Approvata la legge di Bilancio “elettorale” da 27,8 miliardi
Confermato l'impianto tutto sbilanciato a favore di imprese e padronato. Briciole per il Mezzogiorno, i poveri, i giovani e i lavoratori. Cresciuti solo i bonus e le mance elettorali. Porte in faccia a Cgil e sinistra parlamentare.
Occorre lo sciopero generale

Il 23 dicembre scorso il Senato ha approvato in via definitiva la legge di Bilancio 2018. l'approvazione è avvenuta col solito sistema del maxiemendamento che raggruppa in un unico articolo di migliaia di commi tutti gli articoli della legge e gli emendamenti che si sono aggiunti per strada, sul quale poi il governo ha posto il voto di fiducia per evitare sorprese. Molti di questi emendamenti sono stati aggiunti nel precedente passaggio alla Camera, dove si è fatto sentire l'effetto della fine della legislatura che ha scatenato la corsa dei parlamentari a strappare leggi e leggine a favore delle rispettive consorterie elettorali, tanto che uscita il 17 ottobre dal Consiglio dei ministri con 120 articoli la legge è approdata in Senato per l'ultimo voto di ratifica con la bellezza di 1.247 commi.
La spallata finale dell'“assalto alla diligenza” scatenato dalla vigilia elettorale l'ha fatta salire dagli iniziali 20 miliardi a 27,8 miliardi, ma le risorse stanziate in più non soltanto non andranno a finanziare gli investimenti e l'occupazione, perché si disperderanno in una miriade di mance e mancette elettorali, ma il loro reperimento sarà fatto attraverso ulteriori tagli alla spesa pubblica che graveranno sulla sanità, sull'istruzione, sui trasporti e gli altri servizi pubblici, di cui abbiamo già avuto un assaggio con la raffica di aumenti tariffari di Capodanno. Senza contare che poiché i tagli non basteranno a far quadrare i conti, in primavera è già prevista un'altra “manovrina” correttiva che le autorità della UE pretendono non sia inferiore allo 0,2% del Pil, vale a dire 3,4 miliardi, ma che più probabilmente sarà secondo gli analisti almeno di altri 7 miliardi.

Regalo di Natale a imprese ed evasori fiscali
A conti fatti, al netto di tutta una serie di partite contabili a somma zero, per cui le mance che vengono date con una mano vengono riprese con l'altra attraverso corrispondenti tagli, e al netto dei 15,7 miliardi bloccati come “garanzia” per evitare l'aumento dell'Iva al 25% che avrebbe dovuto scattare il 1° gennaio (e che così viene accortamente rimandato a dopo le elezioni), a “promuovere lo sviluppo”, che secondo il governo dovrebbe essere lo scopo di questa legge di Bilancio, vengono destinati in tutto 5,5 miliardi. La maggior parte di questi è destinata a finanziare un ricco regalo di Natale alle imprese, con gli sgravi contributivi del 50% per i neo assunti fini a 35 anni di età a tempo indeterminato (altri 6 miliardi in tre anni, dopo i 10 miliardi del Jobs Act), con i superammortamenti del 130% e gli iperammortamenti del 250%. Per non parlare, a proposito di regalo di Natale, del nuovo condono per evasori ed elusori contenuto nelle pieghe del decreto fiscale di accompagnamento e che era già stato approvato in precedenza.
Altri 1,6 miliardi sono destinati al rinnovo dei contratti del pubblico impiego, che poi si traducono in un misero aumento medio di 85 euro lordi e un'una tantum di neanche 500 euro che compensa solo in minima parte l'ingente perdita salariale causata da quasi dieci anni di blocco della contrattazione. Un rinnovo tra l'altro fatto dal governo solo per tornaconto elettorale. Per il Mezzogiorno anche stavolta non c'è niente, se si eccettua il rinnovo della decontribuzione del 100% per i neoassunti e l'istituzione di un Fondo imprese Sud con una dotazione di 150 milioni.
Per la spesa sociale e la lotta alla povertà ci sono solo 2,6 miliardi in tre anni, ma nel 2018 solo 300 milioni per il Reddito di inclusione, un'elemosina di cui godranno solo circa 1,8 milioni di persone a fronte di 4,75 milioni di italiani ufficialmente classificati come indigenti. A questo si aggiungono l'aumento della soglia da 2.800 a 4.000 euro per poter fruire delle detrazioni per figli a carico e 2,5 milioni per l'erogazione di borse di studio, spese mediche e iniziative assistenziali in favore degli orfani per crimini domestici e femminicidio. Agli altri orfani, magari di lavoratori morti sul lavoro, invece niente.

Pioggia di bonus elettorali
Il governo non ha lesinato solo sui bonus di stampo elettorale, dalla riconferma del bonus renziano di 500 euro per i diciottenni alla riconferma del bonus bebè di 960 per il primo anno per contentare gli alfaniani; dalla riconferma dell'ecobonus per le ristrutturazioni e per mobili ed elettrodomestici, ad uno speciale bonus per incentivare la cura dei giardini e del verde privato e condominiale, e così via. Il ministro dello Sport Luca Lotti, per esempio, non solo ha avuto un aumento di 40 milioni per il suo dicastero, ma si è visto approvare pure un emendamento per prolungare fino al 2026 la presidenza del Coni al suo amico Malagò, nonché una deroga ad hoc che permette alle società sportive di pagare gli steward negli stadi con i voucher.
Porte sbattute in faccia invece a sindacati e sinistra parlamentare sulle più urgenti questioni riguardanti l'aumento dell'età pensionistica, il superticket sanitario e il Jobs Act. Sul rinvio dell'aumento dell'età pensionabile a 67 anni dal 2019 previsto dalla legge Fornero chiesto dai sindacati il governo è stato irremovibile, concedendo solo una deroga per 15 categorie di lavori usuranti, un allargamento della platea per accedere all'anticipo pensionistico e uno sconto di uno o due anni per le mamme lavoratrici a seconda del numero dei figli. Sul rifiuto del governo ha pesato la complicità di Cisl e Uil, ma di certo lo ha incoraggiato anche l'attendismo della Camusso, che se l'è cavata con un solo sciopero e nemmeno generale il 2 dicembre scorso, disattendendo la promessa di continuare la mobilitazione per cambiare la legge.
La sinistra parlamentare si è vista respingere dalla maggioranza a guida PD emendamenti che proponevano correzioni minime al Jobs Act, tra cui la riduzione della durata dei contratti a termine, l'aumento a 8 mesi dell'indennità di mobilità e il raddoppio dell'indennizzo in caso di licenziamento senza giusta causa, mentre sulla richiesta di riduzione del superticket sanitario per 300 milioni (inizialmente LeU ne chiedeva 600) il governo ne ha concessi solo 60.

Continuare la lotta contro il governo Gentiloni
Tra le novità introdotte all'ultimo momento c'è la tanto invocata Webtax, cioè la tassa sulle transazioni in rete. Questa doveva essere del 6%, invece è stata ridotta al 3%, e oltretutto non riguarderà l'e-commerce: il che significa per esempio che mentre Facebook e Google la pagheranno per la raccolta pubblicitaria, altri colossi del Web come Amazon continueranno a non pagare un centesimo. Mentre una serie di emendamenti del governo accollano alle piccole imprese il dissesto economico delle inutili e parassitarie Camere di commercio, permettendo loro di aumentare il diritto annuale fino a un massimo del 50%, e al ministro dello Sviluppo economico di aggiornare il tributo per decreto entro il 31 dicembre.
Anche se questa legge di Bilancio filopadronale, antioperaia e antipopolare è ormai passata non per questo vengono meno le ragioni per uno sciopero generale nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma sotto Palazzo Chigi. Anzi essa è sempre più una questione all'ordine del giorno, per fermare la politica economica e sociale di lacrime e sangue del governo Gentiloni e della UE imperialista, difendere i diritti e le conquiste sindacali e sociali sotto attacco padronale e governativo e rivendicare con forza il lavoro e l'occupazione.
 

24 gennaio 2018