Discorso di Andrea Cammilli, a nome del CC del PMLI, per il 41° Anniversario della scomparsa di Mao
Mao e la lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo

Care compagne e compagni, care amiche e amici,
a nome del Comitato centrale del PMLI saluto e do il benvenuto a tutti i presenti convenuti qui a Firenze per ricordare Mao, grande Maestro del proletariato internazionale scomparso 41 anni fa, esattamente il 9 Settembre 1976. Ringrazio il Comitato centrale per avermi dato l'onore di tenere il discorso ufficiale della commemorazione nonché le compagne e i compagni intervenuti.
Dalla prima Sessione plenaria del primo Comitato centrale del PMLI abbiamo preso l'impegno di ricordare ogni anno Mao. Una promessa fin qui sempre mantenuta, che evidenzia il cordone ombelicale che lega il nostro Partito a Mao. Il PMLI tiene sullo stesso piano i 5 grandi Maestri del proletariato internazionale: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao ma con quest'ultimo ha un rapporto particolare, perché è stato lui che ha ispirato la nascita del nostro Partito. Allo stesso modo come Marx ed Engels hanno ispirato Mao e gli altri grandi Maestri. Lenin nei suoi scritti si richiama continuamente alle teorie dei fondatori del socialismo scientifico, per applicarle alla situazione russa e sviluppare ulteriormente il marxismo. La Rivoluzione d'Ottobre, di cui quest'anno ricorre il centenario, rappresenta la realizzazione concreta della dottrina elaborata da Marx ed Engels. L'obiettivo di una società senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo passava dall'essere solo un nobile ideale a concretizzarsi realmente, un avvenimento destinato a cambiare lo sviluppo futuro di uomini, donne e giovani di tutti i continenti.
“Fu grazie ai russi - rileva Mao - che i cinesi scoprirono il marxismo-leninismo. Prima della Rivoluzione d'Ottobre i cinesi non solo ignoravano Lenin e Stalin, ma non conoscevano neppure Marx e Engels. Le cannonate della Rivoluzione d'Ottobre aiutarono i progressisti cinesi e quelli di tutti i paesi ad adottare la concezione proletaria del mondo come strumenti per studiare il destino della
propria nazione e per esaminare daccapo tutti i loro problemi. Seguire la strada dei russi, questa fu la loro conclusione” .(1) Come i progressisti cinesi scoprirono il marxismo-leninismo grazie alla Rivoluzione d'ottobre, così è successo ai fondatori del PMLI grazie alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina.
Al contrario i dirigenti revisionisti del Partito Comunista Italiano hanno stravolto il carattere e il significato di questa grande opera rivoluzionaria di Mao. In particolare hanno tentato di tacere e offuscare uno dei principali e universali insegnamenti di Mao, ossia che il revisionismo non è né una evoluzione né una variante del marxismo-leninismo, ma una corrente di pensiero borghese che opera per mantenere o far ritornare al potere la borghesia. Come avrebbero potuto i revisionisti italiani ispirarsi a colui che puntava l'indice proprio contro di loro, a colui che incitava i rivoluzionari di tutto il mondo a rivoltarsi contro i falsi comunisti e i rinnegati del comunismo?
Proprio nel segretario del PCI Togliatti, Mao aveva individuato uno dei principali esponenti del revisionismo a livello mondiale. Nel suo famoso discorso alla 2ª sessione plenaria dell'8° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese del novembre 1956 Mao affermò: “Vorrei dire qualcosa sul XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica. Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l'altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L'hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l'Unione Sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l'Unione Sovietica. Il loro leader è Togliatti” .(2) Gli importanti articoli apparsi sul “Quotidiano del Popolo” nel 1962 e su “Bandiera rossa” nel 1963 redatti, o quanto meno ispirati e approvati da Mao, dal titolo “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” e “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi”, criticavano aspramente il leader e il gruppo dirigente del PCI su tutta una serie di questioni: sul pericolo di una guerra mondiale nucleare, pretesto dei revisionisti per ingabbiare lo sviluppo della lotta di classe e delle rivoluzioni, sulla coesistenza pacifica tra sistemi economici diversi, sulla lotta di classe, sul passaggio pacifico al socialismo, teorizzato da Kruscev e subito fatto proprio da Togliatti e dal PCI.
Fin da quando entrò nel PCC nel 1921, di cui fu uno dei fondatori, in maggioranza o in minoranza, Mao fu sempre impegnato a smascherare i revisionisti di destra e di “sinistra” e a lottare contro le idee errate fuori e dentro la Cina e nello stesso PCC. Mao rappresentò per milioni di comunisti, di giovani rivoluzionari, per le nazioni oppresse di tutto il mondo, la figura di riferimento, il trascinatore, colui che incitava i lavoratori e le masse popolari ad essere protagonisti del loro futuro, a cambiare la propria concezione del mondo, ad andare fino in fondo nella lotta contro l'imperialismo e gli sfruttatori senza farsi intimorire dalla potenza economica e militare del nemico, a smascherare i revisionisti e tutti i falsi comunisti. Come abbiamo potuto verificare lo scorso anno grazie al resoconto del suo viaggio in Cina e alla casa natale di Mao del compagno Erne, delegato dal Comitato centrale, il riconoscimento dei cinesi verso Mao è ancora molto forte bensì siano passati oltre 40 anni dalla sua scomparsa.
All'annuncio della sua morte lo sconforto fu grandissimo tra le masse e il popolo cinesi oltreché tra le file dei rivoluzionari di tutto il mondo. Ricordiamo che al suo funerale, tra le numerose corone di fiori, c'erano anche quelle del Segretario generale Giovanni Scuderi e della Direzione centrale dell'OCBI m-l, l'organizzazione che darà vita al PMLI. Nella biografia ufficiale di Mao pubblicata nel 2014 a cura dell'Ufficio di ricerca bibliografica del CC del PCC si legge: “Ormai gravemente malato, Mao aveva un desiderio: fare ritorno nella sua natia Shaoshan, nello Hunan, come 'le foglie cadute tornano alle radici'. Tuttavia, dal momento che le sue condizioni rendevano ogni spostamento assai pericoloso per la sua vita, l’Ufficio politico del CC negò la richiesta.
I primi di settembre, una nuova ricaduta provocò l’intervento urgente dei medici e il rafforzamento della sua sorveglianza medica. Membri dell’Ufficio politico del CC a turno presidiavano la residenza di Mao. I medici tenevano gli occhi fissi sulla pressione, sul battito e sulla respirazione, registrati meccanicamente, e gli introducevano cateteri, infondevano ossigeno e praticavano fleboclisi…
Dal 7 settembre al pomeriggio dell’8, nonostante avesse le ore contate, Mao continuò a leggere. Il giorno 7 stesso, appena risvegliatosi dall’intervento medico che gli salvò la vita, Mao richiese un libro... con l’aiuto degli assistenti, Mao riuscì a leggere appena per una manciata di minuti, prima di addormentarsi.
Dagli appunti degli infermieri presenti nel gruppo medico si legge:
'L’8, Mao Zedong legge undici libri e documenti, per un totale di due ore e cinquanta minuti. Legge pur sottoposto a intervento medico: gli arti superiori e inferiori sono sottoposti a catetere per l’infusione intravenosa, sul petto è apposto lo strumento di rilevazione del battito cardiaco e indossa un respiratore. Documenti e libri sono sorretti da altri'.
Mao lesse per l’ultima volta alle 4:37 del pomeriggio dell’8. Con il battito cardiaco in diminuzione, poté leggere per trenta minuti. Mancavano poco più di otto ore alla sua morte.
Fra le 6 e le 7 del pomeriggio di quello stesso giorno, la pressione di Mao cominciò a diminuire. I medici tentarono ogni mezzo pur di salvargli la vita. Circa cinque-sei ore dopo, aveva perso la capacità di parlare. La pressione continuò a diminuire in serata e il battito cardiaco dava segnali molto deboli, impercettibili al tatto...
A mezzanotte e dieci minuti del 9 settembre, dopo oltre quattro ore di inutili soccorsi, il cuore del grande Mao Zedong cessò di battere.
Il 9 settembre 1976, il CC del PCC, il Comitato permanente dell’Assemblea Popolare Nazionale, il Consiglio di Stato e la Commissione militare centrale pubblicarono un Comunicato a tutto il Partito, a tutto l’Esercito e al popolo di tutte le nazionalità del Paese per annunciare con estremo dolore che Mao Zedong, presidente del Comitato centrale del Partito comunista cinese, presidente della Commissione militare centrale del Partito comunista cinese e presidente onorario del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, era morto.
Il Comunicato affermava: 'Il presidente Mao Zedong è il più grande marxista della nostra epoca. Da oltre mezzo secolo, basandosi sui principi dell’integrazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione, nel fuoco della prolungata lotta contro il nemico di classe all’interno e all’esterno del Paese, dentro e fuori il Partito, ha ereditato, difeso e sviluppato il marxismo-leninismo ed ha scritto un nuovo, glorioso capitolo della storia del movimento rivoluzionario del proletariato. Ha dedicato tutte le sue energie alla causa della liberazione del popolo cinese, dell’emancipazione di tutte le nazioni e tutti i popoli oppressi del mondo, e del comunismo.
Con la grande tenacia tipica di un rivoluzionario proletario, ha combattuto arduamente con la terribile malattia e, nonostante quest’ultima, ha continuato a dirigere il lavoro dell’intero Partito, dell’intero Esercito e dell’intero Paese ed ha lottato fino all’ultimo respiro. I suoi eccezionali contributi al popolo cinese, al proletariato di tutti i Paesi ed alla rivoluzione mondiale sono immortali. Ha conquistato il sincero amore e la sconfinata ammirazione del popolo cinese e dei popoli rivoluzionari del mondo intero. […]
La scomparsa del presidente Mao Zedong è una perdita inestimabile per il nostro Partito, il nostro Esercito e il popolo di tutte le nazionalità del nostro Paese, per il proletariato mondiale e tutti i popoli rivoluzionari e per il movimento comunista internazionale'.
Fra il 9 e il 18 settembre, tutte le strutture cinesi, le rappresentanze diplomatiche straniere in Cina e gli altri uffici stranieri sventolarono le proprie bandiere a mezz’asta e sospesero ogni attività festosa. Fra l’11 e il 17 settembre si svolsero le esequie presso il Grande Palazzo del popolo, a Pechino, con i dirigenti del Partito e dello Stato a guardia del feretro. In oltre trecentomila, fra membri effettivi e candidati del CC del PCC, responsabili degli uffici centrali del Partito, del governo e dell’Esercito, della municipalità di Pechino e di altri settori, amici stranieri presenti a Pechino, operai, contadini e soldati della capitale e rappresentanti delle masse di ogni ambito, presenziarono alle esequie, portando l’ultimo saluto a Mao. Più di sessanta delegazioni di governi e partiti stranieri offrirono corone di fiori. Tutti gli uffici, le unità militari, le fabbriche, le miniere, le imprese, i centri commerciali, le comuni popolari, le scuole e qualsiasi altra unità di lavoro tennero iniziative comme-
morative.
Nel pomeriggio del 18 settembre, un milione di rappresentanti delle masse della capitale si raccolsero in piazza Tian’anmen, a Pechino, per il solenne 'raduno funebre per il grande dirigente e maestro il presidente Mao Zedong'. La cerimonia ebbe inizio alle tre. A testa alta, fra le note della marcia funebre, tutta la piazza osservò un minuto di silenzio davanti al ritratto di Mao su Tian’anmen. A seguire, la banda militare suonò maestosamente l’inno nazionale della Repubblica popolare cinese e L’Internazionale.
Hua Guofeng, primo vicepresidente del CC del PCC e primo ministro del Consiglio di Stato, tenne l’orazione funebre.
'Da diversi giorni', disse, 'tutto il Partito, tutto l’Esercito e il popolo di tutte le nazionalità del Paese sono sconvolti da un dolore sconfinato per la perdita del presidente Mao Zedong. La causa per la quale il grande dirigente il presidente Mao ha dedicato la propria vita era sangue del sangue, nervi dei nervi delle larghe masse popolari. È stato sotto la guida del presidente Mao che il popolo cinese, a lungo oppresso e sfruttato, ha capovolto le proprie sorti ed è diventato padrone.
È stato sotto la guida del presidente Mao che la devastata nazione cinese si è alzata in piedi. Il popolo cinese amava, credeva e rispettava il presidente Mao dal profondo del cuore. L’intero proletariato mondiale e tutta l’umanità progressista a loro volta piangono profondamente la scomparsa del presidente Mao'.
L’orazione, ripercorrendo ed esaltando i successi conseguiti da Mao quando era in vita, sottolineò: 'Tutte le vittorie del popolo cinese sono grandi vittorie del pensiero di Mao Zedong. La luce del pensiero di Mao Zedong illuminerà per sempre l’avanzata del popolo cinese'. L’orazione si concludeva affermando: 'Tutto il Partito, tutto l’Esercito e il popolo di tutte le nazionalità del Paese risponderanno con entusiasmo all’appello del CC, trasformeranno il dolore in forza, porteranno avanti l’eredità del presidente Mao, seguiranno il principio di “praticare il marxismo e non il revisionismo, sostenere l’unità e non la scissione, essere aperti e leali e non ricorrere agli intrighi e ai complotti” e, sotto la guida del CC del Partito, porteranno a compimento la causa rivoluzionaria proletaria aperta dal presidente Mao' . La cerimonia terminò sulle note solenni de L’Oriente è rosso”.
Di questo brano della biografia ufficiale di Mao ci teniamo a evidenziare due cose. La prima è che Mao nelle ultime ore della sua vita ha continuato a studiare e a dirigere il Partito e lo Stato. Un esempio di dedizione alla causa che tocca profondamente l'animo di ogni dirigente e di ogni militante del PMLI. La seconda cosa è che i dirigenti cinesi non hanno mantenuto le promesse e gli impegni che si erano presi alla commemorazione di Mao. A riprova che le parole non bastano se non sono seguite da atti coerenti e conseguenti.
 
La lotta di classe
Noi non intendiamo trasformare Mao in una icona da appendere a un muro né riporre nel cassetto i suoi insegnamenti come hanno fatto i dirigenti revisionisti e socialfascisti cinesi. Intendiamo utilizzarli in questa occasione in riferimento alla lotta di classe, una lotta di classe non limitata a difendere i diritti e gli interessi economici immediati del proletariato e delle masse, ma estesa e indirizzata contro il capitalismo e per il socialismo. L'obiettivo della borghesia è quello di mantenere sotto il proprio dominio il proletariato e impedirgli di conquistare il potere politico. Per questo vuole cancellare la memoria storica del socialismo e delle lotte che hanno caratterizzato la nascita stessa del capitalismo, arrivando persino a negare l'esistenza stessa delle classi.
Non sono tesi nuove. La borghesia sin da quando è diventata la classe dominante ed egemone e si è sviluppato il suo sistema economico, cioè il capitalismo, ha sempre cercato di convincere il proletariato e i lavoratori a collaborare. Gli antichi riformisti, i socialisti idealisti e altre correnti hanno accettato questa collaborazione, arrivando perfino a spingere il proletariato a fare da carne da cannone alla borghesia in quel massacro imperialista che fu la 1a guerra mondiale. Marx ed Engels invece sostenevano il contrario. Essi, attraverso l'osservazione della realtà, studiando la storia con uno sguardo nuovo basato sul materialismo storico e dialettico anziché sull'idealismo, arrivarono alla conclusione che lo sviluppo delle forze produttive e della società porta inevitabilmente allo scoppio di sempre nuove contraddizioni. Una visione che interpreta la realtà come un continuo mutamento, in contrapposizione a una visione statica dei rapporti tra gli esseri umani.
Marx si esprimeva così: “La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall'altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è evidentemente il risultato d'uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici, del tramonto di tutta una serie di formazioni più antiche della produzione sociale” .(3) Lo stesso concetto lo ribadiva Mao con il suo stile pungente e allo stesso tempo semplice e comprensibile a tutti: “Lotta di classe - alcune classi trionfano, altre vengono eliminate. Questa è la storia, questa è da millenni la storia della civiltà. Interpretare la storia da questo punto di vista è ciò che si chiama materialismo storico; mettersi in contrapposizione a questo punto di vista è ciò che si chiama idealismo storico” .(4)
Non si tratta quindi di rimanere legati al passato o di esser più “moderni” ma, come dice Mao, di avere una visione materialistica o idealista della storia e della società. Del resto lo stesso avvento della borghesia al potere è il frutto della lotta di classe e dello sviluppo delle contraddizioni della società. Essa stessa è arrivata al potere con la violenza rivoluzionaria. Nella più classica e radicale delle rivoluzioni borghesi, quella francese, ci furono scontri violentissimi, migliaia di morti, esecuzioni pubbliche.
Affermare che oggi le classi, la lotta di classe e l'imperialismo non esistono più pare essere diventata una moda, ma che non ha niente a che fare con la modernità. I suoi sostenitori sono trasversali ai partiti borghesi e alle categorie economiche. Tra di essi ci sono l'amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler Sergio Marchionne e l'ex terrorista “rosso” Toni Negri, tanto per due nomi per tutti che sostengono la fine della lotta di classe. Fanno finta di non vedere le contraddizioni esistenti nel sistema capitalistico, diventate ancora più evidenti dopo la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008. Pochi capitalisti detengono un patrimonio pari al prodotto interno lordo di decine di paesi poveri messi assieme, pochi Stati decidono delle sorti di tutto il mondo, all'interno dei paesi, compresi quelli più sviluppati, il potere politico ed economico è nelle mani di un pugno di sfruttatori. La produzione alimentare mondiale basterebbe a sfamare in maniera adeguata tutta l'umanità ma a milioni muoiono di fame, spendono più soldi i ricchi dei paesi ricchi in profumi che interi paesi del Terzo mondo in cibo. I paradossi che dimostrano l'insostenibilità del capitalismo sono tantissimi e non si possono confutare.
Allora si sostiene che le classi non esistono più, che l'automazione avrebbe fatto sparire la classe operaia. La riduzione della classe operaia, dove è avvenuta, non ne ha compromesso né il ruolo né l'importanza. La classe operaia è sempre quella che produce la ricchezza e il plusvalore, è la classe che attraverso la sua emancipazione libera anche le altre classi oppresse. Di certo l'inevitabile sviluppo dell'informatica, della digitalizzazione e della robotizzazione si ripercuoterà gravemente sull'occupazione. La quarta rivoluzione industriale in atto, che coinvolge più o meno tutti i settori produttivi, generando alti tassi di disoccupazione, una minore tutela dei lavoratori e più ampie disuguaglianze sociali ed economiche, aumenterà le contraddizioni di classe e i conflitti di classe.
La questione del progresso tecnologico, che non possiamo negare, non viene trattata in modo materialistico, ma dal punto di vista della borghesia, che lo utilizza per i propri fini. Assistiamo a un martellamento continuo su questo tema, lo scopo principale è far passare l'idea che la robotica causerebbe la scomparsa del lavoro. Una tesi insostenibile a meno che non si consideri il lavoratore salariato solo quello con il piccone nella miniera, si creda che le stesse macchine, anziché costruite dagli uomini, crescano sugli alberi come le mele, oppure che le merci, prenotate su internet, non abbiano bisogno di facchini e autisti per essere consegnate ma si materializzino dal computer alle nostre case attraverso il teletrasporto.
Non siamo noi che siamo vecchi e superati, ma lo è chi non riesce o non vuole vedere il nuovo lavoro dipendente, che si presenta sotto nuove forme, ma dove i rapporti sono gli stessi e ben delineati, tra chi detiene il capitale e sfrutta il lavoro altrui e chi non ha niente e viene sfruttato. La tesi di un mondo dove lavorano solo i robot è funzionale e si sposa benissimo alla richiesta del reddito di cittadinanza. Non a caso la cosiddetta “fine del lavoro” è una tesi fatta propria e rilanciata in maniera ossessiva da Beppe Grillo e dai 5 Stelle, i principali alfieri del reddito di cittadinanza in Italia, che presentano l'elemosina di Stato come la panacea di tutti i mali senza specificare chi la dovrà pagare.
Le innovazioni tecnologiche hanno effetti diversi a seconda di chi le governa. In questo sistema lo fa la borghesia e difatti nonostante la macchine e i robot richiedano meno manodopera nessuno si sogna, tanto meno i partiti riformisti e i sindacati maggiori, di chiedere la riduzione dell'orario di lavoro settimanale a 35 ore. Al contrario si alzano i ritmi produttivi, si richiedono più straordinari, si tolgono le pause, si riduce il tempo per mangiare e perfino per espletare i bisogni fisiologici, come è successo nello stabilimento di Atessa del gruppo Fiat-Chrysler. La teoria della “fine del lavoro” e della lotta di classe non sta in piedi e fa acqua da tutte le parti.
Nell'analisi sulle classi in Italia esposta alla commemorazione di Mao del 2007, il compagno Scuderi così si esprimeva: “Il proletariato, o classe operaia, è composto dagli operai dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi: ossia gli operai di fabbrica e di officina, dell'edilizia, dei cantieri navali, delle miniere, i braccianti e i salariati agricoli, gli operai dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, gli operai occupati a domicilio, gli operai dell'artigianato e del commercio, gli operai della sanità e dell'intero pubblico impiego, dei servizi pubblici (elettricità, gas, acqua, telecomunicazioni, poste, igiene, centraline, ecc.), i disoccupati già operai e che ricercano lavoro come operai, i pensionati ex operai ”. Quindi si tratta di una fascia di popolazione molto ampia.
I cambiamenti introdotti dalla tecnologia e da nuovi modelli produttivi del sistema capitalistico sono solo una delle cause, e non la principale, della disorganizzazione e della frammentazione della classe operaia e delle masse lavoratrici. Lavoratori che stanno fianco a fianco per anni nella solita fabbrica, magari di grandi dimensioni, sicuramente riescono a sviluppare una coscienza di classe ed unità maggiori di chi è costretto a cambiare lavoro continuamente, lo esegue da una postazione singola, è costantemente sotto il ricatto del licenziamento. Ma il motivo principale risiede nella resa incondizionata al capitalismo dei partiti di origine operaia e dei sindacati che si sono calati le braghe accettando supinamente la flessibilità, la politica dei redditi, le compatibilità capitalistiche, il precariato.

La lotta sindacale
Anche per quanto riguarda la lotta sindacale emergono chiaramente le responsabilità di chi mantiene l'influenza e il controllo sui lavoratori. Caso emblematico è la vicenda del Jobs Act dove la mobilitazione è partita subito dalle fabbriche, invece i sindacati, anziché alzare il livello dello scontro, hanno concesso una lunga tregua a Renzi. La Camusso e i dirigenti della Cgil, in larga parte aderenti al PD, hanno indetto la prima manifestazione nazionale quando la legge era in via di approvazione, e nonostante questo è stata una manifestazione molto partecipata dove è emerso chiaramente che la forza per opporsi c'era e la classe operaia e le masse popolari erano pronte alla lotta.
Quella combattività che oggi ritroviamo nelle battaglie dei lavoratori Alitalia contro il tentativo di far ricadere sui dipendenti i danni causati dai manager e dalla crisi, nei lavoratori dei call center contro le esternalizzazioni dei loro servizi, dell'Ilva di Taranto e di Genova per la difesa del posto di lavoro e della salute dei lavoratori e della popolazione, dei lavoratori di Piombino che vogliono risposte per il proprio futuro e non si rassegnano alla chiusura delle acciaierie, nei lavoratori della logistica che non sono più disposti a sopportare condizioni di semi-schiavitù.
Le lotte però non vanno oltre il fatto contingente, non sono inquadrate in una prospettiva più generale di cambiamento della società e somigliano molto alle lotte nate durante il primo sviluppo capitalistico quando i lavoratori si ribellavano, cercavano di migliorare le proprie condizioni di vita, ma la nuova classe di proletari non metteva in discussione il potere politico ed economico della borghesia e la possibilità di eliminare il sistema capitalistico. Solo con lo sviluppo delle contraddizioni di classe e l'influenza del materialismo storico e dialettico il proletariato iniziò a prendere coscienza della sua condizione subordinata e della necessità di prendere il potere politico strappandolo alla borghesia, incoraggiato dall'esempio della rivoluzione d'Ottobre.
Per molti versi oggi siamo tornati a una situazione pre-marxista. Allo stesso modo si lotta per difendere i propri interessi perché nessuno è contento di essere sfruttato, umiliato e vivere al limite della sussistenza. Non c'è fiducia nella classe dominante borghese, nei suoi governi, ma invece di mettere all'ordine del giorno la necessità del socialismo ci si affida a soggetti che non mettono in discussione il sistema attuale, come ad esempio il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Una perdita di coscienza e di consapevolezza che viene da lontano, causata dalla direzione riformista, revisionista e opportunista assunta dal PCI, in particolare da Togliatti, Longo, Berlinguer e Occhetto, e dalle sue brutte copie PRC e PdCI che hanno completato la decomunistizzazione e la deideologizzazione del proletariato e spinto in un vicolo cieco le nuove generazioni di comunisti.
A questo si deve aggiungere la completa trasformazione dei sindacati confederali in sostenitori delle istanze padronali, compresa la Cgil che ha portato a termine l'adesione al modello collaborazionista, cogestionario e filocapitalista, diventando un sindacato istituzionale e di regime del tutto simile a Cisl e Uil. Un ruolo che la Cgil rivendica pubblicamente attraverso l'approvazione della Carta dei Diritti universali del lavoro (non quindi dei lavoratori). Questa Carta, che noi respingiamo, chiede l'attuazione di un paio di articoli della Costituzione, il 39 che riguarda il riconoscimento istituzionale delle organizzazioni dei lavoratori e l'articolo 46 che include i lavoratori in un sistema cogestionario e di sottomissione agli interessi aziendali. Articoli che lo sviluppo della lotta di classe dal dopoguerra a oggi aveva sempre messo in un angolo.
La Cgil di oggi è dominata da un gigantesco apparato burocratico, insediato ben oltre il sindacato vero e proprio ma con ramificazioni nei patronati, negli enti bilaterali, nell'Inps, legato a doppio filo alle correnti politiche della “sinistra” borghese, con ex segretari nazionali diventati apertamente dei sostenitori del neoliberismo capitalista, come Epifani e Cofferati. La stessa Fiom ha perso quel ruolo di avanguardia che la differenziava in buona parte dal resto della Cgil. Il suo segretario Landini ha fatto pace con la Camusso gettando alle ortiche tutte le lotte portate avanti da questa organizzazione, dalla difesa del contratto nazionale all'opposizione al Modello Marchionne, omologandosi completamente alle posizioni della segreteria nazionale dove recentemente gli è stato consentito di entrare.
Nonostante tutto noi marxisti-leninisti rimaniamo nella Cgil, ma non escludiamo a priori l'adesione a “sindacati di base” ove siano realmente rappresentativi della maggioranza dei lavoratori, senza tuttavia rinunciare alle nostre posizioni. Da sempre abbiamo privilegiato la Cgil perché in questo sindacato è storicamente organizzata la stragrande maggioranza della classe operaia, dei pensionati e di buona parte dei lavoratori e perché crediamo sia sbagliato abbandonare nelle mani della destra sindacale, del PD, di MDP, di Sinistra Italiana e di altri partiti e organizzazioni riformisti, quella che a tutt'oggi è la più grande organizzazione di massa del nostro Paese, ma al contempo lavoriamo per costruire uno scenario sindacale diverso che rappresenti gli interessi dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati, autonomo da tutti quei vincoli che oggi rendono i sindacati confederali complici del capitalismo, del governo e dell'Unione europea imperialista.
Non crediamo però che la soluzione siano i cosiddetti “sindacati di base”. Questi sindacati, su posizioni di sinistra rispetto ai confederali, nella pratica si sono dimostrati incapaci di rappresentare i milioni di lavoratori e pensionati italiani. Sono afflitti dagli stessi mali e per di più sono corporativi, settari e i loro dirigenti, legati a partiti minori a sinistra del PD, sono attaccati alla poltrona come i dirigenti confederali. La Usb, il sindacato che intendeva unire e frenare la perpetua frammentazione dei “sindacati di base”, dopo un inizio caratterizzato da posizioni molto conflittuali, sta diventando una variante di sinistra della Cgil. Guidato da un gruppo dirigente legato mani e piedi al raggruppamento trotzkista Rete dei comunisti, senza che molti iscritti all'USB nemmeno lo sappiano, sta facendo scivoloni sempre più rovinosi, come l'accettazione dell'accordo sulla rappresentanza che limita le libertà sindacali e di sciopero, come il sostegno non ufficiale ma evidente, alla sindaca di Roma Raggi, come i rapporti sempre più frequenti con i 5 Stelle. Movimento che predica la “fine del lavoro” sostituito dal reddito di cittadinanza e auspica la cancellazione dei sindacati per sostituire la contrattazione collettiva con quella personale.
Neanche la costituzione di un “nuovo sindacato di classe” crediamo sia la soluzione giusta. Nell'attuale situazione si risolverebbe in una nuova sigla come ce ne sono tante, presente solo in poche categorie e in un territorio limitato, senza che in concreto cambi niente. È da un'attenta riflessione sulla situazione sindacale e politica italiana che il nostro Partito ha elaborato da tempo la proposta di un unico Grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati. Ciò comporta inevitabilmente lo scioglimento di tutti i sindacati attuali per far posto a quello generale da noi auspicato, superando l'illusione che i “sindacati di base” possano costituire una valida alternativa e la speranza che si possa cambiare la direzione della Cgil, divenuta irrealizzabile perché oramai è irriformabile ed è diventata irreversibilmente un sindacato istituzionale.
Secondo il PMLI il sindacato deve operare in modo indipendente e autonomo dal governo, dal padronato e dai partiti; deve poggiare la sua azione sulla lotta di classe, deve rifiutare per principio la concertazione, la cogestione, il "patto sociale", il neocorporativismo, le compatibilità economiche capitalistiche, la subordinazione dei salari ai profitti e degli interessi generali delle masse lavoratrici alle esigenze dello Stato borghese. Inoltre deve opporsi alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni, alla deregolamentazione del lavoro, alla precarizzazione, ai voucher, alla previdenza privata. Mentre deve lottare per un forte aumento delle retribuzioni e delle pensioni, per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, contro le deroghe e per la difesa del contratto nazionale, per ottenere provvedimenti efficaci per la sicurezza sul lavoro, per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, per lo stesso salario tra donne e uomini.
 

La lotta contro il capitalismo

Le battaglie contro i suoi effetti non mancano, quello che manca è la lotta contro il capitalismo stesso, cioè contro la causa delle diseguaglianze, dell'esistenza delle classi, dello sfruttamento della minoranza sulla maggioranza del popolo, del razzismo, della xenofobia, dell'omofobia, della ricchezza del paese concentrata in un pugno di miliardari, dell'inquinamento, della devastazione del territorio, della povertà, della guerra imperialista, della subalternità della donna all'uomo, della violenza dell'uomo sulla donna. Questo perché i partiti nominalmente comunisti e quelli cosiddetti di sinistra che avevano o hanno le forze necessarie e l'influenza adeguata sulle masse non hanno mai posto la questione dell'abbattimento del capitalismo e della dittatura della borghesia per sostituirli con il socialismo e la dittatura del proletariato.

A cominciare dal PCI che sin dalla nascita, avvenuta con la giusta e sacrosanta scissione dal PSI riformista, dopo un breve periodo a guida settaria, dogmatica e trotzkista di Bordiga, ha sempre avuto un gruppo dirigente revisionista di destra. Soprattutto dopo la guerra di Liberazione dal nazifascismo si sono palesati tutti i suoi limiti dal punto di vista di classe e rivoluzionario. Sotto la direzione di Togliatti è stato alla testa di grandi lotte operaie e contadine, ma la sua non è mai stata una battaglia che avesse come fine strategico l'abbattimento del capitalismo e l'instaurazione del socialismo. Per un certo periodo si è dovuto allineare, sia pure a parole, alle posizioni di Stalin data la forte influenza che questi esercitava sui comunisti e sul proletariato italiani. Ma dall'VIII Congresso, che si è svolto nel dicembre 1956, non a caso dopo il famigerato XX Congresso del PCUS, esso ha abiurato ufficialmente alla rivoluzione proletaria e quindi al socialismo.
Considerando la Costituzione del '48, che ha contribuito a scrivere attenendosi alla democrazia borghese e al liberalismo, l'alfa e l'omega del suo programma generale ha imprigionato i sinceri comunisti e il proletariato nel capitalismo e gettato a mare la lotta di classe. I partiti succeduti al PCI, dal PDS al PD e quelli falsi comunisti, hanno seguito la stessa strategia capitalista e costituzionale, con le dovute differenze tattiche, secondo le rispettive basi elettorali. Dobbiamo quindi continuare a sudare le proverbiali sette camicie per rimuovere queste situazioni, per cambiare scenario politico, per smantellare tutte le illusioni riformiste, per convincere il proletariato, le masse di sinistra e le ragazze e i ragazzi che aspirano a un nuovo mondo che non basta lottare per difendere i propri diritti e migliorare le proprie condizioni, e nemmeno basta definirsi comunisti e anticapitalisti. Bisogna dichiarare guerra al capitalismo e porsi apertamente l'obiettivo strategico del socialismo.
Un cambiamento radicale di pensiero, di cultura e di pratica sociale che richiede un PMLI con un corpo da Gigante Rosso, che significa avere più militanti, più Cellule, più Comitati provinciali e regionali, ed essere presenti in ogni città e campagna, in ogni luogo di lavoro, specie nelle fabbriche e nei campi, e in ogni scuola e università. Possiamo farcela, gradualmente e nel tempo, se applichiamo le indicazioni concrete che ci ha dato il compagno Giovanni Scuderi in occasione del 40° compleanno del PMLI. Prima tra tutte di stabilire dei piani su ciascuno dei tre elementi che costituiscono la parola d'ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi ”. Prevedendo anche delle campagne sui temi del lavoro e della disoccupazione.
In questo mese cade il centenario della fondamentale opera di Lenin “Stato e Rivoluzione”. Rileggiamola per rinfrescarci le idee su queste due fondamentali questioni, per ricavarne nuove forze e per verificare la giustezza della linea ideologica e politica del PMLI. Se la leggeranno i fautori del socialismo faranno delle scoperte teoriche e politiche inimmaginabili, mentre agli intellettuali progressisti si apriranno nuovi orizzonti.
È estremamente utile leggere anche l'importante storia del Partito di Lenin e Stalin, scritta nel 1938 da una commissione diretta da Stalin incaricata dal Comitato centrale, che “Il Bolscevico” sta pubblicando a puntate. Mao, a proposito, nel maggio del 1941 in “Riformiamo il nostro studio” ha scritto: “Adottare, come principale materiale di studio del marxismo-leninismo, la Storia del partito comunista (bolscevico”) del'U.R.S.S. (breve corso). Quest'opera è la migliore sintesi e il miglior bilancio del movimento comunista internazionale negli ultimi cento anni, un modello di unità tra teoria e pratica, il solo modello completo esistente al mondo. Vedendo come Lenin e Stalin hanno unito la verità universale del marxismo alla pratica concreta della rivoluzione nell'Unione Sovietica e hanno su questa base sviluppato il marxismo, comprenderemo come dobbiamo lavorare in Cina” . E noi in Italia per proseguire la marcia sulla via dell'Ottobre verso l'Italia, unita, rossa e socialista.
La lotta anticapitalista e per il socialismo non può non avere nel mirino l'attuale governo borghese, guidato dal “marxista-leninista” rinnegato Gentiloni. Un governo le cui decisioni sono in perfetta continuità con quello precedente, che agisce sotto l'influenza del nuovo duce Renzi costretto a dimettersi dopo la batosta subita dalla sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso.
Con Renzi abbiamo assistito a una serie impressionante di controriforme istituzionali come quella dell'istruzione con la “Buona scuola” e della pubblica amministrazione con la legge Madia che hanno portato ancora più avanti la fascistizzazione del Paese e acuito le disuguaglianze di classe con una politica fiscale ed economica favorevole ai capitalisti a cui sono state riservate tutte le agevolazioni e sgravi possibili mentre ai lavoratori sono stati tolti diritti e salario. La controriforma che ha più caratterizzato il governo Renzi è stata senza dubbio il Jobs Act, che oltre a concedere una gigantesca esenzione fiscale ai padroni ha cancellato il diritto del lavoro borghese, il più grave attacco alle conquiste dei lavoratori mai sferrato da un governo nella storia della Repubblica borghese nata nel 1946. Il Jobs Act cancella gran parte delle conquiste degli anni 60 e 70 del secolo scorso tra cui lo Statuto dei lavoratori e l'articolo 18 in esso contenuto, e al suo posto sono state instaurate nuove relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano.
Con l'arrivo di Gentiloni nella sostanza non è cambiato niente. A partire dalla riconferma della politica militare interventista dell'imperialismo italiano e in particolare il desiderio sfrenato di mettere la Libia sotto il proprio controllo arrivando persino a inviare le navi da guerra nelle sue acque, con l'attuazione del disegno di legge che attua le linee guida del “Libro bianco delle forze armate”, per sviluppare ulteriormente l'esercito professionale a supporto delle ambizioni dell'imperialismo italiano sempre più coinvolto militarmente nel Medio Oriente e nella guerra allo Stato Islamico, col rischio di provocare ritorsioni terroristiche in Italia. Con il progetto del “Pentagono Italiano”, una sorta di accentramento dei comandi militari in poche mani, svincolato dal controllo del parlamento sostituito da quello del governo, si fa definitivamente a pezzi l'articolo 11 della Costituzione Italiana, già ignorato e calpestato con le missioni militari all'estero.
Sul fronte interno si prosegue con l'opera nefasta di Renzi, portando a compimento i decreti attuativi del Jobs Act mentre sui voucher, con Gentiloni abbiamo assistito ad un atto provocatorio senza precedenti. Eliminati dal governo per paura d'incappare in un'altra cocente sconfitta come quella del 4 dicembre i voucher sono stati reintrodotti con un colpo di mano fregandosene dei 3,3 milioni di firme raccolte dalla Cgil e dai precari, infrangendo anche in questo caso la Costituzione. Questo governo è andato avanti con i decreti attuativi della “Buona scuola”, l'odiata riforma aziendalista e filopadronale della scuola, considerata da Gentiloni un caposaldo della continuità del progetto neoliberale renziano assieme al Jobs Act. Il tanto sbandierato “reddito d'inclusione” rappresenta una elemosina di Stato inquadrata nel più complessivo riordino del welfare che prevede come contropartita l'abbandono pressoché totale dello Stato dal finanziamento dei servizi e degli “ammortizzatori sociali”. Viene costantemente attaccato il diritto di sciopero. A giugno Gentiloni e Delrio si sono scagliati contro i lavoratori e i sindacati dei trasporti perché aveno osato scioperare contro le privatizzazioni del settore. Ai migranti e ai giovani di sinistra viene riservato il manganello, alla Mussolini, come ha fatto a Roma contro i rifugiati eritrei ed etiopi e a Bologna contro due centri sociali.
I decreti Minniti e Minniti-Orlando, sono dei provvedimenti di chiara matrice fascista, xenofoba e razzista. Il primo assegna poteri da questori ai sindaci col fine di “ripulire” le città nascondendo poveri e barboni ma anche per tarpare le ali a proteste e manifestazioni, il secondo istituisce una giustizia a due velocità, meno garantista e più vessatoria per i migranti che non potranno avvalersi del ricorso in appello e a cui verranno riservati dei tribunali speciali. Poi abbiamo assistito alla farsa della legge sulla tortura. Se ai migranti è riservata la “tolleranza zero”, carabinieri, polizia e “forze dell'ordine” godono di uno sfacciato garantismo che di fatto lascia impuniti seviziatori come quelli alla caserma Bolzaneto e alla scuola Diaz di Genova durante il G8 o gli assassini di Cucchi a Roma.
Approfittando del disinteresse, se non della copertura, del governo e delle istituzioni, i gruppi neofascisti e neonazisti hanno alzato la testa e si fanno sempre più aggressivi, promuovono ronde squadristiche e osano persino indire una marcia su Roma promossa da Forza nuova. Vanno fermati. Invitiamo tutte le forze antifasciste a unirsi per impedire la marcia provocatoria. Chiediamo inoltre al governo Gentiloni di mettere fuori legge tali gruppi applicando la XII disposizione transitoria, primo comma, della Costituzione e le relative leggi Scelba e Mancino.
Questo governo è impotente e inadempiente anche sul fronte femminile perché non combatte la cultura borghese patriarcale, maschilista e antifemminile di cui sono permeate le istituzioni e la scuola, perché non prende misure adeguate e democratiche per tutelare la vita sociale e la sicurezza delle donne e non fa nulla per attuare la piena parità tra donna e uomo in tutti i campi. Da qui il femminicidio, la violenza degli uomini sulle donne e gli stupri, particolarmente odiosi quelli commessi dai carabinieri a Firenze, una vergogna istituzionale assolutamente imperdonabile.
Non parliamo poi della prevenzione dei terremoti e delle alluvioni che causano morti e distruzioni come a Livorno. Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze per gli otto morti e la nostra solidarietà militante alla popolazione labronica per gli enormi danni subiti, che debbono essere risarciti senza indugio. Dalle responsabilità non si salva il sindaco 5 stelle Nogarin che non ha allertato adeguatamente la popolazione davanti all'imminente pericolo e da quando governa non ha fatto nulla contro il dissesto idrogeologico di Livorno. In tal senso ha gravi responsabilità anche il governatore della Toscana Rossi del Mdp.
La composizione, gli obiettivi e gli atti di questo esecutivo ci dimostrano quanto il comunicato dell'Ufficio politico del PMLI del 14 dicembre dell'anno scorso avesse pienamente ragione nel denunciare quello di Gentiloni come un governo di matrice renziana, antipopolare, piduista e fascista. Per tutto ciò questo governo va in tutti i modi combattuto e abbattuto, va cacciato via!
 

La lotta per il socialismo
I governi nel capitalismo sono l'espressione politica del potere economico detenuto dalla borghesia. In Italia si sono avvicendate compagini governative borghesi di tutti i tipi, sostanzialmente nulla è cambiato perché il capitalismo non è riformabile. Chiunque pensi di modificare e addolcire il capitalismo attraverso le istituzioni borghesi facendo passare l'idea che il nemico da combattere è solo la sua forma neoliberista, o addirittura conquistare il socialismo per via parlamentare sparge solo illusioni e inganni. Il sistema capitalista può concedere qualche briciola agli sfruttati, in particolari condizioni interne e internazionali ma quando avanzano crisi di sovrapproduzione e finanziarie e si riduce il saggio del profitto il sistema mostra la sua faccia “più cattiva”. Lo scopo del capitalismo è sempre lo stesso: la ricerca del massimo profitto e del massimo sfruttamento dei lavoratori.
Il nemico del proletariato è quindi il capitalismo in quanto tale e l'unica alternativa è il socialismo che, lo diciamo con le parola di Mao, “consiste nella distruzione della proprietà privata capitalistica e nella sua trasformazione in proprietà socialista di tutto il popolo, nella distruzione della proprietà individuale e nella sua trasformazione in proprietà collettiva socialista” .(6) In queste poche parole sta la sintesi del programma di un vero partito comunista che oggi più correttamente definiamo marxista-leninista.
Il proletariato deve quindi riappropriarsi della propria ideologia, cioè del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, e lottare per la realizzazione della società che gli consente di esercitare il potere politico, di emanciparsi e contemporaneamente emancipare la società tutta dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e questa società è il socialismo. Il capitalismo è il sistema economico realizzato dalla borghesia con cui esercita il suo potere, il socialismo è la società del proletariato. Nella società divisa in classi non possono esistere parità di condizioni tra proletariato e borghesia. A tale proposito Mao diceva: “In realtà, nel mondo, libertà e democrazia non possono esistere in astratto, ma solo in concreto. In una società in cui si svolge la lotta di classe, le classi sfruttatrici hanno la libertà di sfruttare i lavoratori e i lavoratori non hanno la libertà di non subire lo sfruttamento. Vi è la democrazia per la borghesia e non per il proletariato e i lavoratori. Alcuni paesi capitalistici tollerano anche l'esistenza legale di partiti comunisti ma soltanto nella misura in cui questi non ledono gli interessi fondamentali della borghesia e non la permettono più oltre a questo limite”. (7)
Non si cambia l'Italia, non si portano avanti le lancette della storia se non si conquista il socialismo, l'unica, reale alternativa al capitalismo. Solo il socialismo permette alla classe operaia di esercitare il potere politico e di costruire un nuovo mondo senza più sfruttamento, classi, miseria, disoccupazione, disuguaglianze sociali e di genere, arretratezze e dislivelli territoriali. Conquistare il socialismo attraverso la rivoluzione proletaria guidata dal partito della classe operaia è l'obiettivo irrinunciabile di un autentico partito comunista e il PMLI, fin dalla sua nascita, si è mantenuto su questa linea.
Socialismo e rivoluzione sono strettamente legati tra di loro, non possiamo parlare di socialismo senza rivoluzione. Non solo l'elaborazione teorica di Marx ed Engels ma la stessa esperienza storica del movimento operaio e comunista nazionale e internazionale sono li a dimostrarci che al proletariato è preclusa la conquista del potere politico attraverso il parlamentarismo e le istituzioni borghesi. La democrazia borghese è antagonista al socialismo perché ha un limite invalicabile: la difesa della proprietà privata. In ogni caso se, in particolari condizioni, essa viene forzata e si cerchi di modificarla sostanzialmente per vie legali, la borghesia è pronta ad usare la forza per impedire che venga spodestata dal potere, gli esempi al riguardo non mancano.
Oggi tra le masse popolari italiane, tra i giovani, e finanche tra la classe operaia, il socialismo non è più una questione di attualità. Nel passato, fino ad alcuni decenni fa, il proletariato aveva una forte coscienza anticapitalista e propendeva fortemente per il socialismo, tanto che questa coscienza contribuiva a smuovere anche i partiti riformisti che in qualche modo dovevano reagire di fronte agli stimoli che ricevevano. Oggi, specie tra le nuove generazioni, siano essi operai o studenti, non c'è la minima consapevolezza di che cosa sono realmente il socialismo, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, le sue realizzazioni e la sua applicazione concreta, gli sviluppi portati da Lenin, Stalin e Mao, la sua potenza liberatrice che ha tolto le catene a milioni di donne e uomini, l'influenza che ha avuto sulla storia del XX secolo e le potenzialità che ha ancora oggi se il proletariato se ne riappropria. Di conseguenza i lavoratori si ritrovano smarriti di fronte agli attacchi del capitale.
Per questi motivi noi marxisti-leninisti ci appelliamo ancora una volta a tutti i fautori del socialismo ovunque si trovino organizzati attualmente, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle ragazze e ai ragazzi più informati e avanzati politicamente, a dare la propria forza al Partito marxista-leninista italiano, un Partito che rimane fedele al socialismo e crede che la sua conquista avvenga attraverso una rottura con il passato, attraverso la rivoluzione proletaria, rigettando le teorie revisioniste di Krusciov e dei riformisti italiani che, prima di passare armi e bagagli nel campo borghese predicavano la “via italiana al socialismo” attraverso il parlamentarismo e il pacifismo, una via perdente, sconfessata in ogni parte del globo.
Le illusioni elettorali hanno devastato gravemente la coscienza politica delle masse più avanzate e combattive. Sicuramente condizioneranno la scelta dell'elettorato di sinistra alle elezioni politiche della prossima primavera. Anche perché si presenteranno “nuove” liste a sinistra del PD. Una sarà capeggiata da Pisapia, antico imbroglione politico che negli anni '70 predicava la rivoluzione socialista come esponente di Avanguardia operaia e Prima linea. Come il suo alleato Bersani, ex fondatore della sezione di “Avanguardia comunista” del suo paese. È facilmente prevedibile che spargeranno nuove illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative, noi dobbiamo fare quanto ci sarà possibile per smascherarle, cercando di far comprendere all'elettorato di sinistra che l'unica via per cambiare l'Italia è quella dell'Ottobre e che l'unico voto che rappresenta gli interessi delle masse e che fa molto male al capitalismo, alle sue istituzioni, al suo governo e ai suoi partiti è l'astensionismo considerandolo come un voto dato al PMLI e al socialismo. La stessa battaglia astensionista dobbiamo farla per le elezioni regionali siciliane di novembre.
 

Il disegno generale del PMLI per il socialismo
Il nostro Partito ha un sua idea chiara del socialismo. Un quadro generale e a grandi linee ma sufficiente a chiarire che cosa intendiamo per socialismo e quali sono le differenze sostanziali tra i marxisti-leninisti italiani e altre organizzazioni e partiti che si richiamano al socialismo. Sicuramente terrà conto della storia del nostro Paese, della sua cultura, delle sue caratteristiche particolari, dei rapporti di classe che si verificheranno dopo la rivoluzione.
La rivoluzione socialista, al momento opportuno, quando saranno mature le condizioni oggettive e soggettive, è la premessa necessaria prima di aprire qualsiasi discorso di trasformazione della società. Come abbiamo visto la storia internazionale e del nostro Paese ci ha insegnato che la via parlamentare al socialismo è preclusa, chiusa a doppia mandata. Nel centenario della Rivoluzione d'Ottobre ribadiamo che quella è la via maestra, L'Ottobre è stato una grande vittoria storica del proletariato sulla borghesia, del socialismo sul capitalismo, della concezione del mondo proletaria sulla concezione del mondo borghese, del marxismo-leninismo sul revisionismo, della rivoluzione proletaria sul parlamentarismo, l'elettoralismo, il riformismo e il legalitarismo, del Partito del proletariato sui partiti borghesi e riformisti.
Come si legge nell'importante documento del Comitato centrale celebrativo del centenario della Rivoluzione d'Ottobre, che sarà reso pubblico il 25 Ottobre: “Questo straordinario evento storico merita di essere studiato a fondo da tutto il proletariato... da tutti gli sfruttati e oppressi, da tutti coloro che credono nel socialismo, indipendentemente dall'attuale collocazione organizzativa, da tutte le ragazze e i ragazzi che lottano per un nuovo mondo. Anche tutti i militanti e i simpatizzanti del PMLI devono studiarla per marciare a luci accese e con le idee chiare sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista. La storia del PC (bolscevico) dell'Urss, redatta nel 1938 da una Commissione presieduta da Stalin, che 'Il Bolscevico' ha cominciato a pubblicare, è fondamentale in questo senso” .
Le grandi esperienze dell'Urss di Lenin e Stalin e della Cina di Mao sono per noi una grande fonte di ispirazione e insegnamenti. Sia Lenin che Stalin hanno sempre dichiarato che la Rivoluzione d'Ottobre e ciò che ne è derivato hanno assunto determinate caratteristiche sulla base delle peculiarità della Russia ma il suo valore è universale. Lenin a proposito diceva: “poteva sembrare che le immani differenze esistenti tra la Russia arretrata e i paesi progrediti dell'Europa occidentale avrebbero reso la rivoluzione del proletariato in questi paesi assai poco simile alla nostra”. L'esperienza invece ha dimostrato, egli continua, che "alcune caratteristiche fondamentali della nostra rivoluzione non hanno un significato locale, specificamente nazionale, esclusivamente russo, ma un significato internazionale … non alcuni ma tutti i tratti fondamentali e molti tratti secondari della nostra rivoluzione hanno un significato internazionale nel senso che questa rivoluzione esercita un'influenza su tutti i paesi” .(8)
C'è grande differenza tra “via nazionale al socialismo” intesa come una sua sostanziale rinuncia sostituito da una ipotetica “terza via” che alla fine si concretizza in un capitalismo addolcito dove la borghesia mantiene il suo potere, e un socialismo diciamo “classico” che tiene conto delle caratteristiche nazionali ma anche delle esperienze storiche socialiste prima elencate, incardinato sull'abolizione della proprietà privata, sul controllo totale dei lavoratori in tutti i campi attraverso lo Stato socialista e il Partito del proletariato.
Al primo campo, quello delle “terze vie” e delle “vie nazionali” appartengono teorie come quella del “Socialismo del XXI secolo”, nata e sviluppatosi in America Latina come rimasticatura di Gramsci, Trotzki, Guevara, Castro e concezioni cristiane, riformiste, anarchiche, movimentiste. Nel corso degli anni le hanno fatte proprie partiti e movimenti di altri paesi. Ricordiamo l'adesione o il sostegno al “Socialismo del XXI secolo” da parte del Partito Laburista Britannico di Jeremy Corbyn e in Italia da parte del Partito della Rifondazione Comunista e di altri gruppi sedicenti comunisti. Non c'è da meravigliarsi di ciò visto che la filosofia di Chavez prevede il ripudio del socialismo dell'Urss di Lenin e Stalin e della Cina di Mao, della dittatura del proletariato, della rivoluzione socialista, del movimento comunista del Novecento, della concezione marxista-leninista del Partito; mentre accetta il capitalismo, la proprietà privata capitalistica, la democrazia borghese, il parlamentarismo, il pacifismo, il riformismo, la collaborazione tra le classi e l'esistenza delle classi.
Noi appoggiamo gli Stati sudamericani “bolivariani” nella loro lotta contro l'ingerenza economica e politica dell'imperialismo statunitense nei loro Paesi, ma non rappresentano certo il nostro modello di socialismo. In quei Paesi il potere non è nelle mani del proletariato ma della “sinistra” borghese: al massimo può nazionalizzare alcuni settori economici, estendere la copertura sanitaria, sostituire alcune baracche con alloggi migliori, togliere dall'analfabetismo o dalla strada i più poveri, ma solo questo non è socialismo e neppure questo è stato realizzato come ci dimostrano le cronache drammatiche di questi mesi che ci giungono dal Venezuela. Pur condannando risolutamente i tentativi golpisti degli Usa e dei loro servi fascisti venezuelani non possiamo che essere critici verso i governi di Chavez e Maduro che non sono riusciti a risolvere i drammatici problemi delle masse e a rimuovere le cause che li generano, e non poteva essere altrimenti perché la cosiddetta “rivoluzione bolivariana” si è mantenuta dentro i canali del capitalismo, rappresentando semplicemente non una “rivoluzione” ma una nuova versione del potere della borghesia in chiave socialdemocratica e riformista.
Non siamo nemmeno d'accordo con lo pseudo socialismo e con la teoria nazionalista Jouche della Repubblica popolare democratica di Corea, tuttavia difendiamo con forza il suo diritto all'autodifesa nucleare contro le minacce di aggressione dell'imperialismo americano e del dittatore fascista Trump.
Il nostro progetto di socialismo, come riportano i documenti del III Congresso nazionale del PMLI, prevede “per prima cosa che immediatamente dopo la vittoria della rivoluzione socialista, in tempi più rapidi possibili, in base alle condizioni del momento, dovremo interamente distruggere il vigente ordinamento economico, statale, istituzionale, militare e giuridico. Senza pietà e tentennamenti dovremo distruggere e cancellare ogni cosa che è servita alla classe dominante borghese a opprimere e sfruttare i lavoratori, altrimenti non sarà possibile costruire una nuova organizzazione economica, statale e sociale a misura degli operai e dei lavoratori. Sul piano economico dovremo strappare alla borghesia e ai latifondisti tutto il capitale, tutte le banche, tutti i mezzi di produzione e di scambio, tutta la terra, tutte le fabbriche e le aziende agricole, tutte le miniere, le cave, tutti i mezzi di trasporto via terra, mare e cielo, tutti i mezzi di comunicazione di massa, tutto il patrimonio edilizio urbano e rurale. Tutto ciò dovrà essere accentrato nelle mani del nuovo Stato che ne disporrà per promuovere l'economia socialista e per il benessere dei lavoratori e del popolo”.
I lavoratori nel socialismo non devono essere spettatori di un qualcosa che avviene al di fuori e al di sopra di loro, ma i veri protagonisti dello sconvolgimento sociale, gli ideatori e i realizzatori della nuova società. Come diceva Mao “la classe operaia deve dirigere tutto” (9). Mao fu particolarmente attento alla partecipazione attiva dei lavoratori, dei contadini e delle masse popolari e giovanili all'edificazione del socialismo. Basandosi sull'esperienza sovietica dove il colpo di Stato kruscioviano aveva rimesso il potere nelle mani della borghesia, che aveva i connotati della burocrazia privilegiata del PCUS revisionista, Mao puntualizzò che il periodo transitorio tra capitalismo e comunismo rappresentato dal socialismo avrebbe abbracciato un periodo storico molto lungo in cui la lotta di classe continuava, nella società e fin dentro il partito comunista e la borghesia avrebbe tentato in tutti i modi di riprendere il potere. Questo fu uno dei maggiori contributi di Mao al marxismo-leninismo, un punto che Stalin non era riuscito a cogliere per tempo, anche se poco prima di morire aveva iniziato a mettere a fuoco in Problemi economici del socialismo in URSS scritto nel 1952.
Mao ha sempre dato la priorità alla lotta di classe e per questo motivo voleva le masse attive e vigili, non passive e remissive, che fossero in grado di riconoscere i falsi dagli autentici comunisti. Fedele ai principi marxisti-leninisti ha sempre sottolineato come lo sviluppo della società si basi sulla lotta di classe, sulle contraddizioni, sulla lotta tra le due linee, quella capitalista e quella socialista. Sulla base della teoria della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato considerava la lotta di classe come il motore del processo di edificazione del socialismo, questo fu anche uno dei principali nodi su cui s'incentrarono i suoi scontri con i revisionisti Liu Shaoqi, Deng Xiaoping e altri che ritenevano chiuso il capitolo della lotta di classe e sostenevano che tutto doveva essere subordinato alla produttività e allo sviluppo economico fine a se stesso. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria fa parte di questa lotta tra marxisti-leninisti e revisionisti, proletariato e borghesia, capitalismo e socialismo, fu una grandiosa esplosione di lotta di classe che nello specifico aveva lo scopo di prevenire e impedire la restaurazione del capitalismo in Cina e tagliare alle radici il revisionismo.
In Italia ci sono altri partiti che si dichiarano per il socialismo, ma non ci sembrano al momento credibili e affidabili. Uno, il PC di Rizzo, per il passato revisionista, riformista, parlamentarista e governativo della maggioranza dei suoi dirigenti, mai autocriticatisi, e perché non ha ancora dedicato una sola parola alla lotta storica contro il revisionismo condotta da Mao a livello internazionale e dal PMLI a livello nazionale e non si è espresso chiaramente sulla violenza rivoluzionaria e sulla rivoluzione proletaria. Il (nuovo)PCI clandestino e la sua faccia legale rappresentata dal partito dei Carc che si rifanno a parole al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, mentre esaltano il terrorismo reazionario delle sedicenti “Brigate rosse” delle quali si dichiarano eredi, portano avanti strampalate proposte come il “governo di blocco popolare” da “imporre alla Repubblica pontificia”, cioè all'Italia, il voto a sostegno del M5S e di De Magistris e la difesa e l’applicazione della Costituzione. Tutti si rifanno a Gramsci, il principale teorico del revisionismo italiano, e al trotzkista Secchia. Poi ci sono altri partiti ancora più lontani dalla nostra idea di socialismo come il PCI di Mauro Alboresi che celebra contemporaneamente la Rivoluzione d'Ottobre e Berlinguer, ossia chi rappresenta la negazione della rivoluzione socialista ed emblema della collaborazione con la borghesia attraverso il “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana. Infine c'è Eurostop diretta dall'operaista trotzkista Cremaschi, che almeno a parole si schiera per il socialismo ma che per la sua composizione e per il suo programma fanno propendere più per una nuova formazione “operaista”, trotzkista e movimentista che non va oltre la battaglia, seppur importante, contro la UE, l'euro e la Nato, e ha come scopo ultimo non il socialismo ma quello di tornare alla Costituzione e allo Stato capitalista pre-trattati di Maastricht.
Noi non rinunciamo alla polemica politica sui punti che ci dividono, tuttavia il PMLI, al di là di ogni differenza ideologica e strategica, è disponibile ad allearsi con tutte le forze che si richiamano al socialismo, in un modo o in un altro, in particolare con quelle che hanno la bandiera rossa con la falce e martello, sulle questioni politiche, sindacali, sociali di comune interesse, in primo luogo la lotta contro il governo Gentiloni e il PD del nuovo duce Renzi. Il PMLI è anche disponibile ad alleanze ancora più ampie con i partiti e i movimenti democratici borghesi che si richiamano alla Costituzione e che pongono al centro del loro programma la sua applicazione. Pur consapevole che tale Costituzione non esiste più essendo stata più volte riformata da destra e ha consentito al presidente della Repubblica e ai governi in carica di violarla impunemente.
Il PMLI in molte realtà locali dove è presente applica concretamente questa politica di fronte unito, partecipando e organizzando assieme ad altri partiti iniziative di lotta o dibattiti sui temi più svariati. Ultimamente di queste iniziative ce ne sono state in Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia ed anche in altre regioni. Il nostro Partito però non rinuncerà mai ai suoi principi che possono piacere o non piacere, ma sono chiari e definiti e prevedono la lotta senza quartiere al capitalismo, alla borghesia e alle sue istituzioni. Non rinuncerà mai allo scopo per cui è nato: fare la rivoluzione proletaria e instaurare il socialismo. Non abbandonerà la via dell'Ottobre, la via universale dell'abbattimento del capitalismo, tiene salde le sue radici nel terreno del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, arma invincibile con cui il proletariato può spazzare via la borghesia e il capitalismo.
Gloria eterna a Mao!
Con Mao per sempre contro il capitalismo, per il socialismo!
Viva i cinque Maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao!
Viva la lotta di classe!
Lottiamo per spazzare via il governo Gentiloni!
Avanti con forza e fiducia sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
 
Note:
Mao, Sulla Dittatura Democratica Popolare, 30 giugno 1949, Opere scelte, Casa Editrice in lingue estere di Pechino, vol. 4, pag. 424-426
Mao, Discorso alla 2ª sessione plenaria dell'8° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, 15 novembre 1956, Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957, Einaudi editore, pp.454-455
Marx, Il Capitale, 1867, Libro 1 (Compera e vendita della forza-lavoro), Editori riuniti, pag. 202.
Mao, Abbandonate le illusioni, preparatevi alla lotta, 14 agosto 1949, Opere scelte, vol. 4, p. 443
Mao, Riformiamo il nostro studio, maggio 1941, opere, vol. 3
Mao, Bisogna avere una ferma fiducia nella maggioranza delle masse, 13 ottobre 1957, Discorso alla 13ª Sessione della Conferenza suprema di Stato
Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957, Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957, Einaudi editore, pp. 540-41
Lenin, L'estremismo, malattia infantile del comunismo, 27 aprile 1920, Opere complete, Ed. Riuniti, vol.31, p.11
Mao, La classe operaia deve dirigere tutto, 26 agosto 1968, “Renmin Ribao” I Quaderni, n°11, novembre 1969, Edizioni Oriente

20 settembre 2017