Successo del test su una bomba a idrogeno condotto da Pyongyang
Gli imperialisti non hanno alcun diritto a fermare la nuclearizzazione della RPDC per l'autodifesa
Trump: “pronti ad usare il nucleare”. La Corea del Sud simula un attacco su un sito nordcoreano
Usa, Italia, Francia e Gran Bretagna premono per nuove e più pesanti sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza. Cina e Russia si barcamenano

“La Corea del Nord mantiene ferma la sua posizione di non mettere il suo deterrente nucleare sul tavolo delle trattative e di non indietreggiare nemmeno di un pollice nella politica di sviluppo della sua forza nucleare finché non cesseranno la politica ostile e le minacce nucleari degli Stati Uniti. Lo confermano i successi raggiunti nella costruzione dei missili a medio-lungo raggio e nella tecnologia per la costruzione di bombe atomiche e bombe all'idrogeno, successi ottenuti con le proprie forze nonostante i tentativi di impedirlo da parte delle forze ostili”, sosteneva il 30 agosto il governo della Repubblica popolare democratica di Corea (RPDC) respingendo le nuove e pesanti minacce dell'imperialismo americano che aveva pilotato una nuova risoluzione di condanna del Consiglio Onu sui test di Pyongyang. E annunciando in pratica il successivo test nucleare su una bomba all'idrogeno, svolto con successo il 3 settembre, che scatenava una nuova canea imperialista contro la RPDC e il suo diritto all'autodifesa.
La bomba all’idrogeno che era stata testata “con successo” è destinata “ad armare un super missile intercontinentale” spiegava il governo di Pyongyang in una dichiarazione diffusa dall'agenzia di stampa nordcoreana Kcna.
L'ambasciatore nordcoreano presso l'Onu a Ginevra, Han Tae Song, intervenendo a una conferenza delle Nazioni Unite sul disarmo il 5 settembre ribadiva che “le recenti misure di autodifesa adottate dal mio Paese sono un pacchetto regalo indirizzato a nessun altro che agli Usa, che riceveranno altri pacchetti regalo dalla Corea del Nord finché continueranno le provocazioni sconsiderate e gli inutili tentativi di mettere la Corea del Nord sotto pressione”.
Alla Casa Bianca il presidente americano Donald Trump schiacciava invece l'acceleratore delle provocazioni e delle minacce verso la Corea del Nord e dopo aver espresso direttamente al premier giapponese Shinzo Abe la solidarietà degli Usa ribadiva “l’impegno degli Stati Uniti a difendere la nostra Patria, i nostri territori e i nostri alleati, utilizzando la gamma completa delle capacità diplomatiche, convenzionali e nucleari di cui disponiamo”. Detto in altre parole Trump si dichiarava “pronto ad usare il nucleare”. Rincarava la dose il segretario alla Difesa Jim Mattis che annunciava di nuovo “una massiccia risposta militare” se la Corea del Nord dovesse minacciare il territorio Usa o quello dei loro alleati.
Il governo della Corea del Sud chiedeva sanzioni più aspre contro la Corea del Nord per arrivare all’isolamento “totale” di Pyongyang. Il consigliere per la sicurezza sudcoreano Chung Eui-yong avvertiva che “il presidente Moon Jae-in ha detto che il Paese non permetterà mai alla Corea del Nord di continuare a far avanzare le sue tecnologie nucleari e missilistiche”, dimenticandosi che la sovranità di Seul non passa sopra il 38esimo parallelo e non può comandare in casa di altri. Con le spalle coperte da Washington il governo di Seul rispondeva intanto con manovre militari con missili balistici e la simulazione di un attacco aereo contro un sito nucleare nordcoreano con caccia F15. L’esercito sudcoreano precisava che i bersagli scelti erano a una distanza equivalente a quella del poligono di tiro nucleare nordcoreano di Punggye-ri; come dire prove di guerra reali, con l'uso di munizioni vere.
Altre manovre militari sudcoreane iniziavano il 5 settembre, con la durata prevista di alcuni giorni, con l'impiego di mezzi navali e incursori. Il 7 e 8 settembre sono previste esercitazioni navali antisottomarine congiunte Corea del Sud e Usa nel mar del Giappone.
Dopo minacce e prove di guerra l'imperialismo americano e i suoi alleati partivano all'attacco diplomatico in sede Onu con la richiesta di convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza per nuove sanzioni. Girando le carte sul tavolo l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, sosteneva il 4 settembre che il governo nordcoreano “sta pregando per fare la guerra“ e dopo aver dichiarato che “la nostra pazienza non è infinita” chiedeva “le più forti misure possibili contro il regime di Pyongayang” con una nuova risoluzione da approvare entro una settimana.
L'ambasciatrice Haley criticava l’azione spesso “troppo lenta e debole” della comunità internazionale, chiedeva nuove sanzioni e aggiungeva che “chiunque continua a fare affari con la Corea del Nord sta solo aiutando il regime. Il programma nucleare della Corea del Nord ha raggiunto una pericolosità senza precedenti e solo le azioni e le sanzioni più forti possono fermare il regime”. Un riferimento abbastanza chiaro soprattutto alla Cina che solo di recente ha iniziato a applicare sanzioni economiche verso Pyongyang, richiamata alla collaborazione più volte dallo stesso Trump dato che l'economia del paese nordcoreano dipende ancora per il 90% dalle importazioni dalla Cina.
Il governo cinese presentava “una forte protesta formale” all’ambasciata della Corea del nord di Pechino per l'esperimento della bomba all'idrogeno ma teneva la sua posizione che punta alla via diplomatica per scongiurare un pericoloso conflitto nella penisola coreana, alle porte di casa. “Non consentiremo mai il caos e la guerra nella penisola coreana”, dichiarava l'ambasciatore cinese all'Onu, Liu Jieyi. In sintonia con l'ambasciatore russo al Palazzo di Vetro, Vassily Nebenzia, che invitava a “mantenere il sangue freddo e astenersi da azioni che possono provocare ulteriori escalation della tensione” dato che “non ci può essere una soluzione militare alla crisi in atto”. La Russia, condannava il test nucleare di Pyongyang e appoggiava la proposta della Cina di un “congelamento” dei test nucleari e missilistici della Corea del Nord in cambio di una sospensione delle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud.
Il presidente russo Vladimir Putin, a margine del vertice cinese dei Paesi Brics a Xiamen affermava che le sanzioni contro Pyongyang sono “inutili e non efficaci” e tirava fuori la Russia sottolineando che tra Mosca e Pyongyang “gli scambi commerciali sono praticamente pari a zero”. E denunciava che “insistere sull'isteria militare” per risolvere il problema sia “senza senso, un vicolo cieco”, anzi “un conflitto potrebbe portare a una catastrofe globale”. Putin alzava un poco i toni allarmistici, non come quando fermò la corsa dell'imperialismo americano verso la guerra in Siria dell'amministrazione Obama; con Trump è iniziata la “rivincita” Usa e può essere molto pericoloso mettersi di traverso, finire appunto in un vicolo cieco. Il collega cinese Xi sta ancora più coperto e non ribatte neanche verbalmente alle urla belliciste che si levano da Washington anche se di fatto la Cina è il primo concorrente mondiale e il primo bersaglio reale in Asia di Trump. Le due potenze imperialiste al momento si barcamenano e provano a sterilizzare la corsa verso la guerra.
L'imperialismo americano ha invece una serie di alleati di ferro in Europa. Dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che il 5 settembre in un intervento al Bundestag ha sottolineato come ci possa essere “solo una soluzione diplomatica e pacifica per la quale ci si deve impegnare con tutte le forze”. “Il fatto che si tratti di un'area geograficamente molto lontana non evita all'Europa di fare la sua parte nel conflitto nordcoreano, l'Europa ha una voce importante nel mondo, deve usarla”, come dire che non può pretendere di essere una potenza imperialista globale se non si fa sentire anche nella crisi coreana. La Germania chiama, la Francia rispondeva con la ministra della Difesa, Florence Parly, che nel corso di un intervento dinanzi ai militari a Tolone ragionava tranquillamente della possibilità di una guerra come se fossero noccioline: “lo scenario di una escalation verso un grande conflitto non può essere scartato, l'Europa rischia di essere alla portata dei missili di Kim Jong Un prima del previsto”. Come fermarli?.
Secondo l'ambasciatore italiano Sebastiano Cardi, rappresentante permanente del governo all'Onu, “l'Italia ritiene indispensabile che la RPDC immediatamente metta una fermata definitiva e completa allo sviluppo dei suoi programmi missilistici e nucleari in modo completo, verificabile e irreversibile”. Con toni duceschi, rilanciando le dichiarazioni di Gentiloni e Alfano, dettava le condizioni della “resa” da parte del governo di Pyongyang e incitava il Consiglio di sicurezza a adottare ulteriori sanzioni. L'Italia si accodava così agli Usa e a Francia e Gran Bretagna sulla proposta in discussione all'Onu
A fronte di questo coro imperialista contro la RPDC risultano ancora più valide le ragioni esposte nella nota del 7 agosto del governo della Repubblica popolare democratica di Corea che aveva respinto la “risoluzione delle sanzioni” numero 2371 dell'Onu dichiarando che “l’accesso della RPDC alla forza nucleare è una misura giusta e legittima per l’autodifesa, per proteggere la sovranità del paese e il diritto della nazione all’esistenza dagli atti arbitrari degli Stati Uniti che perseguono una politica di estrema ostilità e minaccia nucleare contro la RPDC da ben oltre mezzo secolo. (…) La RPDC sta prendendo misure per rafforzare la deterrenza nucleare auto-difensiva per contrastare la politica di estrema ostilità e minaccia nucleare contro di essa degli Stati Uniti, il più grande stato di armi nucleari del mondo. La definizione di queste misure 'una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali' è da gangster, come la logica che indica che il resto del mondo dovrebbe diventare colonia Usa che serve i propri interessi o vittime della sua aggressività”.
I marxisti-leninisti italiani sono totalmente d'accordo con tale posizione della RPDC, pur non condividendo la teoria non marxista-leninista Juche.

6 settembre 2017