della patria e nella lotta contro gli invasori nazisti ”.
L’articolo 1416 del codice dell’ordinamento militare dispone testualmente che “per i militari in servizio l’iniziativa della proposta può essere presa dal superiore immediato, o da altro superiore più elevato. Le proposte, corredate da tutti i documenti necessari per comprovare la realtà e le circostanze del fatto e per porre in evidenza tutti gli elementi del valore, sono avanzate per la via gerarchica, onde le autorità superiori possano esprimere il proprio parere. Esse sono trasmesse al Ministero competente entro il termine perentorio di sei mesi dalla data del fatto, salvo che ricorrano particolari e giustificati motivi, nel qual caso il detto termine è prolungato fino a nove mesi. Nelle proposte e nelle concessioni di decorazioni al valor militare sono tenute presenti le disposizioni dell’articolo 1425, circa i casi in cui si incorre nella perdita di diritto o discrezionale di esse ”.
Ci sono quindi tre motivi perentori di carattere squisitamente giuridico, in ossequio ai quali in base alla legislazione vigente non può e non deve essere conferita alla Brigata ebraica alcuna onorificenza militare da parte della Repubblica italiana: il primo è che la Brigata ebraica non fa parte delle Forze armate italiane ma è un contingente militare di uno Stato estero, il secondo è che risulta impossibile individuare un superiore gerarchico che possa richiedere tale onorificenza in quanto tale contingente è stato sciolto da oltre settanta anni e non esiste più, il terzo è che sono passati settantadue anni dalla fine della campagna d’Italia, ben più del termine massimo di nove mesi dall’atto militare degno di segnalazione, entro i quali il superiore gerarchico deve perentoriamente richiedere il conferimento di una qualsiasi onorificenza.
La proposta di legge menzionata quindi vuole ovviare all’impedimento della legge ordinaria, in quanto, qualora approvata, diventerebbe una legge speciale che può derogare alla legislazione ordinaria: è evidente già da ciò che si tratta di una forzatura della legislazione vigente in tema di onorificenze militari, e anche la motivazione prevista nella proposta di legge, ovvero che la Brigata “offrì un notevole contributo per la liberazione della patria e nella lotta contro gli invasori nazisti ”, risulta una gigantesca e macroscopica strumentalizzazione, in quanto essa operò attivamente soltanto in un limitatissimo settore del fronte nell’ultimo mese di guerra, quando le forze nazifasciste erano ormai praticamente sconfitte.
Quindi è chiaro che tale proposta di legge costituisce, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista giuridico, una inaccettabile provocazione, che inserisce nella Resistenza italiana un elemento ad essa totalmente estraneo (non si trattò di partigiani bensì a tutti gli effetti del reparto coloniale di un esercito alleato, come le truppe marocchine sotto il comando francese o quelle indiane sotto comando inglese), del tutto inconsistente dal punto di vista militare e per di più dai contenuti ideologici schiettamente sionisti che sono assolutamente incompatibili con i valori della Resistenza.
Sono alcuni anni che la bandiera della sionista Brigata ebraica, della quale in oltre 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale nessuno aveva mai parlato, vuole essere intrufolata abusivamente nei cortei di commemorazione del 25 Aprile soprattutto a Roma, dove la locale Comunità ebraica è dominata da oltre vent’anni dalle organizzazioni sioniste finanziate direttamente da Israele, che mettono a tacere anche con metodi squadristi quei tanti appartenenti alla Comunità, come gli appartenenti alla Rete Ebrei contro l’Occupazione che rivendicano pienamente la loro esclusiva appartenenza al popolo italiano, si oppongono fermamente allo Stato di Israele e al sionismo e lottano per la liberazione della Palestina.
Tali prese di posizione violente e fanatiche a favore del sionismo hanno creato tensione, all’interno del mondo ebraico italiano, non soltanto all’interno della Comunità ebraica romana, ma anche tra quest’ultima e le altre venti Comunità italiane, nelle quali l’elemento sionista, pur presente, non possiede neppure lontanamente quell’organizzazione che c’è a Roma.
La posizione della Comunità ebraica di Roma sulla Brigata ebraica ha poi cominciato a essere appoggiata, a cominciare dall’allora PDL berlusconiano e ora dal PD renziano al punto da venire attribuita a tale formazione militare un ruolo di assoluta protagonista della Resistenza italiana, un rilievo che ovviamente essa non ha neanche minimamente avuto.

La vera storia della sionista Brigata ebraica
Nel 1939 - alla fine della grande rivolta degli arabi che, esasperati dalle sistematiche vessazioni che i sionisti, appoggiati fino a quel momento dall'imperialismo inglese, infiammò la Palestina tra il 1936 e il 1939 e che fu soffocata nel sangue, più che dai soldati inglesi, dalle organizzazioni paramilitari sioniste dell’Irgun e dell’Haganah - il governo britannico aveva pubblicato un Libro bianco che, timoroso di ulteriori rivolte da parte degli arabi, ridefiniva in senso molto più restrittivo la propria politica di immigrazione ebraica in Palestina, regione che la Gran Bretagna controllava dal primo dopoguerra su mandato della Società delle Nazioni.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, quindi, i rapporti tra l’Agenzia ebraica - ossia l’organizzazione politica dei sionisti in Palestina - e il governo britannico erano tesi, in quanto gli imperialisti inglesi compivano un vero e proprio capovolgimento della loro politica, fino a quel momento favorevole all’immigrazione degli ebrei.
David Ben Gurion e Chaim Weizmann, che erano in quel momento a capo dell’Agenzia, capirono d’altra parte da subito che promettere un sostegno militare agli inglesi, nella lotta contro la Germania nazista, attraverso la costituzione di reparti militari ebraici avrebbe rafforzato la coscienza nazionale sionista degli ebrei che risiedevano in Palestina e fornito alle bande armate sioniste in Palestina che già operavano in Palestina - le principali delle quali erano l’Haganah, l’Irgun e a partire dal 1940 la Banda Stern, composte anche da criminali comuni e responsabili, tra l’altro, di sistematiche rapine ai danni soprattutto delle popolazioni arabe ma anche ai danni degli ebrei critici verso il sionismo - un ulteriore addestramento militare, soprattutto per ciò che riguardava l’uso delle armi pesanti.
Inoltre, secondo i calcoli dell’Agenzia, tale atteggiamento dei sionisti avrebbe rappresentato un ottimo viatico affinché, dopo l’eventuale vittoria britannica nella guerra appena scoppiata, la comunità internazionale accettasse la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina.
Per questo Ben Gurion e Weizmann proposero al governo britannico la costituzione di reparti militari composti esclusivamente da ebrei che risiedevano in Palestina: all’inizio gli inglesi rifiutarono, ma, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia nel giugno 1940 e l’apertura del fronte nordafricano, le truppe tedesche e italiane stanziate in Libia arrivarono a minacciare seriamente tra il 1941 e il 1942 l’Egitto, protetto dagli inglesi, per cui solo a metà del 1942 il governo britannico accettò di costituire 15 battaglioni di ebrei palestinesi, inquadrate tra le truppe coloniali del Commonwealth britannico, per rafforzare la difesa egiziana e per prevenire una eventuale invasione del Medio Oriente.
Come quindi è chiaro, i sionisti si misero in moto militarmente non tanto per combattere il nazifascismo in Europa, bensì per rafforzare militarmente la presenza sionista in Palestina tramite un addestramento all’uso di armi pesanti e, a partire dal 1942, per contribuire a impedire che gli eserciti tedesco e italiano potessero, attraverso le vittorie egiziane, minacciare il territorio della Palestina, dove vivevano e dove, peraltro, era vietato agli arabi il porto di qualsiasi tipo di arma dopo la fine della rivolta, per cui ebrei e inglesi sarebbero rimasti gli unici difensori.
Le sorti della guerra, nel frattempo, volgevano a favore degli alleati, e nel luglio 1943 era iniziata la campagna d’Italia ad opera delle forze angloamericane che, sbarcate in Sicilia, risalirono gradualmente la penisola ed ebbero un disperato bisogno di uomini, soprattutto prima di affrontare le fortificazioni della Linea Gotica che erano installate sull’Appennino settentrionale, da Pesaro a Marina di Massa, e precludevano l’avanzata angloamericana verso l’Italia settentrionale.
Fu così che nel luglio 1944 (circa un mese prima dell’inizio delle operazioni contro la Linea Gotica le cui operazioni iniziarono con l’attraversamento del fiume Metauro il 25 agosto 1944) il governo inglese decise la costituzione della Jewish Infantry Brigade Group come reparto volontario di fanteria che sarebbe poi stato inquadrato nella VIII Armata Britannica che operava in Italia, con l’organico iniziale di poco meno di 5.000 uomini (tre battaglioni di fanteria, un reggimento di artiglieria leggera e altri reparti di supporto) e che si costituì il 20 settembre 1944 sotto il comando del brigadiere generale canadese Ernest Frank Benjamin e sotto la bandiera britannica.
Dopo un veloce addestramento in Egitto e Cirenaica, il 31 ottobre 1944 la Brigata fu imbarcata su due navi nel porto di Alessandria d’Egitto e trasferita in Italia al porto di Taranto, nel territorio italiano già liberato dagli alleati, dove sbarcò due giorni più tardi. L’esercito inglese non vedeva di buon occhio il fatto che militari ebrei sionisti provenienti dalla Palestina occupassero posizioni di comando nella Brigata, ma la banda armata sionista dell’Haganah, un gruppo paramilitare che raccoglieva anche delinquenti comuni di origine ebraica fuggiti in Palestina durante gli anni Venti e Trenta da vari Paesi Europei per non dover scontare le condanne in patria (qualcosa di simile alla Legione Straniera), creò all’interno della Brigata una sua struttura segreta di comando in totale contrasto con la normativa militare britannica, struttura illegale che venne alla luce solo a guerra finita (si veda a tal proposito Howard Blum, La Brigata. Una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, Il Saggiatore, 2005).
Nei due mesi successivi la Brigata sionista continuò il suo addestramento in Irpinia, schierandosi sul fronte adriatico, per essere poi inquadrata, il 26 febbraio 1945, nell’VIII Corpo d’Armata Britannico, il 1° marzo 1945 fu schierata sulla linea del fronte nei pressi di Alfonsine in Romagna e combatté sotto la bandiera britannica a fianco della divisione Friuli del Corpo italiano di Liberazione e della terza divisione del Corpo di armata polacco.
La prima azione di combattimento alla quale partecipò si svolse solo il 19 marzo 1945, quando partecipò con le altre truppe alleate alle operazioni di sfondamento della linea gotica presso il fiume Senio in provincia di Ravenna, partecipando ai combattimenti di Alfonsine (19 e 20 marzo 1945) e alla Battaglia dei tre fiumi (9 e 10 aprile 1945) che avrebbe determinato il definitivo sfondamento della Linea gotica.
Il 3 aprile a Brisighella fu consegnata per la prima volta alla Brigata la bandiera azzurra e bianca con la stella di Davide gialla.
La Brigata ebraica partecipò anche a operazioni militari minori in Emilia Romagna, a Cuffiano, Riolo Terme, Imola, Ossano e Monte Ghebbio, per poi raggiungere Bologna il 21 aprile insieme al resto delle truppe alleate.
La Brigata, in tutti i combattimenti ai quali partecipò, ebbe complessivamente 42 caduti.
Negli ultimi giorni della guerra in Europa, e precisamente il 2 maggio, la Brigata ebraica venne dislocata nella zona di Tarvisio, dove si dedicò a due attività, la prima illegale e l’altra addirittura criminale, ossia il sostegno alla emigrazione clandestina di ebrei verso la Palestina.
Nel luglio del 1946, sia per la fine delle ostilità in Europa sia a causa della tensione crescente in Palestina, il governo inglese decise di procedere al suo scioglimento, e così la Brigata fu disarmata e i suoi membri rimpatriati in Palestina.
Moltissimi dei 5.500 soldati della Brigata provenivano soprattutto dall’Haganah, ma anche dall’Irgun e dalla Banda Stern, organizzazioni che già si erano contraddistinte per spietate azioni terroristiche ai danni degli arabi e degli ebrei critici contro il sionismo ai tempi della Grande rivolta araba tra il 1936 e il 1939, e che, tornati in Palestina con ulteriore addestramento militare, furono protagonisti tra il 1947 e il 1948 della più spietata fase della pulizia etnica della Palestina ai danni degli arabi, oltre che di spietati atti di terrorismo, come quello contro l’ambasciata britannica a Roma nel 1947 dove l’Irgun fece scoppiare una devastante bomba.
Tra i 5.500 membri della Brigata sionista, dei quali nessuno risulta ancora in vita, non risulta esserci stato alcun ebreo italiano o di origine italiana.
Molti dei membri della Brigata, quando si formò lo Stato di Israele, fecero la carriera militare nell’esercito sionista israeliano raggiungendo alti gradi, e ben trentacinque di essi diventarono generali.

Il vero scopo di Renzi, Mattarella e Gentiloni
Il motivo per cui i sionisti vogliono inserire con insistenza, da alcuni anni a questa parte, il simbolo di una Brigata che fu, come si è visto, un’organizzazione sionista utilizzata come truppa coloniale dagli imperialisti britannici che erano a corto di uomini, non è di mettere in luce il contributo degli ebrei nella lotta partigiana, perché da quando si iniziò a celebrare la festa del 25 Aprile la presenza di singoli ebrei o di loro rappresentanze è stata sempre accolta a braccia aperte da tutti i sinceri democratici, tra cui noi marxisti leninisti.
È infatti con commozione che bisogna ricordare il contributo dei tanti ebrei italiani alla Resistenza, a cominciare da quel martire partigiano che fu il triestino Eugenio Curiel, morto nel febbraio 1945, a soli 32 anni.
Il loro contributo alla liberazione fu, in proporzione al loro numero esiguo, superiore a quello degli italiani non ebrei: su 43.000 ebrei censiti nel 1943 dal regime fascista, oltre mille furono i partigiani combattenti, che aderirono soprattutto alle Brigate Garibaldi e a Giustizia e Libertà, e tra essi un centinaio sono caduti.
Essi non diedero mai vita a formazioni partigiane contraddistinte da simboli o stemmi ebraici, in quanto si unirono, da italiani e da antifascisti, ai loro connazionali che provenivano anche essi da molte diverse regioni e città d’Italia, tutti uniti in un’unica lotta popolare nel nome dell'antifascismo.
La Brigata sionista ha poco a che fare con la storia della Resistenza: oltre a tutto il resto, essa era inquadrata nell'esercito inglese ed ebbe un ruolo militarmente e numericamente marginale nella guerra di Liberazione nazionale, specie se lo si confronta con le formazioni partigiane di matrice comunista.
Per quale motivo un gruppo di parlamentari, soprattutto del PD più legato a Renzi, insieme a parte dell’ebraismo italiano capeggiato dalla Comunità ebraica di Roma insistono così tanto a volere insignire la Brigata ebraica della medaglia d’oro e a volere intrufolare a tutti i costi la bandiera della Brigata sionista nei cortei e nelle manifestazioni?
La risposta è chiara: la promozione della Brigata sionista è fatto con il chiaro scopo che Israele e il sionismo, dopo essersi abusivamente infiltrati nell’ambito delle manifestazioni di commemorazione alla Resistenza, acquisiscano quella stessa dignità e quella medesima nobiltà insita nei purissimi valori della Resistenza stessa, e di quella italiana in particolare. È come la medaglia data alla Brigata ebraica fosse stata data al criminale nazista sionista Netanyahn.
Non è quindi la rivendicazione del ruolo degli ebrei nella Resistenza, un fatto che è scontato, bensì cercare di far credere che l’ideologia sionista e chi la professava abbiano avuto un ruolo positivo in essa: la prova di questo sta negli striscioni che vengono ostentati nelle manifestazioni che i sionisti organizzano, per conto loro e separatamente come è giusto, e dove si legge: “anche loro, 5000 sionisti, liberarono l’Italia ”.
Poiché lo Stato di Israele incontra un odio crescente da parte dei popoli del mondo, compreso quello italiano e compresi tantissimi ebrei sparsi per il mondo (lo si è visto nella recente campagna acquisti che Netanyahu ha tentato di fare nelle Comunità ebraiche francesi, ma gli ebrei francesi hanno rispedito al mittente le sue lusinghe), i caporioni sionisti hanno pensato bene di nobilitare ciò che è oggettivamente ignobile (Israele e la stessa ideologia sionista) accostandolo a valori universalmente accolti come positivi dalla stragrande maggioranza degli italiani (i valori della Resistenza).
Coloro che ritengono l’ideologia sionista affine ai valori della Resistenza, dovranno restare fuori dalle manifestazioni nelle quali si commemora quella Resistenza e quei partigiani che hanno lottato per valori che sono incompatibili ed anzi opposti a quelli sostenuti dal sionismo e praticati dallo Stato di Israele e da tanti membri di quella Brigata sionista che tanto viene esaltata, e alla quale non deve essere concessa alcuna onorificenza.
 

6 settembre 2017