Al referendum leghista sull'autonomia sostenuto dall'alta finanza e dalla grande borghesia delle due regioni
In Lombardia il 61,75% dell'elettorato e in Veneto il 42,7% diserta le urne
5 milioni di lombardi e 1 milione e 795 mila di veneti hanno bocciato l'autonomia federalista di Maroni, Zaia e Salvini. Il record della diserzione a Milano (68,77%). Il M5S ha fatto a gara con la Lega per l'egemonia sul Sì. Il PD a rimorchio del “centro-destra”. Le forze astensioniste hanno fatto poco o niente. Il PMLI si è battuto con generosità a Milano e Varese
Opponiamoci a dare maggiore potere federalista a Maroni e Zaia

 

 
Domenica 22 ottobre 2017 si è tenuto in Lombardia e in Veneto il referendum consultivo sull'autonomia delle due regioni, indetto dai rispettivi presidenti Roberto Maroni e Luca Zaia. I due hanno salutato entusiasti i risultati usciti dalle urne: “Non vado a Roma da solo ma con il supporto di 3 milioni di cittadini lombardi” ha dichiarato euforico il primo; “Abbiamo fatto la storia” proclama enfatico il secondo. Il caporione leghista Salvini va anche oltre e sulla scia del risultato referendario lancia la sfida: “Ora andiamo a governare”.
Da più parti si sta facendo credere che il risultato del referendum è stato un vero e proprio plebiscito a favore dell'autonomia e del federalismo fascio-leghista. Non è affatto così. Tant'è vero che su oltre 11 milioni e 900 mila elettori chiamati alle urne nelle due regioni, 6 milioni e 795 mila elettori, ben oltre la metà, hanno bocciato l'autonomia federalista di Maroni, Zaia e Salvini disertando, annullando la scheda o lasciandola in bianco o votanto no. Per la precisione sono stati 5 milioni in Lombardia, pari al 63,47%, e 1 milione e 794 mila in Veneto, pari al 44,11%.
I dati della Lombardia sono ancora parziali ma sono del tutto attendibili dal momento che mancano appena lo 0,5% delle sezioni da scrutinare. Tanta lentezza negli scrutini fra l'altro la dicono lunga sull'“efficienza” del tanto decantato voto elettronico del quale da giorni si pavoneggiava Maroni. Inoltre, a causa della mancanza dell'esatto ammontare del corpo elettorale, non fornito dalla Regione Lombardia, tale dato non risulta esatto all'unità perché da noi desunto indirettamente attraverso il calcolo della percentuale della partecipazione alle urne.
In Lombardia i disertori dalle urne sono stati circa 4 milioni e 853 mila pari al 61,66% del corpo elettorale, le schede bianche e nulle sono state 23.218 pari allo 0,29% del corpo elettorale e i No sono stati 119.051, pari all'1,51% del corpo elettorale. I Sì sono stati 2.875.438 che percentualmente se si rapportano ai soli voti validi equivalgono ad un “plebiscitario” 95,29%, ma se rapportati a tutti gli elettori che avevano diritto di voto rappresentano solo il 36,53%.
Nel Veneto dove era previsto il quorum del 50% + 1 voto per la validità del referendum, evidentemente vi sono state più pressioni verso la partecipazione alle urne. Infatti il quorum è stato raggiunto col 57,2%.
I disertori dalle urne in Veneto, dove i dati sono completi e definitivi, sono stati 1.739.611 pari al 42,76% del corpo elettorale, le schede bianche e nulle sono state 11.030 pari allo 0,27%, 9 le schede contestate, e i No sono stati 43.938 pari all'1,08%. I Sì sono stati 2.273.985 pari al 98,1% dei voti validi, ma pari al 55,89% di tutti gli elettori aventi diritto.
Il record della diserzione dalle urne spetta alla Città Metropolitana di Milano col 68,69%. Il risultato a Milano città è ancor più marcato: ben il 73,39% degli elettori ha disertato le urne e fra quelli che vi si sono recati, ben il 6,49% dei voti validi (pari all'1,71% degli elettori) ha votato No, quasi il doppio della percentuale regionale. Rimanendo in Lombardia significativi i risultati della diserzione anche a Pavia (66,45%) e Mantova (64,06%) ben al di sopra della media regionale. Buoni anche i risultati di Varese e Viggiù (in provincia di Varese) le altre città, assieme a Milano, dove il PMLI si è battuto con generosità per l'astensionismo. A Varese ha disertato le urne il 60,53% degli elettori. A Viggiù hanno disertato addirittura il 66,06%, ossia due elettori su tre, superando sia la media regionale che quella provinciale.
In Veneto il record della diserzione spetta col 50,1% a Rovigo dove non viene dunque raggiunto nemmeno il quorum. Seguono Belluno col 48,6%, Venezia col 46,3% e persino Verona registra un buon risultato col 44,5%. Il dato sulla partecipazione alle urne è praticamente trascinato dalle province dove la Lega è tradizionalmente più forte, ossia Vicenza, Padova e Treviso (il feudo di Zaia).
Ciononostante il dato della partecipazione alle urne è rimasto ben al di sotto di quello conseguito al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 che pure poneva attraverso la revisione del Titolo V della Costituzione, la stessa sostanza del referendum leghista. In quell'occasione infatti si recò alle urne il 76,6% degli elettori lombardi e il 76,7% degli elettori veneti sommergendo con una valanga di No la controriforma neofascista votata dall'allora governo Renzi.
Non è peraltro secondario il fatto che i referendum promossi dalla Lega fascista, razzista e secessionista oltre ad avere lo scontato sostegno dell'alta finanza e della grande borghesia delle due regioni, erano appoggiati da tutto il “centro-destra”, dalla maggioranza del PD del nuovo duce Renzi e dal Movimento 5 stelle interclassista, trasversale, razzista e strumento del capitalismo e della borghesia.
Quest'ultimo che fin dall'inizio ne ha rivendicata la primogenitura, ad urne chiuse e visto il risultato si agita ancor di più per attribuirsene il merito: “Noi siamo stati l'unica forza politica che ha informato. Grazie al M5S – ha sostenuto il consigliere regionale lombardo Buffagni - si è votato col voto elettronico e su un quesito costituzionale”. Il PD continua ad essere a rimorchio del “centro-destra”. A livello locale ha addirittura sostenuto i referendum leghisti, a livello nazionale se ne è stato a guardare e ora elemosina un posto al tavolo della trattativa col governo.
Anche le forze astensioniste hanno fatto poco o niente per contrastare la propaganda dei sostenitori del Sì al referendum. Addirittura il PC di Rizzo della Lombardia si è pronunciato per l'astensione solo due giorni prima la data del referendum.
Il PMLI si è battuto come ha potuto per propagandare l'astensionismo, con generosità e contando esclusivamente sulle proprie forze, oscurato come sempre dai mass media borghesi e del regime.
Considerando tutto questo, il risultato dell'astensionismo e del No a questi referendum ha veramente dell'incredibile.
Maroni aveva detto che “L'asticella del successo è fissata al 51%”. Poi l'aveva prudentemente abbassata al 34%, anche se era chiaro che al di sotto del 40% di affluenza alle urne sarebbe stato un vero insuccesso. Ebbene il risultato si è fermato al 38,34%.
Zaia, da parte sua aveva affermato che: “Non basta che vinca il SÌ, se vincesse con un'affluenza del 51-52% cestinerò il referendum. Non vado a trattare a Roma per sentirmi dire che a uno su due non importa niente e che è rimasto a casa”. Il 57% non è certo così distante da quel 51-52%.
Ma entrambi si guardano bene dal prendere atto del sostanziale insuccesso e vanno dritti per la loro strada. Maroni ha già annunciato la spedizione a Roma portando con sé “una squadra di persone che rappresentano la regione, il mondo delle imprese, delle università, i sindaci. Anche quelli del PD che si sono schierati per il sì”.
Zaia a poche ore dall'esito del referendum ha annunciato l'approvazione di un disegno di legge di iniziativa statale per l'Autonomia speciale che inserisca il Veneto fra le regioni a Statuto speciale elencate nell'articolo 116 della Costituzione.
Come ha giustamente sostenuto l'Ufficio politico del PMLI nel documento del 25 settembre che invitava gli elettori lombardi e veneti a disertare le urne: “Si tratta di referendum marcatamente politici che tendono a dare allo Stato una forma federalista ancor più estesa rispetto al titolo V della Costituzione.
Lo scopo dichiarato è quello di ottenere dallo Stato 'ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia'. Quello non dichiarato è la secessione e l'indipendenza delle due Regioni per consentire loro di agganciarsi alla locomotiva capitalista franco-tedesca, lasciando alla deriva le Regioni del Sud. Ai due caporioni leghisti interessa unicamente fare gli interessi dei capitalisti lombardi e veneti le cui associazioni non a caso si sono espresse per il Sì”. “Maroni e Zaia – proseguiva il documento - vogliono la piena podestà legislativa su sanità, pubblica istruzione, tutela e sicurezza del lavoro, trasporti pubblici, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Se la otterranno, le giunte della Lombardia e del Veneto avranno mano libera per far tabula rasa del diritto allo studio a totale vantaggio delle scuole private e cattoliche; del diritto alla sicurezza sul lavoro a totale vantaggio del profitto capitalistico; del diritto alla mobilità a vantaggio delle privatizzazioni dei servizi ai trasporti urbani, ferroviari, aerei, fluviali, lacustri e marittimi (in Veneto); del diritto alla salute con ulteriore imbarbarimento neoliberista con privatizzazioni selvagge a partire dall'assistenza dei malati cronici; del diritto ambientale con la totale deregolamentazione in merito a inceneritori e discariche e con servizi ambientali e paesaggistici in merito a destinazione d'uso dei terreni a vantaggio della speculazione edilizia per la gioia del capitalismo finanziario e mafioso”.
Facciamo fallire questo disegno neofascista e secessionista. Dobbiamo opporci a dare maggiori poteri autonomisti e federalisti a Maroni e Zaia. Il governo Gentiloni, che al contrario ha già dimostrato ampie aperture, deve respingere un tale negoziato che spalancherebbe ancor più le porte al federalismo e al secessionismo in tutta Italia e i cui effetti li pagherebbero a caro prezzo solo le masse popolari, specie del Sud, e i migranti.
 

24 ottobre 2017