L'importante denuncia del pm di Palermo caduta nel silenzio
Di Matteo: riaprire le indagini su mandanti esterni della strage di via d'Amelio
Il pentito Graviano ha riferito di stragi fatte come “cortesia” e di contatti con Berlusconi

Ci sono elementi nuovi che impongono di riaprire “immediatamente le indagini sui mandanti esterni a Cosa nostra” riguardo alle stragi politico-mafiose del '92-93, e in particolare sulla strage di via D'Amelio in cui fu assassinato Paolo Borsellino: è quanto ha sostenuto con forza il giudice di Palermo, Nino Di Matteo, titolare del processo per la trattativa Stato-Mafia, che dal 1993 vive sotto scorta, deponendo davanti alla Commissione parlamentare Antimafia il 13 settembre scorso.
L'audizione era stata chiesta a luglio dallo stesso Di Matteo, dopo che una delle figlie di Borsellino, Fiammetta, aveva dichiarato che erano passati inutilmente 25 anni di indagini e lo aveva citato come uno dei responsabili del depistaggio attuato attraverso il falso pentito Vincenzo Scarantino, autoaccusatosi della strage di via D'Amelio. Di Matteo ha chiarito di non avere responsabilità in quella vicenda, perché quando furono avviate le indagini non era ancora magistrato ma auditore, e perché entrò a far parte del pool che seguiva le stragi di mafia solo nel novembre 1994, ossia 2 anni e 2 mesi dopo l'arresto di Scarantino, avvenuto sulla base di dichiarazioni di pentiti “che mai ho interrogato e intercettazioni che mai ho ascoltato all'epoca”.
Ma Di Matteo non si è limitato a questo, e ha fornito alla Commissione anche solidi argomenti per “stimolare – ha detto – gli approfondimenti necessari anche in sede politica sul probabile coinvolgimento nella strage di soggetti esterni a Cosa nostra”. A questo scopo ha ricordato che nel processo “Borsellino ter” conclusosi nel 2003 venne fuori per la prima volta “la connessione tra la trattativa del Ros dei carabinieri con Vito Ciancimino e l'accelerazione della strage” (di via D'Amelio, ndr). In quel processo il pentito Salvatore Cancemi dichiarò che “Totò Riina, durante la riunione in cui si assunse la responsabilità di eseguire presto la strage, citò i nomi di Berlusconi e di Marcello Dell'Utri come soggetti 'da appoggiare ora e in futuro'”. Proprio di recente, ha aggiunto il pm, “questo spunto è stato alimentato da altre acquisizioni che a mio avviso dovrebbero portare alla immediata riapertura delle indagini sui mandanti esterni a Cosa nostra”.

Nuovi elementi su Berlusconi e Dell'Utri
Quali sono questi elementi nuovi a cui si riferisce Di Matteo? In passato le procure di Caltanissetta e Firenze avevano indagato e archiviato la posizione di Berlusconi, ma, ha detto il pm, “nell'ultimo periodo le indagini da me condotte con altri pm a Palermo hanno fatto emergere elementi di Prova che rafforzano il convincimento che la strage non fu solo di mafia. Paradossalmente però, in questo momento, e non è un caso, l'attenzione invece di concentrarsi sulla necessità di ulteriori approfondimenti in tal senso, si orientano a delegittimare il mio lavoro”.
Di Matteo ha ricostruito per la Commissione la figura del capomafia di Brancaccio, Giuseppe Graviano, attualmente in carcere: “È il principale protagonista degli attentati del '93 a Roma, Firenze (strage dell'autobomba agli Uffizi, ndr) e Milano, dell'accordo con la 'ndrangheta per gli attentati del '94 ai carabinieri in Calabria, del fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma”, ha detto per sottolineare quanto le sue rivelazioni, sapientemente dosate in attesa degli sviluppi politici, possano essere di peso e di prima mano per ricostruire la vicenda delle stragi. In ogni caso da non sottovalutare come invece si sta deliberatamente facendo negli ambienti politici.
Proprio Graviano, secondo le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, autoaccusatosi di aver messo le autobomba in via D'Amelio e agli Uffizi, disse al suo allora uomo di fiducia che “grazie a Berlusconi e al compaesano Dell'Utri abbiamo il Paese nelle nostre mani”. A quel tempo di queste rivelazioni “si disse che la loro valenza era limitata perché si trattava di un de relato (riferito da altri, ndr). Oggi, con le nostre intercettazioni ambientali, abbiamo ascoltato la viva voce di Graviano (intercettato in carcere, ndr) riferire di stragi fatte come 'cortesia' e di contatti con Berlusconi nel periodo delle stragi. Eppure la reazione è stata di indifferenza, di svilimento ingiustificato della valenza probatoria di quelle intercettazioni”, ha sottolineato con sdegno Di Matteo.

Renzi trattava con Berlusconi per cambiare la Costituzione
Di questa scandalosa copertura politico-mediatica del coinvolgimento di Berlusconi nelle stragi politico-mafiose del '92-93 il pm di Palermo aveva già parlato ampiamente e fuori dai denti due settimane prima intervenendo alla “Festa de Il Fatto Quotidiano ” alla Versiliana. In quell'occasione aveva ricordato che la condanna definitiva di Dell'Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, “processo spesso dimenticato”, aveva sancito in maniera inoppugnabile un fatto: “Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, partito che poi dopo il marzo 1994 diventerà partito di governo, è stato condannato per concorso esterno perché è stato il tramite della stipula e poi del mantenimento di un accordo intervenuto nel 1974 e rispettato fino al 1992. Accordo fra Silvio Berlusconi e le famiglie mafiose più potenti di Palermo”.
Chiedendosi se questa condanna passata in giudicato avesse avuto un peso nella politica italiana, Di Matteo notava amaramente: “Credo proprio che la risposta non può che essere negativa, se è vero che nei giorni in cui emergevano le motivazioni della Cassazione, il presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, discuteva proprio con Silvio Berlusconi su come riformare la Costituzione. Oggi quell'imprenditore è un attore importante tra i principali della politica attuale”. Fino al punto, aggiungiamo noi perché Di Matteo non poteva ancora saperlo, da vedersi oggi presentare su un piatto d'argento da Renzi una legge elettorale, il cosiddetto “rosatellum”, fatta apposta per farlo rientrare in parlamento e poter inciuciare ancora insieme per governare e cambiare la Costituzione e il Paese in senso presidenzialista.

Anche Napolitano contro il processo Stato-mafia
Dare alle istituzioni e al Paese una svolta presidenzialista era anche l'obiettivo delle stragi politico-mafiose del '92-93. Quello, spiegava infatti il pm palermitano nel suo intervento alla Versiliana, “fu un periodo cruciale. Le stragi sono stragi politiche, lo sono ancora di più quelle del 1993. in quegli anni bisognava fare le stragi per fare politica, per creare un nuovo tipo di rapporto con la politica di alto livello”. Per questo, denunciava riferendosi al processo sulla trattativa Stato-mafia, “non c'è una volontà di completare questo percorso di verità. Perché questo è l'unico processo che ha portato alla sbarra contemporaneamente mafiosi riconosciuti, esponenti delle istituzioni, esponenti politici”. Ed è sempre per questo che il processo è diventato “il bersaglio di tutte le calunnie, anche a causa del comportamento tenuto dall'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano”.
Calunnie portate avanti anche all'interno stesso della magistratura: “Quel processo – notava infatti Di Matteo – è diventato all'interno della magistratura un facile bersaglio proprio nel momento in cui il capo dello Stato mosse un conflitto di attribuzioni nei confronti della procura di Palermo”. Una strategia - anche se Di Matteo forse per correttezza non l'ha rammentato - che fra l'altro portò non a caso al respingimento della sua candidatura a procuratore nazionale Antimafia.
 
 
 
 

27 settembre 2017