L'eredità del governo Renzi. E Gentiloni fa solo assistenza
4,7 milioni di poveri assoluti. Erano la metà nel 2007

Mentre Gentiloni e i suoi tirapiedi all'Economia e al Lavoro, Padoan e Poletti, straparlano di “cifre gigantesche” e addirittura di “crescita spaziale” in riferimento alla recente correzione al rialzo del Pil, l'ultimo Rapporto Istat sulla povertà in Italia pubblicato il 14 luglio scorso descrive una realtà molto più drammatica e lontana anni luce dagli “ottimi risultati” prospetti da Gentiloni e dal nuovo duce Renzi, che nei mille giorni del suo nero governo ha ridotto il Paese sul lastrico elargendo centinaia di milioni alle banche e ai padroni e lacrime e sangue ai lavoratori e alle masse popolari, che non possono certo consolarsi con l'assistenzialismo e le briciole dei bonus.
Dal Rapporto Istat “Povertà in Italia 2016” emerge che nel 2016 oltre 4,7 milioni di persone, pari a 1 milione e 619 mila famiglie residenti, versano in condizioni di “povertà assoluta”; mentre altri 8 milioni e 465mila persone, pari a 2 milioni 734mila famiglie, sono in “povertà relativa”. Si tratta in gran parte di lavoratori che dopo il varo del famigerato jobs act sono stati licenziati o costretti ad accettare condizioni di lavoro precario e malpagato e ora fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Dieci anni fa, nel 2007, i poveri assoluti erano 2 milioni e 427 mila persone. Oggi sono raddoppiati: 4 milioni e 742 mila. E non sarà certo l'elemosina del “reddito d'inclusione” (Rei) varato nel marzo scorso dal governo Gentiloni, a porre un argine al dilagare della povertà a tutti i livelli.
Basti pensare che, secondo le stime del governo, quest’anno 800 mila persone dovrebbero beneficiare della social card “Rei”. Una goccia in mezzo al mare elargita a meno di un quinto del totale dei poveri assoluti e che va da un minino di 190 a un massimo di 485 euro per le famiglie più numerose con 5 componenti. Un obolo per di più vincolato a una serie di condizioni che rendono tale sussidio tutt'altro che “universale”.
In forte crescita risulta anche l’incidenza della “povertà assoluta”, che sale al 26,8% dal 18,3% del 2015 tra le famiglie con tre o più figli minori, coinvolgendo nell'ultimo anno 137mila 771 famiglie e 814mila 402 individui; e aumenta anche fra i minori, da 10,9% a 12,5% (1 milione e 292mila nel 2016).
Si tratta di persone che non dispongono nemmeno delle risorse primarie per il sostentamento come l’acqua, il cibo, il vestiario o i soldi per un affitto.
L'incidenza di “povertà assoluta” per le famiglie è pari al 6,3%. Mentre per gli individui sale al 7,9% contro il 7,6% del 2015.
L'incidenza della “povertà assoluta” aumenta al Centro in termini sia di famiglie (5,9% da 4,2% del 2015) sia di individui (7,3% da 5,6%), a causa soprattutto del peggioramento registrato nei comuni fino a 50mila abitanti al di fuori delle aree metropolitane (6,4% da 3,3% dell'anno precedente).
Anche la “povertà relativa” risulta in crescita rispetto al 2015. Nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l'anno precedente).
Analogamente a quanto registrato per la “povertà assoluta”, nel 2016 la “povertà relativa” è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (17,1%) o 5 componenti e più (30,9%).
Una situazione drammatica che riguarda anche coloro che possiedono un lavoro e fra i quali l’incidenza della “povertà assoluta” è doppia per i nuclei in cui il capofamiglia è un operaio e il suo salario rappresenta l'unica fonte di reddito.
Nel suo ultimo rapporto l’Istat registra anche un’altra tendenza: la "povertà relativa” colpisce di più le famiglie giovani. Raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è un under 35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza della “povertà relativa” si mantiene elevata per gli operai (18,7%) e per le famiglie dove il capofamiglia è in cerca di occupazione (31,0%).

14 settembre 2017