Le banche e le multinazionali abbandonano Barcellona
Sospesa la dichiarazione di indipendenza della Catalogna
Il premier spagnolo Rajoy respingeva la “inammissibile dichiarazione di secessione” e annunciava una risposta adeguata
Deluse le masse indipendentiste

 
La sera del 10 ottobre il presidente catalano Carles Puigdemont poneva la firma in calce al testo approvato dal parlamento di Barcellona con i 72 voti dei rappresentanti di Junts pel Sì e Cup, sui 120 componenti l'assemblea, a favore della creazione di “una Repubblica Catalana quale Stato indipendente e sovrano”, proclamata e immediatamente sospesa per “l'apertura di un negoziato con lo Stato spagnolo per definire un sistema di collaborazione per il beneficio di entrambe le parti”. Il documento riprendeva la sostanza del discorso tenuto poco prima dal presidente della Generalitat che, nonostante la legge che aveva indetto il referendum del 1° ottobre, vinto dagli indipendentisti col 90% dei voti validi, prevedesse in tale caso la proclamazione dell'indipendenza entro due giorni, prendeva tempo e apriva a un negoziato col governo di Madrid.
“È un momento di dimensione storica eccezionale”, affermava Puigdemont dalla tribuna del parlamento di Barcellona, “sono qui dopo il risultato del referendum del primo ottobre per spiegare le conseguenze politiche che ne derivano”. Denunciava “le violenze estreme della polizia di Madrid, senza precedenti in Europa, che non hanno impedito il voto” e ricordava i passi dei precedenti esecutivi quando la Catalogna “è stata umiliata” nel tentativo di modificare il suo statuto “rispettando la Costituzione”, un testo “tagliato” e “modificato” per due volte dalla Corte di Madrid tanto da diventare “irriconoscibile”.
“Si è creato un consenso amplissimo e trasversale sul fatto che il futuro dovessero deciderlo i catalani con un referendum” e “milioni di cittadini sono arrivati alla conclusione che l'unica soluzione fosse che la Catalogna potesse diventare uno Stato, e il risultato delle ultime elezioni al Parlamento catalano è stato la dimostrazione”, quello del 2015 che ha dato la maggioranza alle formazioni indiendentiste. E il risultato del referendum parla chiaro. Ma preceduta da affermazioni come “non siamo golpisti, siamo e resteremo un solo popolo”, la dichiarazione “con il referendum la Catalogna ha guadagnato il diritto a essere uno Stato indipendente (…) e come presidente della Generalitat assumo il mandato del popolo perché la Catalogna si converta in Stato indipendente di forma repubblicana”, pareva monca. E infatti Puigdemont presentava come “un gesto di responsabilità” la richiesta al parlamento di “sospendere per qualche settimana gli effetti della dichiarazione d'indipendenza per avviare il dialogo”.
Il colpo di freno deciso dalla borghesia catalana sul processo oramai lanciato dell'indipendenza era fischiato dai manifestanti indipendentisti, almeno 30 mila radunati dalle organizzazioni Asamblea Nacional Catalana e Omnium Cultural alla passeggiata di Lluís Companys, una volta che la polizia municipale aveva chiuso per tutta la giornata il parco di Ciutadella, di fronte al Parlamento, “per motivi di sicurezza”. Applausi e grida di felicità accoglievano le parole di Puigdemont sullo “Stato indipendente”, i fischi all'annuncio della sospensione della dichiarazione di indipendenza sottolineavano la delusione delle masse indipendentiste.
Il governo spagnolo di Mariano Rajoy definiva le parole di Puigdemont “una inammissibile dichiarazione di secessione” e annunciando che “non cederemo al ricatto” annunciava adeguata risposta. Compresa l'applicazione dell’articolo 155 della Costituzione che consente di destituire il governatore, arrestarlo per “ribellione” e sospendere l’autonomia catalana.
Dopo il voto a favore dell'indipendenza catalana era intervenuto del re Felipe che il 3 ottobre in un messaggio alla Nazione non diceva una parola sulla violenta repressione poliziesca che aveva chiuso con la forza diverse centinaia di seggi mentre denunciava che in Catalogna “c'è stata una slealtà inaccettabile verso lo Stato” e ammoniva il governo indipendentista di Barcellona che c'era “l'impegno della corona nei confronti della Costituzione e della democrazia e il mio impegno per l'unità della Spagna”.
Il presidente catalano Carles Puigdemont, rispondeva il 4 ottobre accusando re Felipe di "non aver mai considerato la posizione della Catalogna", e di "sostenere il governo spagnolo, per annichilire il desiderio di sovranità del popolo catalano". E confermava la convocazione per il 9 ottobre del Parlamento catalano per votare la dichiarazione di indipendenza da Madrid.
Nessuna mediazione era possibile per Rajoy che respingeva anche la proposta di promuovere un tavolo di mediazione sulla crisi catalana avanzata dal segretario di Podemos, Pablo Iglesias, “il governo non negozierà su nulla di illegale e non accetta ricatti”, Barcellona deve "ritirare la minaccia di secessione". Punto. E il ministero della Difesa schierava in Catalogna un contingente militare per sostegno logistico alla Guardia Civile.
Il 4 ottobre il sindaco di Barcellona, Ada Colau di Catalunya Sí que es Pot (CSQP), la coalizione elettorale che include anche Podemos, affermava che “una trattativa che porti a un referendum concordato fra Spagna e Catalogna è l'unica via d'uscita da questa situazione pericolosissima. La dichiarazione unilaterale d'indipendenza non è una soluzione, porterebbe certamente alla sospensione dell'autonomia catalana da parte del governo centrale con conseguenze che nessuno può immaginare. Serve quindi un governo in grado di trattare con la Generalitat catalana, e questo non è il governo di Mariano Rajoy”. Podemos chiamava il partito socialista a mollare il partito popolare e a dare vita a un esecutivo di “sinistra” per una seria trattativa con gli indipendentisti catalani. Un invito caduto nel nulla.
A smuovere le acque, se ce ne fosse stato bisogno, interveniva di nuovo la Corte costituzionale spagnola, che dichiarava ammissibile un ricorso presentato dal Partito dei socialisti di Catalogna e sospendeva la sessione plenaria del Parlamento catalano del 9 ottobre. Carles Puigdemont la riconvocava per il 10 ottobre con all'ordine del giorno un sibillino “Comunicazioni del presidente”.
Nello stesso momento il governo Rajoy con un decreto legge semplificava lo spostamento della sede legale delle banche svincolandolo dall'approvazione dell'assemblea degli azionisti; un provvedimento che spianava la strada a grandi banche regionali della Catalogna come Sabadell e CaixaBank di abbandonare Barcellona dando il via al trasloco in Spagna, a Alicante e Valencia. Una decisione definita di carattere tecnico per permettere alle due banche di continuare a far parte della Banca Centrale dell'Unione Europea e mantenere l'accesso ai suoi contanti, un meccanismo che poteva essere interrotto in caso la regione autonoma si staccasse dalla Spagna e di conseguenza fosse fuori anche dall'Unione Europea. Potevano attendere gli eventi e invece li hanno anticipati con una decisione di carattere politico dal sapore ricattatorio verso il governo di Barcellona.
In fuga dalla Catalogna anche altre aziende fra le quali il gruppo energetico Gas Natural Fenosa, il gestore autostradale Abertis, il gruppo farmaceutico Indukern, che decidevano di trasferire la propria sede sociale da Barcellona a Madrid per evitare “incertezze giuridiche”. O meglio sotto le pressioni dell'esecutivo di Madrid, secondo la denuncia del portavoce del governo catalano, Jordi Turull.
La sindaca Ada Colau il 9 ottobre dichiarava che il referendum non era sufficiente a dare legittimità a una dichiarazione di indipendenza e invitava Puigdemont a non dichiarare l’indipendenza e a Rajoy di non applicare il 155, di ritirare la polizia e di sbloccare le finanze della Generalitat.
Rajoy aveva appena incassato il sostegno del leader socialista, Pedro Sanchez, che garantiva l'appoggio del PSOE alle decisioni del governo di Madrid, e i portavoce del suo partito, il Partito popolare, minacciava l'arresto e il processo per ribellione di Puigdemont e degli altri principali leader in caso di proclamazione dell'indipendenza. Minaccia che resta valida anche se il parlamento catalano ne ha sospeso la proclamazione.

11 ottobre 2017