Contro il blocco degli stipendi
I professori universitari in sciopero
Organizzazioni sindacali e studentesche propongono iniziative comuni per l'università pubblica e democratica

Il 28 agosto ha avuto inizio lo sciopero degli esami da parte di numerosi docenti universitari italiani. Terminerà il 31 ottobre, attraversando tutta la sessione autunnale degli esami. È il primo sciopero di questo tipo che si svolge dall'anno accademico 1973-74.
La decisione di indire la mobilitazione è stata annunciata il 27 giugno da una lettera sottoscritta da 5.444 “professori e ricercatori universitari e ricercatori di enti di ricerca italiani”. Dove si afferma che, preso atto del disinteresse del MIUR (Ministero dell'istruzione, università e ricerca) a risolvere il caso nonostante un iniziale incontro avesse lasciato presagire in senso contrario, la via dello sciopero restava l'unica percorribile per far sentire la voce dei docenti universitari, che chiedono di sbloccare le classi e gli scatti stipendiali, bloccati fra il 2011 e il 2015, a partire dal 1° gennaio 2015, anziché dal 1° gennaio 2016.
Facciamo un passo indietro: la decisione di bloccare classi e scatti stipendiali fu presa dal governo Berlusconi con il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78. Inizialmente la norma interessava tutti i dipendenti pubblici, successivamente alcune categorie sono state escluse, fra cui i medici delle aziende sanitarie, il personale prefettizio e diplomatico. Nonostante il blocco delle progressioni stipendiali sia stato giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale nel 2012, esso è stato prorogato fino al 31 dicembre 2014 dal governo Letta.
Se poi si tiene conto che i docenti e ricercatori precari hanno superato l'organico strutturato in termini numerici, senza contare che la “riforma” Gelmini ha cancellato la figura del ricercatore a tempo indeterminato e che sempre più si fa ricorso a professori a contratto annuale rinnovabile per coprire i corsi accademici, si capisce che sono del tutto fuori luogo e strumentali le affermazioni di certi organi di stampa che hanno attaccato i docenti come “categoria privilegiata” o usato toni allarmistici parlando di esami e lauree “a rischio” per far cadere in secondo piano le ragioni della protesta. Per quanto i baroni e i burocrati ben piazzati ci siano eccome, il precariato accademico nega un futuro e un presente dignitosi a migliaia di persone e deve essere combattuto con tutti i mezzi possibili, compreso lo sciopero, per costringere il governo a scendere a patti.
FLC-CGIL, Coordinamento universitario Link, UdU (Unione degli universitari), ADI (Associazone dottorandi italiani), ANDU (Associazione nazionale docenti universitari), CRNSU (Coordinamento ricercatori non strutturati universitari) e Rete 29 aprile hanno firmato un appello “per una università pubblica e democratica” in cui appoggiano lo sciopero, che “si inserisce nel contesto drammatico in cui versa l'università pubblica” e “è urgente allargare la mobilitazione a tutte le componenti della comunità accademica”. Da settembre si annunciano “una serie di iniziative comuni”, a partire da assemblee negli atenei, per chiedere un reclutamento straordinario, il finanziamento e l'estensione del diritto allo studio, lo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali dal 1/1/2015, il riconoscimento giuridico del quadriennio 2011-14, il ritiro della nota del MIUR del 29 maggio 2017 che conferma il blocco, lo sblocco della contrattazione per il personale tecnico e la riforma delle procedure di valutazione della ricerca, oggi fortemente burocratizzate e pseudo-meritocratiche.
Anche se Link in altri interventi, fra cui la lettera degli studenti del Politecnico di Torino, ha lasciato intendere che certi studenti, specie i fuori sede, saranno messi in difficoltà e ha quindi auspicato future azioni di lotta maggiormente condivise anche già nella preparazione. D'altra parte gli studenti, con gli attacchi al diritto allo studio, e i docenti precari, con il blocco degli stipendi, sono vittime dello stesso processo di taglio dei costi universitari e trasformazione dell'università in una sorta di azienda che deve tagliare costi, studenti (col numero chiuso) e personale.
La necessità di una grande e unitaria mobilitazione degli studenti, del personale tecnico-amministrativo e dei docenti e ricercatori precari è effettivamente più che urgente per invertire le politiche di chiusura e aziendalizzazione dell'università. Le condizioni ci sono, si tratta di costruirla, formando un vasto fronte unito e dandosi una piattaforma rivendicativa unitaria, combattiva e radicale discussa democraticamente dal basso.

6 settembre 2017