Come Mussolini e Renzi
Il ducetto Di Maio vuole il sindacato a misura dell'eventuale governo del M5S

 


“O i sindacati si autoriformano o, quando saremo al governo, faremo noi la riforma”. A parlare con un tono tanto autoritario e apertamente antisindacale non è Renzi e nemmeno Berlusconi, bensì Luigi Di Maio. Il candidato premier in pectore del Movimento 5 Stelle lo ha detto al “Festival del Lavoro”, la kermesse del padronato industriale che si è svolta dal 28 al 30 settembre al Lingotto di Torino.
 
Ciò facendo, in realtà, Di Maio non ha fatto altro che riprendere il mantra antisindacale di Renzi, dimostrando che quando si tratta di affrontare la madre di tutte le questioni, cioè il capitalismo come sistema economico, fra PD e M5S non ci sono grosse differenze. “Se il nostro Paese non vuole più far scappare i giovani all'estero”, ha detto il pupillo di Grillo, “deve prevedere anche un cambiamento radicale delle organizzazioni sindacali”. E via a tirare fuori i luoghi comuni sulle “pensioni d'oro” dei sindacalisti, sui “finanziamenti da tutte le parti” e sullo scontro generazionale: per Di Maio va aperta la strada a “organizzazioni più giovani”, legate a doppio filo al governo, neocorporative e senza nessun programma conflittuale. Musica per le orecchie dei padroni, ai quali il ducetto pentastellato è andato ad assicurare che un eventuale governo M5S non invertirà la rotta sul tema del lavoro.
 
Criticare i sindacati confederali da sinistra è giusto e legittimo, noi stessi lo facciamo, ma perché non condividiamo la loro linea concertativa e troppo debole verso il governo e il padronato, e riteniamo che la difesa e l'estensione dei diritti dei lavoratori sia possibile solo riaccendendo il conflitto di classe. L'attacco di Di Maio è invece un attacco di destra perché al posto degli attuali sindacati confederali, già di regime, vuole pseudo-sindacati completamente asserviti al governo e con una linea neocorporativa. Che è quanto chiesto da tempo da Marchionne e Confindustria.
 
Anzi, il candidato premier 5 stelle è riuscito anche nell'impresa di andare persino più a destra del governo Gentiloni, che almeno a parole tramite Poletti ha difeso “l'autonomia dei sindacati”, ma è uno scontro solo superficiale. Il PD si accontenta degli attuali sindacati che di fatto non hanno torto un capello a Renzi e Gentiloni, il M5S vorrebbe andare oltre e togliere ai lavoratori ogni diritto di organizzarsi per far valere i propri diritti.
Sempre in tema di lavoro Di Maio ha detto di voler creare una “smart nation”, imitando Macron e investendo sulle start-up e su Internet, decantato come “grande fabbrica di posti di lavoro”, precarissimo e senza nessuna tutela, come si è già visto nella pratica visto che le imprese digitali non sono certo una novità. Un governo del M5S stanzierà inoltre 2 miliardi per i centri per l'impiego e 17 miliardi per un primo abbozzo di reddito di cittadinanza, fra l'altro condizionato all'accettazione di un qualsiasi impiego, anche precario e non dignitoso. Anche perché Di Maio ci ha tenuto a precisare agli illustri ascoltatori: “Non sono contro la flessibilità del lavoro, ma contro la precarietà”. Come se non fossero sinonimi.
 
Fino a qualche anno fa per il M5S si trattava di conquistare la fiducia delle masse e quindi sparare a zero sul sistema parlamentare, con qualche stoccata anche contro i mali più evidenti del capitalismo, ma mai contro il capitalismo in quanto sistema. Adesso che si avvicinano le elezioni per Di Maio è urgente accreditarsi presso il grande capitale e l'Unione europea, svelando tutta la vera natura di destra e addirittura fascistoide del programma del M5S, dai migranti ai sindacati. Come aveva fatto lo stesso Mussolini agli inizi del fascismo, presentandosi come rivoluzionario e persino antimonarchico e anticlericale, per poi mettersi a disposizione della borghesia terriera e industriale che lo aveva foraggiato e della Chiesa. E proprio Mussolini impose il sindacato unico di regime che aveva come unico scopo quello di tenere a freno le lotte dei lavoratori e coinvolgerli solo apparentemente nella gestione tecnica delle imprese, mettendoli in realtà su un piano di inferiorità rispetto ai padroni.
 
Ormai non ci possono essere più dubbi che un governo pentastellato sarebbe tanto nemico dei lavoratori quanto Renzi.

18 ottobre 2017