Tutte le superpotenze imperialiste unite, compreso Cina e Russia
Grave e provocatoria risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il diritto della RPDC ai test nucleari
Tra le nuove sanzioni vessatorie il divieto di vendita di gas naturale e di esportare tessili. Vietato agli Stati membri dell'Onu di dare lavoro ai nordcoreani. Per l'Italia Pyongyang ”minaccia la pace e la sicurezza mondiale”
Gli imperialisti vogliono strangolare, isolare e affamare la Corea del Nord

 
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per nuove sanzioni contro la Repubblica popolare democratica di Corea (RPDC) condannando il suo test nucleare con una bomba all'idrogeno del 3 settembre, in violazione delle precedenti risoluzioni Onu. Il documento redatto dagli Stati Uniti è stato sostenuto da tutti i membri del Consiglio di sicurezza, compresi la Russia e la Cina che hanno preteso modifiche non sostanziali. Tutte le superpotenze imperialiste si sono ritrovate unite contro il diritto della RPDC ai test nucleari e dopo le ingiuste e vessatorie sanzioni definte lo scorso 5 agosto nella risoluzione numero 2371, dopo i test di lancio di missili balistici, hanno calcato la mano e di nuovo all'unanimità hanno definito sanzioni che sono a un passo da strangolare, isolare e affamare la Corea del Nord.
La risoluzione numero 2375 approvata a pochi minuti della mezzanotte dell'11 settembre blocca l'esportazione dei prodotti tessili nordcoreani per un valore stimato annuo di oltre 750 milioni di dollari; taglia di circa un terzo il volume delle importazioni di gas naturale e prodotti petroliferi raffinati, minacciando un blocco totale. Un paragrafo della risoluzione recita che “gli Stati membri devono vietare fornitura vendita e trasferimento in Corea del Nord di gas naturale e prodotti petroliferi raffinati”; di seguito si consente “la fornitura, il trasferimento o la vendita a Pyongyang di tutti i derivati del petrolio sino a 500 mila barili per un periodo di tre mesi a partire dall'1 ottobre e sino a 2 milioni di barili l’anno a partire dall'1 gennaio 2018. A patto che siano impiegati per il sostentamento della popolazione e non servano a generare profitto da investire in programmi nucleari”. In altre parole il governo di Pyongyang finisce sotto ricatto dei paesi imperialisti che si arrogano il diritto di verificare la destinazione delle spese del bilancio nazionale e minacciano un taglio totale dei rifornimenti.
Un report delle Nazioni Unite, pubblicato il 9 settembre, sosteneva che la Corea del Nord negli ultimi sei mesi avrebbe esportato carbone, ferro e tessuti per almeno 270 milioni di dollari, nella vicina Cina e in altri paesi come India, Malesia e Sri Lanka; esportazioni considerate “illegali” perché vietate dalla risoluzione del 5 agosto. I paesi imperialisti decidevano perciò di andare oltre l'emanazione delle sanzioni e di autorizzare i paesi, nel caso in cui si sospetta una violazione dell'embargo, a ispezionare le navi in mare. La risoluzione conferma tra le altre il blocco delle rimesse dei circa 100 mila lavoratori nordcoreani all'estero e proibisce agli Stati membri di rinnovargli il contratto, prevede sanzioni contro dirigenti del Partito dei lavoratori della Corea e su ministri del governo di Pyongyang.
Secondo funzionari americani, la somma delle sanzioni decise il 5 agosto e l'11 settembre, oltre che ridurre pesantemente le importazioni, taglieranno le esportazioni della Corea del Nord del 90%. L'imperialismo americano avrebbe voluto un taglio totale delle forniture di petrolio verso la Corea del Nord e sanzioni al leader Kim Jong-un; Cina e Russia modificavano queste richieste di Washington e in cambio del voto favorevole alla risoluzione si accontentavano che il testo approvato sottolineasse la necessità di trovare una soluzione pacifica per la questione della Corea del Nord, dato che una situazione deteriorata nella penisola coreana potrebbe portare a conseguenze pericolose per la sicurezza regionale, e la conferma dell'importanza di rispettare la sovranità di tutti gli Stati. Come se la grave e provocatoria risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il diritto della RPDC ai test nucleari non fossero nuova benzina sulla crisi regionale e una violazione della sovranità della RPDC.
“La posizione presa dal rappresentante russo quando ha approvato la risoluzione è dovuta principalmente agli interessi della Federazione russa e al fatto che la Federazione russa è nella regione in cui si svolgono gli eventi, dove si vede una grave escalation delle tensioni causate dalle azioni provocatorie di Pyongyang”, affermava il portavoce del Cremlino. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang dichiarava che “la parte cinese spera che questa risoluzione sarà attuata in modo completo” rappresentando la posizione unanime dei membri del Consiglio di sicurezza per salvaguardare la pace e la stabilità nella penisola coreana e nella regione (minacciate da Pyongyang?, ndr), promuovendo la denuclearizzazione sulla penisola coreana e sostenendo la non proliferazione internazionale .
D'altra parte la posizione di Pechino era stata confermata il 9 settembre dal presidente Xi Jinping in una telefonata a Donald Trump quando avevano espresso la comune condanna all’esperimento nucleare della Corea del Nord definendo il test “un’azione provocatoria e destabilizzante” e condannato la via intrapresa da Pyongyang come “pericolosa per il mondo”.
Completamente allineato agli altri paesi del Consiglio Onu era l'imperialismo italiano che votava a favore delle sanzioni, con l'ambasciatore Sebastiano Cardi che dichiarava che le misure restrittive riflettono la gravità della situazione attuale e costituiscono “una risposta proporzionale e adeguata” contro le azioni di Pyongyang definite “un deliberato tentativo di minare la pace e la sicurezza mondiali”. Anche per il governo Gentiloni tutta la colpa è della RPDC che non avrebbe nessun diritto e dovrebbe “cessare immediatamente tutte le attività nucleari e missilistiche”; mentre solo al governo di Pyongyang spetterebbe l'onere di “aprire la strada a una soluzione pacifica attraverso negoziati significativi”.
La posizione del governo di Pyongyang era espressa in un comunicato il ministero degli affari esteri, diffuso l'11 settembre, a poche ore dal voto al Palazzo di vetro di New York, che denunciava che “gli Stati Uniti stanno freneticamente fabbricando la più dura risoluzione delle sanzioni mai approvata manipolando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo per il test della bomba a idrogeno”, accusava gli Stati Uniti di “cercare di utilizzare le legittime misure auto-difensive della Corea del Nord come scusa per soffocarla”, denunciava che “le sanzioni e le pressione degli Stati Uniti puntano a eliminare completamente la sovranità della RPDC e il suo diritto all'esistenza e stanno arrivando ad una fase estremamente sconsiderata”. Avvertiva che gli Stati Uniti dovrebbero affrontato una “serie di azioni più severe di quanto mai abbiano mai pensato” se fossero riusciti a portare a casa la risoluzione con ulteriori sanzioni su Pyongyang; “La RPDC è pronta e disposta ad utilizzare qualsiasi mezzo” per rispondere alle nuove sanzioni, ribadiva la dichiarazione.
Dopo il voto unanime del Consiglio, l'ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Nikki Haley affermava che Washington non stava cercando la guerra con la Corea del Nord e che Pyongyang “non ha ancora superato il punto di non ritorno. Se accetta di fermare il suo programma nucleare, può recuperare il proprio futuro. Se dimostra di poter vivere in pace, il mondo viverà in pace con essa”. Altrimenti è guerra?.

13 settembre 2017