Abolire il numero chiuso. Difendere il diritto allo studio

Con l'avvicinarsi dei test di ingresso per i corsi universitari di medicina si è tornati a parlare e a mettere giustamente sotto accusa questo iniquo sistema di accesso. Quest'anno la situazione particolarmente grave ha fatto fare un salto di qualità alla discussione, su cui interverremo.
Nella fattispecie sono in 66.907 gli aspiranti studenti che il 5 settembre hanno sostenuto il test, a fronte di appena 9.100 posti previsti. L'anno scorso erano 9.224. Entrerà uno studente su sette, ma la cifra scende a uno su dieci a Milano e Torino e uno su nove a Bologna. A questo va aggiunto che le borse di studio previste per gli studenti di medicina e chirurgia risultano essere insufficienti rispetto al numero degli aspiranti medici, peraltro per un corso di studi lungo e molto oneroso in termini economici.
Sempre in termini di oneri economici, intorno ai test esiste un giro di affari che, secondo i calcoli di Skuola.net, supera i 3,5 milioni di euro all'anno per i costi di iscrizione (parliamo dell'Università pubblica!), senza considerare gli eventuali corsi di preparazione.
Ciliegina sulla torta, gli atenei per ricevere i finanziamenti del Ministero dell'Istruzione (Miur) devono assicurare un certo numero di laureati in corso, perciò il meccanismo perverso che si attiva in molti casi è che la selezione all'ingresso falcidia in partenza molti giovani aspiranti medici, ma poi chi riesce ad entrare e laurearsi non sempre è adeguatamente preparato. Senza contare i favoritismi, i nepotismi e le reti di relazioni che spesso determinano chi va avanti e chi resta indietro nel sistema accademico, come conosciuto dalla stessa Crui, la conferenza dei rettori.

A rischio il fabbisogno nazionale
Si potrebbe obbiettare che la selezione all'ingresso è necessaria per evitare che ci sia una sovrabbondanza di laureati in medicina rispetto all'effettiva capacità di assorbimento da parte del Sistema sanitario nazionale (SSN). Niente di più falso, anzi, è vero esattamente l'opposto: un'indagine dell'Anaao Assomed, associazione dei medici salariati, condotta incrociando diversi dati, fra cui quelli del Miur, della Ragioneria dello Stato e dei fabbisogni specifici delle Regioni, dimostra che nei prossimi dieci anni il SSN sarà carente di almeno 15mila specialisti, ma la cifra potrebbe arrivare a 20mila.
La carenza del personale medico, determinato in buona misura dal precariato e dal blocco del turn-over, è del resto sotto gli occhi di tutti e porta a disservizi quali i tempi biblici di scorrimento delle liste d'attesa, il sovraffollamento delle stesse, penurie e incurie negli ospedali, soprattutto al Mezzogiorno ma non solo, ledendo un diritto fondamentale quale quello della sanità pubblica, mentre lo Stato favorisce sempre più la sanità privata.
È l'Anaao stessa a proporre di “avviare una nuova programmazione sanitaria passando per la soluzione di due urgenze: l'imbuto formativo, risultato dal gap tra numero chiuso per l'accesso alle Scuole di medicina e chirurgia e l'offerta formativa post-laurea, e il precariato medico, generato sia dal blocco del turnover che da riforme pensionistiche sempre in itinere che procastinano l'uscita dal sistema”. Una presa di posizione che si incrocia alle iniziative messe in campo dalle organizzazioni studentesche universitarie, UdU e Link in testa, per rivendicare l'abolizione del numero chiuso.

Perché occorre opporsi al numero chiuso
Di recente sono in atto tentativi da parte del governo per introdurre il numero chiuso anche in altre facoltà, specie in quelle umanistiche (ne abbiamo parlato su “Il Bolscevico” n 23 del 15 giugno). È notizia dei giorni scorsi che la Statale di Milano non potrà introdurre il test, come aveva annunciato, grazie ad un ricorso presentato dall'UdU al Tar di Lazio, la cui sentenza boccia il numero chiuso per i corsi umanistici. Comunque non si deve abbassare la guardia, perché il taglio del diritto allo studio e la restrizione degli spazi democratici nell'università resta la linea perseguita dai governi tanto della destra quanto della “sinistra” borghese.
Il numero chiuso è da respingere e combattere perché non serve veramente a valutare la preparazione, né ad assicurare la qualità dell'offerta didattica. Il suo vero scopo è selezionare e ridurre i futuri studenti universitari.
In realtà i disservizi universitari non sono affatto dovuti al numero troppo alto di immatricolati, ma a provvedimenti come il taglio delle spese per l'istruzione, che oggi ammontano ad un misero 4% del Pil, o il blocco del turn-over dei professori che ha portato il corpo docente a ridursi del 20% negli scorsi otto anni (senza contare gli alti numeri di docenti precari a contratto).
In altre parole, anziché prendere seriamente in considerazione un'inversione della politica universitaria, che da Gelmini in poi (ma le radici vanno più indietro) sforbicia senza pietà, nell'ambito di esecutivi che hanno sempre battuto cassa a danno dell'istruzione pubblica, i governi del sistema capitalista italiano sia di destra che di “sinistra” chiudono sempre più le porte dell'Università agli studenti provenienti dalle classi povere, che andranno a finire nel precariato a disposizione della borghesia imprenditoriale.
Il numero chiuso quindi fa parte della sottomissione dell'Università pubblica al capitalismo e delle logiche del mercato e lede il diritto allo studio dei giovani non meno dei feroci tagli alle borse di studio, del caro-trasporti, del caro-affitti e del caro-libri.

Mobilitarsi per conquistare l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti
Il sistema universitario attualmente è inaccettabile. Di controriforma in controriforma, di taglio al diritto allo studio in aumento delle rette, sono state progressivamente annullate le conquiste del Sessantotto, ridotti gli spazi democratici e sbarrate le porte agli studenti meno abbienti, la platea dei quali si è enormemente allargata per effetto della crisi.
Occorre una potente risposta che veda in prima fila le studentesse e gli studenti che non sono disposti ad accettare lo sfascio e la chiusura dell'Università pubblica, sempre più irregimentata e aziendalizzata, alleati ai docenti precari e al personale tecnico. Questa risposta può venire solo costruendo dal basso un grande movimento che elabori, tramite lo strumento della democrazia diretta (che noi proponiamo di concretizzare nelle Assemblee generali di ogni corso, dipartimento, scuola/ex facoltà e ateneo), il proprio programma di lotta per arrivare ad una piattaforma rivendicativa unitaria su cui improntare una vasta mobilitazione. Occorre cioè abbandonare gli attuali organi collegiali, che si sono dimostrati sostanzialmente inutili quando non controproducenti, e prendere in considerazione la conquista del governo studentesco dell'Università.
 

13 settembre 2017