Da parte del parlamento
Dichiarata l'indipendenza della Catalogna dalla Spagna
Il popolo indipendentista in piazza per festeggiare l'evento storico. Il governo di Spagna destituisce il governo catalano
Ue e Usa: Esiste solo la Spagna

Il parlamento catalano riunito il pomeriggio del 27 ottobre approvava a maggioranza la “legge di transizione giuridica e di fondazione” della Repubblica; la risoluzione che dichiarava l'indipendenza della Catalogna dalla Spagna era votata a scrutinio segreto dai parlamentari delle formazioni indipendentiste, mentre i rappresentanti locali dei popolari, socialisti e Ciudadanos abbandonavano per protesta l'aula. Il testo presentato dai due partiti autonomi catalani, Junts pel Sì e Cup, esprimeva l'impegno ad “assumere il mandato del popolo espresso nel referendum” dell'1 ottobre a favore dell'indipendenza e a “dichiarare la Catalogna come Stato indipendente in forma di Repubblica”; la presidente dell'assise annunciava l'avvio del processo indipendentista approvato con 70 voti a favore, 10 contrari e due schede bianche; in aula i presenti cantavano l'inno “Les Segadores”.
Il presidente Carles Puigdemont invitava il popolo della Catalogna a difendere il Paese “nelle ore che vengono restando sul terreno della pace, del civismo e della dignità. Quello che abbiamo fatto è stato un passo lungamente atteso e combattuto”. Fuori della sede del parlamento alcune migliaia di indipendentisti accoglievano la decisione con grida di esultanza e il canto dell'inno catalano; il popolo indipendentista restava fino a notte in piazza per festeggiare l'evento storico. Sul parlamento catalano come sui municipi delle principali città, da Girona a Tarragona, da Lleida a Figueres, i manifestanti ammainavano i vessilli spagnoli e li sostituivano con quelli catalani.
La risposta da parte del governo di Mariano Rajoy, che parlava di “un atto criminale”, arrivava a dichiarazione di indipendenza ancora calda; il senato spagnolo riunito a Madrid in contemporanea a quello di Barcellona approvava coi voti di popolari, Ciudadanos e socialisti la proposta del governo di applicare l'articolo 155 della Costituzione, ovvero autorizzava l'esecutivo spagnolo a commissariare la Catalogna con la destituzione del presidente Carles Puigdemont e del suo governo. I ministeri catalani erano presi in carico dai corrispondenti ministeri centrali per la gestione provvisoria della attività. Le misure repressive di Rajoy si completavano con lo scioglimento del parlamento di Barcellona e la convocazione il 21 dicembre di elezioni nella comunità autonoma. Il governo della Catalogna era affidato alla vice-presidente del governo spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria. Mentre la Procura Generale dello Stato preparava la denuncia contro i vertici catalani che sotto l'accusa di “ribellione” rischiano una condanna dai 15 ai 25 anni, e fino a 30 anni in caso di insurrezione armata.
In appoggio alla reazione del governo spagnolo si schieravano Usa e Ue che già erano stati zitti, e quindi avevano avallato, le aggressioni poliziesche a Barcellona l'1 ottobre ai seggi referendari, le botte e gli arresti agli indipendentisti. “Per l'Unione europea non cambia nulla. La Spagna resta il nostro unico interlocutore” sosteneva il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, ignorando la decisione del parlamento catalano. In sintonia col presidente della Commissione europea, il lussemburghese amico delle multinazionali Jean-Claude Juncker: “l'Ue non ha bisogno di altre fratture. L'indipendenza della regione è un processo che sta avvenendo all'interno della Spagna e quindi rispetto tutte le decisioni che il governo di Madrid prenderà”. Secco il commento del presidente francese Emmanuel Macron, “ho un interlocutore in Spagna, è il primo ministro Rajoy, in Spagna c’è uno stato di diritto, con regole costituzionali, vuole farlo rispettare e ha il mio pieno appoggio” mentre il portavoce della cancelliera Angela Merkel dichiarava che “il governo tedesco vede l’aggravamento della situazione in Catalogna con inquietudine e non riconosce la dichiarazione di indipendenza”; stesse parole del governo di Londra che sottolineava come la Grn Bretagna “non riconosce e non riconoscerà l’indipendenza della Catalogna”. “La Catalogna è parte integrante della Spagna”, punto e basta, si leggeva in una nota del Dipartimento di stato americano che esprimeva il proprio appoggio “alle misure costituzionali del governo spagnolo per mantenere la Spagna forte e unita”.
Dal coro anti-indipendentista si discostavano la Scozia, con la premier Nicola Sturgeon che rispettava la decisione del parlamento di Barcellona e sottolineava che “la gente della catalogna deve poter determinare il proprio futuro”, e l'Abkhazia, il territorio caucasico parte della Georgia che è di fatto indipendente dal 2008, dopo la guerra sostenuta dalla Russia di Putin.
Il 28 ottobre l'ex presidente Carles Puigdemont dichiarava che “ieri abbiamo vissuto una giornata storica, una giornata piena di senso democratico e senso civico”, condannava il commissariamento della Catalogna e lo scioglimento del parlamento da parte di Madrid, “decisioni contrarie alla volontà espressa dai cittadini del nostro paese” e ricordava che “in una società democratica sono i parlamenti che scelgono o destituiscono i presidenti”. Indicava che “il modo migliore per difendere ciò che è stato conquistato finora è l'opposizione democratica all'applicazione dell'articolo 155, che è la consumazione di un attacco premeditato sulla volontà dei catalani, senza mai abbandonare un comportamento civico e pacifico”. Una dichiarazione debole che apre la strada alla resa della borghesia catalana al governo di Madrid.
Un colpo annunciato arrivava con puntualità il 30 ottobre con la decisione del procuratore generale spagnolo di chiedere l'incriminazione per l'ex presidente catalano Carles Puigdemont, 14 ministri del suo governo, per l'ex presidente della Camera e i membri dell'ufficio di Presidenza, accusati di sedizione e ribellione in merito alla dichiarazione di indipendenza votata dal parlamento catalano.
Al momento in cui scriviamo Puidgemont e alcuni membri del suo governo destituito da Rajoy sono in missione diplomatica a Bruxelles per incontrare alcuni esponenti nazionalisti fiamminghi; il 29 ottobre il segretario di Stato belga per l'asilo e la migrazione, pur immediatamente sconfessato dal primo Ministro, Charles Michel, si era espresso a favore della concessione, se richiesta, di asilo politico all'ex presidente catalano.
Il sindacato locale catalano, Intersindical-CSC, ha sospeso la dichiarazione di sciopero generale dal 31 ottobre al 5 novembre, annunciata il 28 ottobre, contro le misure repressive del governo spagnolo, pur riservandosi la convocazione di iniziative dal 6 al 9 novembre. Il coordinatore generale del PdeCAT, il partito dell'ex presidente Carles Puigdemont, e i responsabili di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), la due formazioni della coalizione Junts pel Sí che reggevano l'esecutivo catalano, annunciavano la decisione di partecipare alle elezioni del 21 dicembre; resta ancora da definire, se in coalizione o ognuna per contro proprio, con l'obiettivo di conquistare questa volta anche la maggioranza assoluta dei voti e non solo dei seggi.

31 ottobre 2017