Dopo averli utilizzati per combattere lo Stato islamico
Trump molla i curdi in Siria, Putin lo rimpiazza

La portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders, nell'inconro con la stampa del 27 novembre annunciava che gli Usa stanno pensando di ridurre il sostegno militare ai gruppi che combattono lo Stato islamico (IS) in Iraq e Siria sottolineando che “la perdita del controllo territoriale dell’IS ci permette di fermare i rifornimenti militari a determinati gruppi. Ciò non significa che smettiamo completamente di sostenerli ma l'unico scopo nostro era quello di aiutare a sconfiggere l'IS”. Obiettivo realizzato, affermano alla Casa Bianca, e quindi Donald Trump può mollare i curdi in Siria, col plauso del regime di Ankara.
La decisione degli Usa era stata anticipata il 24 novembre dallo stesso Trump in una conversazione telefonica col suo omologo turco Tayyip Erdogan resa nota da un comunicato della Casa Bianca nel quale si legge: “coerentemente alla nostra precedente politica il presidente Trump ha informato Erdogan degli adeguamenti militari in sospeso forniti ai nostri partner in Siria ora che la battaglia di Raqqa è stata completata e procediamo verso una fase di stabilizzazione che mira a impedire il ritorno dell’IS”. Il vice premier turco Bekir Bozdag definiva la decisione Usa di non inviare altre armi alle formazioni curde delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) “un punto di svolta” nei rapporti conflittuali tra Usa e Turchia, precisando però che “il ‘noi non daremo armi ai curdi detto per la prima volta dal presidente Trump è importante ma perderà valore se non verrà implementato. È come se avesse ingannato il mondo”.
I rapporti tra Washington e Ankara torneranno ai precedenti livelli di scontro in seguito alla decisione dell'imperialismo americano di spostare l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e Trump col passo indietro in Siria lasciava spazio alla Russia di Vladimir Putin.
Anche per Mosca la guerra in Siria contro l'IS è finita, le operazioni militari sulla riva est e su quella ovest dell'Eufrate “si sono concluse con una completa sconfitta dei terroristi”, annunciava il 6 dicembre il presidente russo. E le ultime operazioni militari intorno a Deir Ezzor sulla riva est dell’Eufrate, delle Forze Democratiche Siriane (Fds), delle quali le Ypg e le Unità di Difesa delle Donne (Ypj) curde costituiscono l'ossatura, si erano svolte col “sostegno aereo e logistico e il coordinamento sul terreno” con le forze russe, sottolineavano portavoce curdi e il generale russo Poplavsky. Il capo della base russa di Khmeimim, da dove opera l’aviazione di Mosca, sottolineava il successo della nuova cooperazione militare tra Rojava e Russia mentre il ministero della Difesa russo rendeva noto che di recente sono stati quasi 700 i raid aerei a copertura dell’avanzata curda nel nord della Siria.
L'esercito del regime di Damasco, sostenuto da forze iraniane e libanesi di Hezbollah, operava sulla riva ovest dell'Eufrate e non poteva pestare i piedi dall'altra parte del fiume alle formazioni dei curdi siriani comprendenti i consiglieri americani nella guerra comune all'IS. Trump annuncia un passo indietro e Putin è pronto a approfittarne e lo rimpiazza, anche lui usando le forze curde senza mettere in discussione l’alleanza con la Turchia.
Questi capovolgimenti di alleanze sono compiuti sulla testa e ai danni dei curdi e non tornano certo utili alla loro causa o quantomeno al progetto di federazione della Siria, comprendente le tre regioni curde autogovernate della Federazione Democratica Sira del Nord dove l'1 dicembre si sono tenute le elezioni per i consigli cittadini, cantonali e regionali. Passare da una alleanza, seppur definita tattica dalle Ypg, con l'imperialismo americano a una con l'imperialismo russo, che pure ha un potere determinante nel futuro della Siria, è come passare dalla padella alla brace. Al momento i curdi siriani continuano a essere messi al margine del processo negoziale, sia di quello dell'Onu a Ginevra che di quello condotto da Mosca a Astana.

13 dicembre 2017