Nonostante la repressione fascista della polizia per impedirlo
Il popolo catalano vota al referendum sull'indipendenza della Catalogna. Sì 91% No 6,7%. 840 feriti
Sciopero generale contro le violenze della polizia

 
Dai risultati diffusi dal governo catalano risulta che l'1 ottobre al referendum sull'indipendenza circa 2,3 milioni di elettori, pari a circa il 91%, hanno votato Sì, il 6,7% No, bianche e nulle 2,3%. Almeno 770 mila elettori, soprattutto nelle maggiori città a partire da Barcellona, non sono potuti andare ai seggi dopo che la polizia ne aveva chiusi oltre 300 dei 2.300 previsti, presi d'assalto e espugnati dagli agenti a colpi di manganello. Al voto ha partecipato circa il 42% del corpo elettorale, un dato che ha permesso ai contrari all'indipendenza della Catalogna di sottolineare che la maggioranza era contraria, ma è evidente che nelle condizioni di Stato d'assedio ordinato dal governo centrale del premier Mariano Rajoy restano in evidenza due dati: la maggioranza schiacciante del voto a favore dell'indipendenza e il fatto stesso che la consultazione si sia comunque svolta.
A Girona si è registrata la partecipazione più alta, il 53%, e la maggiore percentuale di Sì col 94,86%, fra le più basse per partecipazione Barcellona messa sotto assedio dalla polizia dove si è recato ai seggi il 40,78% degli aventi diritto, con il Sì all’88,57%.
Molti seggi erano stati presidiati dal giorno precedente dagli attivisti indipendentisti e fin dalle prime ore del mattino gli elettori si erano presentati allo scopo di proteggere l'arrivo delle urne per votare con le schede scaricate dalle rete dopo il sequestro di quelle ufficiali decretato dal governo centrale. La polizia locale identificava i componenti dei seggi ma non eseguiva l'ordine di bloccare il voto. Allo scopo entravano in funzione guardia civil e polizia nazionale in assetto antisommossa che a colpi di manganello e in certi casi con l'uso di armi da fuoco con proiettili di gomma sgomberavano parte dei seggi e sequestravano le urne. A bilancio restano almeno 840 feriti tra gli attivisti indipendentisti.
Al momento in cui scriviamo nella Catalogna è in corso uno sciopero generale contro le violenze della polizia nella giornata del voto indetto da una parte dei sindacati, Cgt, Iac, Intersindical Csc e Cos. Diverse centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutta la Catalogna. A Barcellona ha scioperato l'80% dei 10 mila dipendenti comunali e la maggior parte degli edifici pubblici sono rimasti chiusi, i trasporti paralizzati. A Barcellona, come a Girona e Tarragona i manifestanti si sono ritrovati davanti alle sedi della Policia Nacional a gridare “Fuori le forze di occupazione”. Applausi invece alle delegazioni dei mossos de squadra, la polizia locale, e dei vigili del fuoco presenti nei cortei.
Lo sciopero era stato indetto unitariamente dai maggiori sindacati spagnoli nella settimana precedente il voto contro la repressione scatenata dal governo di Madrid nel tentativo di impedirlo; a maggior ragione è stato confermato dopo le aggressioni selvagge della polizia ai seggi ma due fra le maggiori organizzazioni si sono tirate fuori; le organizzazioni sindacali vicine alla “sinistra” borghese, la socialista Ugt (l’Unión General de Trabajadores) e la revisionista Ccoo (Comisiones Obreras) condividevano le mobilitazioni contro “gli eccessi” della polizia ma facevano sapere che “in nessun caso appoggeremo posizioni che avallino la dichiarazione unilaterale di indipendenza”.
A urne appena chiuse il premier Rajoy definiva il voto una "messa in scena" della democrazia e sentenziava “non c'è stato un referendum per l'auto determinazione della catalogna”, ha dichiarato. Il ministro della Giustizia Rafael Català precisava che il governo centrale userà “tutta la forza della legge” per impedire che la Catalogna dichiari l'indipendenza, “anche se questo significherà ricorrere all'articolo 155”, ovvero quello che consente a Madrid di sospendere l'autonomia catalana.
Il leader della Catalogna, Carles Puigdemont, sottolineava invece che “in questa giornata di speranza e sofferenza i cittadini della Catalogna hanno vinto il diritto a uno Stato indipendente in forma di Repubblica” e dichiarava che “nei prossimi giorni il mio governo invierà i risultati del voto di oggi al Parlamento catalano, dove risiede la sovranità della nostra gente, in modo che possa agire secondo quanto previsto dalla legge sul referendum”.
La Catalogna ha già una certa autonomia dalla Spagna, ha inno, bandiera e una sua lingua, il catalano usata negli atti ufficiali. Frutto di rivendicazioni autonomiste che per una parte del movimento hanno radici fin nelle “contee” che furono create alla fine del primo millennio nell’attuale Catalogna, allora provincia periferica dell'Impero Carolingio. Istituzioni catalane che durarono fino al 1714, quando con la vittoria dei Borboni alla fine della guerra di successione spagnola il re impose un modello politico centralista simile a quello francese. Nel '900 la dittatura di Primo de Rivera e quella fascista di Francisco Franco perseguirono il catalanismo e tutti gli altri simboli che caratterizzavano la Catalogna che furono soppressi o eliminati, compreso l’uso della lingua catalana. Alla fine della dittatura di Franco, nel 1979, prese vita il nuovo statuto dell’autonomia catalana che riconosceva la Catalogna come una comunità autonoma all’interno della Spagna. Lo statuto rimase in vigore fino al 2006, sostituito da uno nuovo che garantiva alla “nazione” catalana maggiori poteri, soprattutto in campo finanziario. Il Tribunale costituzionale spagnolo, nel 2010, dichiarò l’incostituzionalità di diversi articoli del nuovo statuto, tra cui quello in cui la Catalogna veniva definita una “nazione”.
Nel 2012 il Parlamento catalano cercò di superare lo stallo approvando una risoluzione che convocava un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna, una votazione solo consultiva programmata il 9 novembre 2014 ma che saltò per la bocciatura della legge sempre da parte del Tribunale costituzionale. L'allora premier catalano Mas ripiegò su una consultazione informale alla quale parteciparono poco più di un terzo di elettori, l'80% dei quali si espresse a favore dell’indipendenza. Alle elezioni politiche anticipate del 2015 vinse una nuova coalizione elettorale formata da Junts pel Sí (JxSí, Uniti per il sì) che aveva nell’indipendenza catalana il punto principale del suo programma.
Lo scorso 6 settembre al parlamento catalano una maggioranza composta da JxSí e Candidatura d’Unitat Popular-Crida Constituent (CUP-CC), altra coalizione elettorale che rappresenta la “sinistra” indipendentista catalana approvava la “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, una legge che indiceva per l'1 ottobre il referendum con esito vincolante: in caso di vittoria del sì, le autorità catalane dovrebbero dichiarare unilateralmente l’indipendenza della Catalogna. Catalunya Sí que es Pot (CSQP), la coalizione elettorale che include anche Podemos e esprime la sindaca di Barcellona, si asteneva e votavano contro le forze catalane legate ai grandi partiti nazionali, Partito Popolare, Partito Socialista e Ciudadanos, definendo la legge e le modalità della sua approvazione “illegali”.
Il Tribunale costituzionale spagnolo interveniva a tambur battente e il 7 settembre sospendeva la legge e vietava ai 948 sindaci della Catalogna e a 62 funzionari del governo di partecipare all’organizzazione del referendum. A ruota il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna ordinava alle varie forze di polizia di sequestrare il materiale per il referendum. La Guardia civile, un corpo di natura militare che dipende dai ministeri degli Interni e della Difesa spagnoli, perquisiva anche sedi governative catalane e assieme al sequestro di materiale elettorale arrestava 14 funzionari del governo locale. Gli arrestati erano velocemente rilasciati ma il braccio di ferro tra il governo spagnolo guidato da Rajoy, rappresentante della borghesia di destra spagnola, e quello catalano del presidente Carles Puigdemont, rappresentante della borghesia locale catalana, proseguiva fino alla scadenza elettorale. Uno scontro che Rajoy, comunque vada a finire, ha perso. Noi comunque sosteniamo il diritto all'autodeterminazione del popolo catalano in quanto nazione.

4 ottobre 2017