Manifestazioni del 2 dicembre organizzate dalla Cgil
I lavoratori in piazza contro l'aumento dell'età pensionabile e la legge Fornero
La piattaforma e la mobilitazione della Cgil è insufficiente
Occorre lo sciopero generale per respingere le misure varate da Gentiloni e abrogare la legge Fornero

Sabato 2 dicembre è stato il giorno della mobilitazione organizzata dalla Cgil contro l'innalzamento dell'età pensionabile e per una diversa impostazione dell'attuale sistema previdenziale basato sulla controriforma Fornero che ha i suoi cardini nel sistema contributivo, sull'eliminazione di fatto della pensione di anzianità e, per l'appunto, sull'aumento automatico dell'età in base all'aspettativa di vita. La mobilitazione va vista come una risposta contro il “pacchetto” pensioni proposto e inserito in legge di Bilancio dal governo Gentiloni.
Proposte governative che invece sono state accettate supinamente da Cisl e Uil che le hanno definite “misure importanti” nonostante non soddisfino neppure la richiesta principale che gli stessi sindacati confederali, unitariamente, avevano fatto: quella del blocco dell'aumento di 5 mesi che, in base all'automatismo della Fornero, porterà nel 2019 al diritto alla pensione di vecchiaia a 67 anni e a quella “anticipata” (ex anzianità contributiva) a 43 anni e due mesi. Come sappiamo il governo Gentiloni ha concesso solo il blocco (e solo stavolta) a 15 categorie di lavoratori che non rappresentano all'incirca il 10% del totale.
Da molti media è stato presentato come “sciopero della Cgil” ma in realtà quella denominata “Pensioni, i conti non tornano!” è stata una mobilitazione indetta di sabato con 5 manifestazioni in altrettante città che comunque hanno raccolto la partecipazione di migliaia di lavoratori e pensionati. A Torino si sono riunite tutte le regioni del nord Italia e nonostante la neve e la pioggia battente che ha colpito il capoluogo piemontese, in 25 mila hanno sfilato per le strade fino a raggiungere la centralissima Piazza San Carlo dove si è tenuto il comizio finale. Militante partecipazione di una combattiva delegazione del PMLI diretta da Angelo Urgo e Alessandro Frezza (si veda l'articolo nella pagina seguente).
A Bari invece si sono radunate le regioni meridionali. Nel capoluogo pugliese erano in 30mila ad animare un combattivo corteo che si è snodato per le via della città fino a piazza Prefettura. Alla problematica delle pensioni si è aggiunta quella dell'impoverimento del Mezzogiorno che, come è stato detto dal palco: “non si può risolvere con la decontribuzione e qualche sussidio”. Altre due manifestazioni si sono svolte nelle isole. A Cagliari per la Sardegna, una regione dove già ora le pensioni sono tra le più basse d'Italia, gli over 60 sono ancora al lavoro e centinaia di giovani continuano a emigrare. I lavoratori sono confluiti in piazza Garibaldi; al loro fianco tanti pensionati, studenti e migranti. A Palermo invece si è ritrovata la Sicilia. Ad aprire il corteo l'ex segretario della Fiom Maurizio Landini che ha denunciato la spaventosa disoccupazione che attanaglia la regione e invocato modifiche alla legge Fornero, senza però chiederne l'abrogazione. Presenti militanti e simpatizzanti delle Cellule “1° Maggio-Portella 1947” di Palermo e “Stalin” della provincia di Catania, che si sono uniti ai manifestanti come pesci nell'acqua. (si legga l'articolo nella pagina successiva).
La manifestazione principale si è svolta a Roma , dove era previsto il comizio conclusivo della segretaria nazionale Susanna Camusso, in videocollegamento con le altre 4 città. Dal palco di Piazza del Popolo ha chiesto di bloccare l'innalzamento illimitato dei requisiti per andare in pensione, un lavoro dignitoso e un futuro previdenziale ai giovani, superare la disparità di genere e riconoscere il lavoro di cura, garantire una maggiore libertà di scelta ai lavoratori su quando andare in pensione, favorire l'accesso alla previdenza integrativa e garantire un'effettiva rivalutazione delle pensioni. Oltre ai temi legati alla previdenza la Camusso ha chiesto di cambiare la legge di Bilancio per “sostenere lo sviluppo e l'occupazione", di estendere gli ammortizzatori sociali, di garantire a tutti il diritto alla salute e di rinnovare i contratti pubblici.
La Camusso ha poi ringraziato “i lavoratori di Amazon perché hanno squarciato il velo sulle vere condizioni di lavoro di quel luogo”. Ha ricordato che tra le 8 persone più ricche al mondo c’è il proprietario di Amazon, “l’azienda che si arricchisce sfruttando i propri lavoratori“. Mentre sul caso di Marica Ricutti, la madre separata con due figli a carico, di cui uno disabile, che dopo 17 anni è stata licenziata da Ikea, ha detto: “vogliamo abbracciare lei e i lavoratori dell’azienda svedese, non ci crediamo che il proprietario non possa creare un turno che concili tempi di lavoro e famiglia“.
Sicuramente queste lavoratrici e lavoratori sono da elogiare per il loro coraggio, ma non si può cascare dalle nuvole, specie se si è segretari del più grande sindacato italiano, di fronte a queste denunce, alla lotta per migliori condizioni di vita. Come se non fosse a conoscenza della realtà, e come se non fosse chiaro che dietro a questi colossi moderni e tecnologici, a multinazionali che fanno della flessibilità il loro credo, aziende “smart”, ovvero “intelligenti”, che soddisfano velocemente il consumatore, non si celasse il feroce sfruttamento capitalistico che nelle suo forme moderne assomiglia sempre più a quello vecchio del primo sviluppo industriale: brutale supersfruttamento senza diritti per i lavoratori.
Alla manifestazione di Roma hanno sfilano anche esponenti di Mdp, Sinistra italiana e Possibile che il giorno successivo hanno ufficializzato la nascita dell'ennesimo partito della sinistra borghese che correrà alle prossime elezioni con l'ex presidente del Senato, Pietro Grasso. Un evidente tentativo di recuperare consensi tra la classe operaia, i lavoratori e i precari anche se già a partire dal nome, “Liberi e Uguali”, vuole tagliare qualsiasi riferimento al movimento operaio e alla stessa parola sinistra . Allo stesso tempo si offre per fornire una sponda politica e un nuovo partito di riferimento alla Cgil, alternativo al PD.
Al di là di queste considerazioni il ritorno alla piazza è positivo, ma riteniamo la piattaforma e le modalità scelte dalla Cgil del tutto inadeguate di fronte alle controriforme pensionistiche che a partire da quella Dini del 1995, fino a quella della Fornero del 2012, hanno reso il sistema previdenziale italiano il peggiore d'Europa, sia per quanto riguarda l'età pensionabile sia per l'entità dell'assegno. Sistema in continua evoluzione negativa che ci porterà tra una decina di anni, secondo le previsioni Inps e Istat, ad avere la pensione solo dopo 44 anni di contributi oppure 69 anni di età e, se si è avuto una carriera lavorativa discontinua con meno di 20 anni di contribuzione, eventualità sempre più probabile con il precariato, all'età di 72 anni.
Chiedere soltanto di fermare l'adeguamento illimitato dell'età pensionabile vuol dire accontentarsi di contrattare con il governo ogni volta che c'è un aumento se esiste la possibilità di fermare, totalmente o parzialmente, quel meccanismo che invece dovrebbe essere cancellato del tutto. Per le donne vanno eliminate le disparità di retribuzione a parità di lavoro con gli uomini che portano a pensioni più basse e peraltro poiché devono svolgere lavori domestici e assistenza familiare supplementare devono anche andare in pensione prima. Ai giovani deve essere assicurata una pensione di garanzia che il governo aveva promesso ma che poi ha accantonato.
Se si vuole rappresentare veramente gli interessi dei lavoratori si deve chiedere l'abrogazione della Legge Fornero, dare la possibilità a tutti di andare in pensione con 40 anni di contributi e 60 anni di età. Queste sono le stesse rivendicazioni che si leggevano sui cartelli, venivano gridate negli slogan e si sono ascoltate nelle interviste fatte a lavoratori e pensionati nelle piazze del 2 dicembre: “cancellare la Fornero”, “se 40 anni vi sembran pochi”, “basta sulle impalcature a 67 anni”. Ma la Cgil non ha il coraggio di chiedere l'abrogazione della Fornero, lasciando che sia il fascioleghista Salvini a farlo, anche se sappiamo benissimo che le sue sono sparate elettorali.
La Camusso ha promesso che ci saranno altre mobilitazioni a breve scadenza, ma il tempo è scaduto. Non si può aspettare né sperare, come è stato fatto anche nel recente passato, che il parlamento apporti qualche improbabile modifica a favore dei lavoratori. Dobbiamo confidare sulla lotta di classe e sulla mobilitazione della piazza. Occorre proclamare subito lo sciopero generale con manifestazione nazionale a Roma per fermare adesso l'innalzamento dell'età pensionabile e le misure del governo Gentiloni sulle pensioni, ma con l'obiettivo più generale di affossare la controriforma Fornero.

6 dicembre 2017