Una manovra di quasi 20 miliardi
Approvato il Def col voto della destra verdiniana. Mdp non ha il coraggio di votare contro. Pisapia sta col governo
Aumento delle agevolazioni per gli industriali, meno soldi alla sanità, escluso il congelamento della crescita dell'età pensionabile, briciole per i dipendenti pubblici ennesimo condono fiscale
Debole risposta dei sindacati confederali. occorre lo sciopero generale

Il Documento di Economia e Finanza (Def) un tempo conosciuto come Finanziaria, per il 2018 prevede una manovra da quasi 20 miliardi di euro (19,58), circa l'1,1% del Pil, coperta per 10,9 miliardi in deficit e per 8,62 miliardi da nuove entrate e tagli di spesa. Ai primi di ottobre è stato sottoposto a un primo vaglio del parlamento e il governo, grazie ai voti giunti in soccorso da varie “opposizioni” fasulle, è riuscito a superare la prova.

Il voto
Particolarmente critica era la situazione al Senato per la risicata maggioranza detenuta dalla compagine governativa guidata da Gentiloni sotto la regia di Renzi. Tutte e due le Camere hanno approvato lo scostamento sul bilancio e la nota di aggiornamento del Def. Nel primo caso a Palazzo Madama i voti a favore sono stati 181 e per essere approvato serviva la maggioranza assoluta (161 voti). Nel secondo invece i sì sono stati 164 con 108 voti contrari. A Montecitorio i voti a favore dello scostamento di bilancio richiesto dal governo sono stati 358 e 133 i contrari. Per questo voto era necessaria la maggioranza assoluta dei componenti dell'assemblea: 316 su 630. Subito dopo è arrivato anche il via libera della Camera alla risoluzione della maggioranza sulla nota di aggiornamento al Def: i voti a favore sono stati 318 e i voti contrari 135.
Non si è trattato dell'approvazione definitiva del Def, che inizierà l'iter entro il 20 ottobre, ma degli obiettivi governativi per quanto riguarda la diminuzione del deficit e delle linee generali del provvedimento. Lo scostamento di bilancio è la variazione percentuale del rapporto tra debito e Prodotto interno lordo (Pil), l’indice che misura il valore di tutto ciò che viene prodotto da un Paese. In sostanza il governo ha portato la previsione della diminuzione del deficit per il prossimo anno dallo 0,8 allo 0,3%. Questo perché secondo le stime del governo e di alcune istituzioni internazionali il Pil dell'Italia dovrebbe crescere più del previsto e di conseguenza portare maggiori entrate nelle casse dello Stato.
Nel governo ci sono state delle divergenze tra chi voleva mantenere il rigore, ad esempio Padoan, e chi come Renzi prometteva maggiore “crescita” e flessibilità ma si è dovuto scontrare anche con le “clausole di salvaguardia”. Queste clausole stipulate tra i governi italiani (compreso il suo) e quello della UE prevedono, in cambio di un rinvio dell'abbattimento del deficit, l'aumento automatico delle imposte indirette se poi il governo non mantiene gli impegni. In poche parole senza diminuzione della spesa pubblica sarebbe aumentata l'Iva, sicuramente un biglietto da visita poco gradito per Gentiloni, Renzi e il PD in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. Lo scostamento di bilancio è stato comunque approvato da entrambe le camere a larga maggioranza perché anche da destra è arrivato qualche voto, oltre a quelli della totalità dei deputati di Mdp che a parole hanno criticato il governo ma nella sostanza lo hanno appoggiato.

Verdini, Pisapia e Mdp
Più variegato è stato il voto sulla nota di aggiornamento. Questa è poco più di una relazione sulle linee generali del Def, anche se di notevole valenza politica perché il voto esprime un giudizio sulle intenzioni del governo. Senza problemi il voto alla Camera mentre al Senato i voti di Verdini e del suo gruppo, ALA, sono stati determinanti per una maggioranza risicata (tre voti in più) e non certo “amplissima” come annunciava dopo il voto Renzi. In questo caso Mdp si è astenuto ma il suo non è stato un rifiuto generale del Def ma solo di alcuni punti, in special modo chiedeva di cancellare o modificare il superticket. I deputati riconducibili a Campo Progressista di Pisapia (6, per ora collocati nel “Gruppo misto”) hanno votato a favore, accendendo la polemica con Mdp tra chi è più o meno leale a Gentiloni.
Dalla platea dei deputati della maggioranza vengono poi sollecitate al governo la promozione dell'aumento dell'occupazione, in particolare a tempo indeterminato per i giovani, mediante nuovi interventi di decontribuzione del lavoro, insieme al potenziamento degli strumenti di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, incrementando le risorse destinate a finanziare il reddito di inclusione. Richiesto anche il rifinanziamento legato al rinnovo contrattuale del pubblico impiego. Tutte parole che non cambiano la sostanza, ne tanto meno Mdp si sogna di negare il sostegno definitivo al Def. Come ha detto il suo coordinatore Roberto Speranza "non faremo cadere il governo” anche se questo, come abbiamo visto, può contare sempre sul soccorso della destra verdiniana.
È proprio il caso di dire che la montagna ha partorito il topolino. Tutta la “dura opposizione” di Mdp alle politiche di austerità (per lavoratori e masse popolari) si è ridotta al superticket. Entrambe le formazioni che vorrebbero creare un partito a sinistra del PD, cioè Mdp e Campo Progressista di Pisapia, si sono dimostrate per quello che sono: un puntello del partito di Renzi incapaci di esercitare una minima influenza né tanto meno mettere in difficoltà l'esecutivo e per questo non meritano la minima fiducia delle masse di sinistra.

Il governo non cambia rotta
Il governo non cambia rotta e alla fine il Def rimane quello approvato in prima battuta ad aprile di quest'anno. Se ci sarà una modifica del superticket (l'imposta applicata sulle prestazioni di diagnostica e specialistica) questa sarà compensata da altri tagli alla sanità e quello che uscirà dalla porta rientrerà dalla finestra. Su questo ci sono le pressioni di Confindustria che non vuole concessioni per indirizzarle invece in favore degli industriali nonostante il Def ne contenga già parecchie. È già prevista la drastica diminuzione (-50%, -100% al Sud) per due anni degli oneri contributivi a carico delle aziende per chi assume lavoratori sotto i 32 anni che rimarrà strutturale, cioè per sempre, nella misura del 4%.
Il Def prevede anche la riconferma e addirittura l'ampliamento del sostegno a Industria 4.0 . Si tratta di soldi pubblici che andranno a finire nelle tasche dei capitalisti per l'ammodernamento e la riqualificazione delle aziende a fronte dell'avanzata della digitalizzazione e delle nuove tecnologie. È previsto un credito d’imposta per spese in attività di formazione e riconversione del personale che diventa “esuberante” rispetto alle esigenze produttive del 50%. Una proroga dovrebbe dare alle imprese la possibilità di ottenere la maggiorazione del 250% prevista dall’iperammortamento e quella del 140% prevista dal super ammortamento a sostegno dei beni ordinati entro dicembre 2018, anziché fino al termine del dicembre 2017 come previsto dall’attuale normativa. Si tratta in questo caso di agevolazioni per l'acquisto di macchinari e servizi per le imprese. Per le piccole e medie aziende è inoltre previsto un finanziamento agevolato con una maggiorazione pari al 30% del contributo ordinario Sabatini per gli interventi che prevedono investimenti rientranti nella categoria Industria 4.0 .

Flebile reazione sindacale. Occorre lo sciopero generale
A fronte di questi interventi tutti a favore dei capitalisti il Def non concede nulla ai lavoratori, masse popolari e futuri pensionati. Già detto delle spese sanitarie il governo mantiene la stretta sul contratto del pubblico impiego e sul mantenimento dell'attuale sistema pensionistico. Per il settore pubblico non ci sono cifre definitive e certe, comunque fino ad ora quella stanziata (circa 1 miliardo) permette di raggiungere un aumento medio mensile di 35 euro lordi, ben al di sotto degli 85 promessi dalla Madia ai sindacati, già di per sé una cifra ridicola se pensiamo che il contratto del pubblico impiego è bloccato da 8 anni.
Una cosa è certa, la legge Fornero non risulta neppure scalfita. Il ministro dell'Economia Padoan, Bankitalia e Corte dei Conti hanno ammonito: “non si torna indietro sulle pensioni”. Quelle che sembravano piccole aperture sono state subito tolte dal dibattito parlamentare. Eppure le richieste dei sindacati confederali erano assai modeste, chiedevano soltanto il blocco dell'innalzamento automatico dell'età pensionabile in base all'aspettativa di vita e un paio di anni di flessibilità per le donne in base al numero di figli e alla situazione familiare. Concessioni zero.
Di conseguenza appare inaccettabile la flebile reazione di Cgil, Cisl e Uil che per “chiedere il congelamento dell’innalzamento automatico dell’età pensionabile e più risorse per l’occupazione giovanile e per gli ammortizzatori sociali” sabato 14 ottobre organizzerà dei presidi davanti alle sedi delle prefetture. Iniziativa simbolica che avrà pochissima incidenza. La gravità della situazione richiedeva lo sciopero generale nazionale per affossare la legge Fornero, e sicuramente su un tema sensibile come quello delle pensioni le lavoratrici e i lavoratori avrebbero dato la disponibilità alla mobilitazione e riempito le piazze.
 

11 ottobre 2017