Su iniziativa, ispirazione e guida dell'Arabia Saudita
I ministri della difesa di 41 paesi islamici dichiarano guerra totale al terrorismo, ossia allo Stato islamico
Alla Coalizione militare islamica contro il terrorismo fanno parte anche Turchia, Egitto, Afghanistan, Nigeria, Niger. Nel mirino anche Hezbollah alleato dell'Iran sciita

 
Mohammed Bin Salman Al Saud, principe ereditario e ministro della Difesa saudita, ha aperto il 26 novembre a Riad l'incontro del Consiglio dei ministri della Difesa dell'Islamic Military Counter Terrorism Coalition (Imctc), la Coalizione militare islamica contro il terrorismo promossa su sua iniziativa nel dicembre 2015 e composta da 41 nazioni islamiche unite nella lotta al “terrorismo”. “Non permetteremo ai terroristi di distorcere la nostra religione pacifica. Oggi stiamo mandando un messaggio forte, ovvero che stiamo lavorando insieme per combattere il terrorismo”, sosteneva Bin Salman, “oggi dichiariamo che combatteremo il terrorismo finché non lo avremo sconfitto definitivamente”, grazie al coordinamento di questa coalizione che metterà insieme “le capacità militari, finanziarie, politiche e di intelligence (…) e ciò avverrà a partire da oggi ed ogni paese contribuirà con il massimo delle proprie capacità”. E citava l’attacco di due giorni prima alla moschea sufi nel Sinai come un “evento molto doloroso che ci ricorda i pericoli del terrorismo e dell’estremismo”.
La Coalizione è una alleanza formata da 41 Paesi del mondo musulmano asiatici e africani il cui obiettivo iniziale nel 2015 era quello di coordinare l’intervento militare degli Stati membri contro lo Stato Islamico (IS). La missione si è allargata nel marzo 2016 per inglobare le attività contro “ogni forma di terrorismo e di estremismo violento” che minacci i Paesi musulmani mettendo nel mirino l'Iran, il bersaglio successivo all'IS. Ne fanno parte Afghanistan, Baharein, Bangladesh, Benin, Brunei, Burkina Faso, Ciad, Comore, Costa d'Avorio, Gibuti, Egitto, Gabon, Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Malesia, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Nigeria, Oman, Pakistan, Stato di Palestina, Qatar, Arabia Saudita, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo, Tunisia, Turchia, Uganda, Emirati Arabi Uniti e Yemen. Non include ovviamente Iran, Siria e Iraq, i paesi della cosiddetta mezzaluna sciita. Assente a Riad il ministro del Qatar, per il momento in quarantena a causa dell’embargo imposto a Doha il 5 giugno 2017 da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto per i legami con l'Iran. Anche il Libano era presente solo con l'ambasciatore presso la Lega araba, per registrare il momento delicato nei rapporti con i regnanti sauditi che avevano spinto il premier Hariri alle dimissioni, poi ritirate, per far esplodere le contraddizioni nel paese degli Hezbollah alleati dell'Iran sciita.
“Questo incontro segna l'avvio ufficiale delle operazioni dell'Imctc offrendo un momento di confronto a tutti i Paesi membri”, che sono “intenzionati a condividere le azioni e coordinare gli sforzi nella lotta al terrorismo, consentendo soluzioni regionali e locali consone alle diverse usanze culturali”, sottolineava in una nota il Tenente Generale Abdulelah Al-Saleh, Segretario Generale della Coalizione mentre il generale pachistano Rahil Sharif, comandante militare dell'Imctc, sottolineava che “la sfida più grande del 21° secolo, in particolare nel mondo musulmano, è affrontare il pericoloso fenomeno del terrorismo” e precisava che l'Imctc “prevede un approccio integrato per coordinare e unire gli sforzi sui quattro cardini della coalizione: l'ideologia, la comunicazione, il finanziamento del terrorismo e il settore militare”, richiamando i primi quattro punti degli impegni riportati nella dichiarazione di chiusura della riunione. Dove i ministri presenti “hanno affermato la loro determinazione a lavorare con ogni mezzo possibile per affrontare l'estremismo e il terrorismo in tutte le loro nozioni e percezioni ideologiche”, “si impegnano a impedire che i terroristi trasmettano il loro messaggio usando i media”, sottolineano “l'importanza di prosciugare le fonti di finanziamento del terrorismo” e “l'importanza del ruolo militare nella lotta alla minaccia del terrorismo”. I ministri “elogiavano gli sforzi del Regno dell'Arabia Saudita nel guidare la formazione della coalizione” e accettavano di stabilire il quartier generale a Riad e la cadenza annuale delle riunioni del consiglio dei ministri della Difesa, salvo esigenze diverse. Il che taglia definitivamente con quelle ridicole speculazioni che continuano ad attribuire a quel Paese il ruolo di finanziatore e regista occulto dello Stato islamico (IS).
Detto con altre parole i ministri della Difesa dei paesi della coalizione dichiaravano guerra totale al terrorismo, ossia all'IS tutt'altro che sconfitto. E accettavano di compattarsi nel fronte guidato dai paesi arabi reazionari sunniti contro il principale avversario, l'Iran sciita. Anche se la questione è solo in parte dipendente dalle correnti religiose musulmane, ad esempio lo Stato islamico è sunnita, ma soprattutto politica e vede in gioco potenze imperialiste locali impegnate a conquistare l'egemonia nella regione; Arabia Saudita e Iran guidano i due principali schieramenti ma non hanno un peso secondario la Turchia di Erdogan, presente a Riad ma alleata con Teheran in Siria sotto la cappella della Russia di Putin, e soprattutto gli imperialisti sionisti di Tel Aviv che non stanno a guardare come conferma il raid aereo in Siria del 2 dicembre contro un'installazione militare nei pressi di Damasco, un bersaglio che secondo alcune fonti sarebbe una base militare iraniana in costruzione. Sul fronte iraniano la coalizione ha una valida spalla nel regime sionista, “i contatti con il mondo arabo moderato, tra cui quelli con l’Arabia Saudita ci aiutano a fermare l’Iran” hanno recentemente spiegato ministri e generali di Tel Aviv.
Un compito che si presenta ancora più difficile dopo che l'Iran ha rafforzato il legame con la potenza imperialista in risalita, la Russia di Putin, e la Cina dalle quali si attende una protezione, e assieme all'Afghanistan ha chiesto ufficialmente l'adesione alla SCO al 16esimo Fourm dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) che si è svolto l'1 dicembre a Sochi in Russia. “Prima la situazione era molto complicata a causa di alcune questioni internazionali riguardanti le attività nucleari dell'Iran, ma ora i problemi sono stati risolti”, sosteneva il primo ministro russo Dmitrij Medvedev mettendo una pietra sopra la decisione di Trump di far saltare l'accordo indigesto per Tel Aviv e Riad.
Un impegno di altro genere sarà la guerra allo Stato islamico, come ricordava Ahmed Aboul Gheit, segretario generale della Lega Araba, nel suo intervento il 30 novembre alla conferenza internazionale Med Dialogues a Roma quando avvertiva che “l'Isis sta per essere sconfitto in Iraq e Siria, ma non significa che scomparirà oggi o tra 10 anni”, perché nonostante le sconfitte militari in Iraq e Siria “è probabile che torni nelle città a seminare distruzione”. Toccherà alla coalizione di Riad fare la sua parte nello spazio non occupato dall'imperialismo americano nella regione: il 28 novembre la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders, annunciava di stare pensando a ridurre il sostegno militare ai gruppi che combattono l'IS in Iraq e Siria, ossia alle forze curde usate e mollate come era prevedibile. Una posizione che tra l'altro potrebbe cambiare in meglio i rapporti degli Usa con la Turchia.

6 dicembre 2017