Più occupati ma precari
Record di contratti a termine
Su dieci nuovi assunti solo uno a tempo indeterminato. L'occupazione giovanile è aumentata grazie agli stage, tirocini, apprendistati, lavori in somministrazione e intermittente

Una marea di precari in più. Sono queste in estrema sintesi le parole più corrette per fotografare gli ultimi dati Istat sull'occupazione relativi al novembre 2017. Nell'ultimo anno, stando all'istituto nazionale di statistica, gli occupati sarebbero aumentati di 497mila unità. Di questi quasi mezzo milione di nuovi lavoratori solo 47mila sono a tempo indeterminato, mentre 450mila, cioè più di 9 su 10, sono stati assunti a tempo determinato.
Queste sono le cifre reali che governo e PD cercano in ogni modo di piegare a proprio favore per usarle come arma elettorale. Nelle ultime settimane sui mezzi di comunicazione asserviti al regime si è intensificata la propaganda che ci martella con notizie che cercano di far passare l'idea che la crisi economica capitalistica sia alle nostre spalle e siamo oramai in un periodo di sviluppo economico. Il Pil cresce, i consumi aumentano, la disoccupazione scende mentre salgono gli occupati, le agenzie di rating promuovono le nostre banche, cresce la fiducia degli italiani, insomma, un quadro idilliaco.
Renzi, Gentiloni e suoi ministri hanno preso la palla al balzo dei dati Istat per mettere nel mazzo delle “belle notizie” anche l'aumento dell'occupazione, presentata addirittura “da record... ai massimi dal 1977”. Per far risaltare meglio il loro operato il governo e Renzi fanno partire i conteggi dal 2014, anno primo dell’era Jobs Act, e quindi parlano di un milione e 29 mila occupati in più con ben 541mila posti a tempo indeterminato. Il nuovo duce democristiano, a tal proposito, tira fuori il famoso milione di posti di lavoro, cavallo di battaglia del leader di Forza Italia, che “Berlusconi ha solo promesso, mentre noi (del PD, ndr) l'abbiamo realizzato”.
Anche sui numeri si cerca di barare perché se la matematica non è un'opinione è altrettanto vero che bisogna vedere come vengono letti e capire la realtà dietro le fredde cifre. Anzitutto la disoccupazione in Italia rimane molto al di sopra della media: 11% contro l'8,7 della zona Euro e il 7,3% dei 28 paesi dell'Unione Europea. I paragoni con il 1977 poi non reggono: il tasso di disoccupazione era al 6,4% ed i senza lavoro erano “solo” 1,34 milioni, il tasso di occupazione maschile era addirittura al 74,6% e i giovani disoccupati erano il 21,7% ossia 10 punti in meno di oggi. Questi sarebbero i miracoli del Jobs Act?
Torniamo al presunto aumento dell'occupazione. I dati che ne certificherebbero la risalita specificano che la gran parte di essa, come detto il 90%, è dovuta dalla crescita di stage, tirocini, apprendistati, lavori in somministrazione e interinali, e vengono considerati occupati anche coloro che lavorano per poche ore nella vasta gamma di lavori precari. Non a caso questi contratti usati in buona parte per chi è alle prese con i primi lavori, vanno ad incidere sulla diminuzione della disoccupazione giovanile nell'ultimo anno che comunque rimane tra le più alte d'Europa.
Dobbiamo tenere di conto anche dell'abolizione dei vecchi voucher sostituiti da quelli nuovi, molto più restrittivi; le imprese hanno preferito assumere a tempo determinato anziché con i buoni lavoro. Il che conferma come i voucher non erano affatto uno strumento per favorire l'emersione del lavoro nero come propagandava il governo, bensì l'esatto contrario, uno strumento che permetteva alle aziende di far lavorare in nero senza correre alcun rischio.
Un altro dato significativo è quello delle fasce di età dove i lavoratori ultracinquantenni mantengono un alto tasso di occupazione. Un effetto intimamente legato alla controriforma Fornero che ha allungato l'età pensionabile, anche se negli ultimi mesi i dati hanno iniziato ad invertire di tendenza poiché la “riforma”, o per meglio dire la riduzione, degli ammortizzatori sociali sta rendendo più difficile la ricollocazione occupazionale dei lavoratori over 50.
Se diradiamo le nebbie della propaganda ci appare ben chiaro come il Jobs Act non abbia praticamente inciso sul lavoro a tempo indeterminato che il governo affermava di voler favorire, l'unica cosa che ha aumentato è il precariato. Sicuramente ci hanno guadagnato i padroni, i quali oltre che dell'abolizione dell'articolo 18 e della maggiore libertà di licenziamento, hanno potuto usufruire di una forte decontribuzione.
Non a caso la Confindustria continua a chiedere, e ottenere, sgravi fiscali per le imprese mentre sulla spesa pubblica il governo continua a tagliare indiscriminatamente.
 
 
 
 

17 gennaio 2018