C'è contraddizione tra dittatura proletaria e autogestione delle masse?

Ciao amici,
in quanto anarchico, sono dell'idea che l'autogestione delle masse e la democrazia diretta siano elementi fondamentali su cui costruire il comunismo.
A tal proposito vorrei chiedere: come facevano i paesi socialisti a coniugare questi elementi (presenti ad esempio nei soviet) con la dittatura del proletariato diretta dal partito? A mio avviso autogestione e direzione del partito sono elementi inconciliabili, in cui sarà poi quest'ultima a prevalere.
Ringraziondovi di aver risposto alla mia precedente domanda sulle contraddizione tra anarchismo e marxismo-leninismo, vi porgo saluti antifascisti e anticapitalisti.
Simone

 
Ringraziamo sinceramente il nostro lettore per averci posto un quesito che ci dà occasione di affrontare un tema importante avente a che fare con la Rivoluzione d'Ottobre, di cui si avvicina il centenario.
 
Prima di entrare nel merito, è però necessario fare un chiarimento che è tutt'altro che scontato: se è perfettamente corretto sostenere che “l'autogestione delle masse e la democrazia diretta siano elementi fondamentali su cui costruire il comunismo”, è altrettanto vero che il comunismo non si è mai ancora realizzato, finora l'umanità è riuscita ad arrivare solamente al socialismo.
 
Dal momento che nel socialismo continuano a esistere le classi, gli antagonismi e le contraddizioni di classe, lo Stato, i tentativi della classe borghese rovesciata di restaurare il proprio potere e il pericolo di invasione da parte della borghesia straniera, non esistono ancora le condizioni per giungere alla piena autogestione delle masse ed alla democrazia diretta propriamente detta, né sarebbe possibile instaurarle “per decreto”.
 
Lenin sottolinea che “fino a che esistono classi diverse, non si può parlare di una 'democrazia pura', ma soltanto di una democrazia di classe”: o la democrazia borghese, cioè per la minoranza degli sfruttatori che opprimere e schiaccia gli sfruttati, o la democrazia proletaria, che è infinitamente più avanzata e “democratica” nel vero senso della parola, ma che non può ancora fare a meno dello Stato come strumento di difesa contro le minacce esterne e repressione contro quelle interne della borghesia spodestata. Diamo di nuovo la parola a Lenin: “... in ogni rivoluzione profonda una resistenza lunga, caparbia, disperata degli sfruttatori, che per decine di anni conservano ancora grandi vantaggi sugli sfruttati, è la regola. (…) Il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia un'intera epoca storica. Fino a che quest'epoca non è conclusa, negli sfruttatori permane inevitabilmente la speranza della restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di restaurazione”.
 
In questo sta, essenzialmente, la natura della dittatura del proletariato che fu instaurata dalla Rivoluzione d'Ottobre. Affermare che la dittatura del proletariato equivale o è fagocitata dalla “dittatura del partito”, è sbagliato, oltre che semplicistico. Nella dittatura del proletariato coesistono entrambi gli aspetti: il partito resta l'avanguardia del proletariato, ne concentra le migliori menti ed energie, mentre gli organi della dittatura del proletariato assicurano invece l'autogoverno delle masse lavoratrici e popolari nella società, nelle fabbriche, nelle campagne, ecc. Non c'è quindi contraddizione, ma cooperazione. Le cose vanno viste in un'ottica di classe, l'interclassismo fa solo il gioco della classe borghese sfruttatrice dominante.
 
Il trionfo della Rivoluzione d'Ottobre in Russia spazzò via tutte le velleità e le falsità della democrazia borghese, a partire dallo scioglimento dell'Assemblea costituente, che portò capitalisti e riformisti a gridare allo scandalo e alla tirannia, il che era comprensibile dal punto di vista della democrazia borghese, ma non certo della democrazia proletaria, che prendeva vita con la nascita della Repubblica dei Soviet, i quali integravano il potere esecutivo e il potere legislativo ed i cui componenti erano eleggibili e revocabili in qualsiasi momento. La proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione dell'economia garantivano che gli indirizzi economici rispondessero non al capitale ma agli interessi del popolo. Era una forma di democrazia ben superiore e un primo germoglio di autogoverno, cui vanno aggiunti il controllo operaio delle fabbriche (sancito già all'indomani dell'Ottobre) e la collettivizzazione dell'agricoltura che rendeva le masse contadine padrone della terra. Il partito bolscevico era alla testa di questo processo rivoluzionario e di costruzione del socialismo, non d'ostacolo, principalmente grazie alla sua composizione operaia ed alla fedeltà al socialismo dei suoi dirigenti fino alla morte di Stalin. Del resto, le masse non si sarebbero ribellate se non fosse stato così?
 
Naturalmente esiste il pericolo della burocratizzazione e dell'imborghesimento del partito per opera dei revisionisti, agenti della borghesia, come si è visto con Krusciov in Urss e Deng Xiaoping in Cina. Già Stalin, checché se ne dica, aveva visto la grave erosione operata dal burocratismo borghese contro il socialismo e il partito bolscevico e infatti questo fu al centro del 19° Congresso del PCUS, svoltosi nell'ottobre 1952, cinque mesi prima che la morte di Stalin e la salita dei revisionisti al potere fermasse tutto. Nella stessa Urss, l'erronea convinzione che si fosse già arrivati alla società senza classi creò condizioni favorevoli alla burocrazia e all'ascesa del revisionismo, nonché ad altre politiche non proletarie come il primato della tecnica e della produzione in economia, tutti errori dovuti all'inesperienza che Mao individuò e corresse. Proprio per questo oggi non si può concepire nessuna società socialista senza la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, elaborata da Mao e sperimentata nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese.
 
Non bisogna farsi ingannare né dalla fretta tipicamente anarchica di arrivare all'abolizione dello Stato, che sarebbe disastrosa per una rivoluzione ancora circondata da Stati borghesi ostili e con una borghesia interna pronta alla rivalsa, né da falsi modelli sbandierati dai trotzkisti e dai revisionisti, come per esempio Rojava, dove la tanto decantata “democrazia diretta” del “confederalismo democratico” cozza con la difesa a spada tratta della proprietà privata dei mezzi di produzione.

18 ottobre 2017