Russiagate, gli uomini di Trump si consegnano all'Fbi
Riciclaggio, evasione fiscale, cospirazione tra i 12 capi di imputazione

L' ex direttore della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, e il suo partner d’affari ed ex consigliere di Trump, Rick Gates, si sono presentati spontaneamente alla sede dell’Fbi di Washington il 30 ottobre scorso per evitare la gogna di un arresto pubblico. I due portati davanti alla corte federale di Washington si sono dichiarati non colpevoli e si sono “comprati” gli arresti domiciliari pagando la bella cifra, rispettivamente, di 10 e 5 miliardi di dollari.
A loro carico il procuratore Robert Mueller aveva formulato dodici capi di imputazione che comprendono riciclaggio, evasione fiscale, violazione delle regole che disciplinano la professione di lobbista. Neanche una accusa connessa con la loro attività politica, per ora, ma è già evidente la connessione tra reati da codice penale e partito repubblicano da parte degli uomini di Trump. Nell'azione del procuratore Mueller prende corpo l'azione della magistratura americana che indaga sullo scandalo chiamato Russiagate, dei contatti tra lo staff di Trump e il governo russo nella campagna elettorale per le presidenziali non consentiti dalla legislazione americana.
Le indagini del Fbi hanno accertato violazioni fiscali continuate dal 2005 al 2010 e altre fino al 2017 a Manafort e Gates; nel mirino degli inquirenti è finita in particolare la dichiarazione fiscale di Manafort del 2010-2011 e i rapporti tra i due e l'ex presidente ucraino, il filorusso Yanukovych, e gli imprenditori russi che gestivano l’economia del Paese fino al 2014, alla rivolta appoggiata dall'imperialismo americano con i democratici alla Casa Bianca. Manafort era stato licenziato dai repubblicani dopo la convention di Cleveland, subito dopo che erano emersi i primi indizi sui suoi rapporti con i russi, inclusa una consulenza da 12 milioni di dollari per Yanukovych.
Nel prosieguo dell'indagine del procuratore Mueller sono stati incriminati un altro ex collaboratore volontario della campagna di Trump, George Papadopolous, che avrebbe mentito riguardo “i tempi, l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo”, durante la campagna per le presidenziali del 2016.
Ma è finito sotto indagine anche il lobbista Tony Podesta, molto vicino al partito democratico e fratello di John Podesta, presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton. Tony Podesta dal 2012 al 2014 ha lavorato con Manafort e il suo socio Gates al servizio del governo filorusso ucraino mentre l'amministrazione Obama lo combatteva.
Sarà interessante vedere se le indagini riusciranno a chiarire quanto è successo nello strano intreccio che lega repubblicani e democratici, nella campagna elettorale americana e nelle ingerenze/alleanze in Ucraina. Altro è il Russiagate che riguarda i contatti tra uomini dello staff di Trump, compreso suo genero Jared Kushenr, e esponenti del governo di Mosca che secondo le accuse dei democratici avrebbero favorito la corsa alle presidenziali di Trump a danni della Clinton.
Finora la vicenda è viaggiata più a livello di farsa che non di sostanza. Lo scorso 7 luglio, il primo incontro tra Trump e Vladimir Putin a margine del G20 di Amburgo in Germania avrebbe discusso della questione che potrebbe essere sintetizzata in questi termini, secondo quanto riferito dal segretario di Stato americano Tillerson e dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov: Trump ha chiesto a Putin se la Russia avesse interferito nelle elezioni americane, Putin ha garantito di no e affermato che comunque toccava agli Usa portare le eventuali prove, Trump prendeva atto e accettava la dichiarazione russa.
Il giorno successivo all'incontro di Amburgo, diversi quotidiani americani pubblicavano resoconti di almeno 18 incontri tra l'entourage di Trump e funzionari di Mosca, proibiti dalla norma Usa conosciuta come Logan Act. L'Atto Logan, approvato il 30 gennaio 1799, è una legge federale degli Stati Uniti che punisce con multa o carcere gli americani che senza autorizzazione trattano con governi stranieri che hanno una controversia con gli Stati Uniti. Non abbiamo parlato di questioni politiche, hanno sostenuto diversi collaboratori di Trump, compreso il genero, che non potevano negare i contatti. Che sia vero o no lo deciderà l'inchiesta della magistratura che potrebbe avere conseguenze pesanti, fino alle dimissioni forzate di Trump se arrivasse a sentenza in tempo, sperano i democratici.
 
 

8 novembre 2017