Puigdemont a Raioy: “Apriamo un dialogo e incontriamoci”
La vice di Raioy: “Non ci può essere dialogo al di fuori delle leggi. Barcellona ha tempo fino a giovedì per esprimersi”

Nel prendere atto del voto referendario a favore dell'indipendenza della Catalogna, il presidente catalano Carles Puigdemont firmava il 10 ottobre il testo approvato dal parlamento di Barcellona che riprendeva quanto da lui dichiarato in apertura dei lavori dell'assemblea sulla creazione di “una Repubblica Catalana quale Stato indipendente e sovrano”, proclamata e immediatamente sospesa per “l'apertura di un negoziato con lo Stato spagnolo per definire un sistema di collaborazione per il beneficio di entrambe le parti”. La reazione del premier spagnolo Mariano Raioy arrivava l'11 ottobre e si trattava di un ultimatum: Puigdemont doveva chiarire se l'indipendenza era stata dichiarata o no entro le ore dieci del 16 ottobre. Nel caso di risposta affermativa, il governo catalano avrebbe avuto tempo fino alle 10 del 19 ottobre per ritrattare la dichiarazione altrimenti scattava l'applicazione dell’articolo 155 della Costituzione per bloccare l'indipendenza e “ripristinare la legalità dell'autonomia”.
Con puntualità Puigdemont rispondeva il 16 ottobre tramite lettera, che pubblichiamo a parte, nella quale ricordava che “il popolo catalano vuole intraprendere il suo cammino come Paese indipendente nell'ambito europeo”, che “la sospensione del mandato politico venuto dalle urne l'1 ottobre dimostra la nostra ferma volontà di trovare una soluzione e non lo scontro. La nostra intenzione è percorrere il cammino in modo concordato, tanto nei tempi come nelle forme” e chiedeva due cose: “che si fermi la repressione contro il popolo e il governo della Catalogna” e “che fissiamo, prima possibile, un incontro che ci permetta di esplorare la possibilità di primi accordi”. Due richieste e due risposte negative da Raioy che dichiarava, nero su bianco in una lettera al presidente catalano, di non esserci nessuno spazio sulla possibilità di aprire una trattativa. Posizione confermata dalla vice premier Soraya Sáenz de Santamaría che in una conferenza stampa sottolineava che “non era difficile rispondere alla nostra domanda. Dichiarate l'indipendenza sì o no?” e ribadiva: “non può esserci dialogo al di fuori della legge. Barcellona ha tempo fino a giovedì per esprimersi”.
Quanto alla fine della repressione poliziesca in Catalogna parlavano chiaro sulle intenzioni del governo di Madrid le decisioni della magistratura che il 16 ottobre ordinava l'arresto di Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, i responsabili delle organizzazioni indipendentiste ANC e Omnium, accusati di “sedizione” per avere organizzato le manifestazioni di protesta del 20 e 21 ottobre a Barcellona contro l'arresto di 14 funzionari catalani da parte della polizia, fra le quali l'assedio alla sede del ministero dell'Economia regionale che bloccò nell'edificio per una notte intera gli agenti della Guardia civile e della polizia nazionale impegnati nella perqquisizione.
La mattina del 17 ottobre migliaia di manifestanti a Barcellona gridavano “Libertat!” in piazza di Piazza Sant Jaume davanti alla sede del Governo. Altre manifestazioni erano convocate davanti alle delegazioni locali del governo spagnolo nei nei quattro capoluoghi di provincia della regione: Barcellona, Gerona, Lerida e Tarragona.
In attesa della scadenza del secondo ultimatum del governo di Madrid, il parlamento catalano decideva la sospensione dei lavori a causa della “situazione eccezionale che vive la Catalogna e della possibile attivazione dell'articolo 155 della costituzione”. In quel caso il presidente “deve rispettare il mandato popolare del referendum del primo ottobre” e il parlamento dovrebbe proclamare immediatamente la repubblica, sosteneva Mireia Boya, la presidente del gruppo parlamentare del Cup, la Candidatura d’Unitat Popular, che rappresenta la sinistra delle formazioni indipendentiste catalane presenti in parlamento e che grazie al proprio appoggio esterno ha reso possibile la nascita dell’esecutivo guidato da Puigdemont. La Cup ha forti legami con molte associazioni indipendentiste tra le quali l’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e Òmnium Cultural.
Per una soluzione negoziale, sostenuta a Madrid da Podemos, si confermava la sindaca di Barcellona, Ada Colau, che però invitava i dirigenti catalani a rinunciare a una dichiarazione unilaterale di indipendenza: “prima di trovare una soluzione definitiva ciò che si può fare è stabilire un dialogo stabile e, per farlo, si deve rinunciare alla dichiarazione unilaterale una volta per tutte. D'altra parte, occorre mettere fine alle misure che il governo centrale ha già preso in Catalogna”. Ricordiamo che la sezione catalana di Podemos, Podem, era favorevole a tenere il referendum ma ha invitato i propri sostenitori a votare No all'indipendenza.
Raioy, raccolto anche il sostegno del Partito socialista operaio spagnolo (PSOE), che già con la sua astensione aveva permesso la nascita del governo di minoranza a Madrid a guida democristiana, tirava dritto.
 

18 ottobre 2017