Violando l'integrità territoriale della Siria
La Turchia aggredisce il cantone curdo di Afrin
Mosca: “La responsabilità è degli Stati uniti che sostengono l'autonomia della regione curda e le inviano armi”

Preceduta dai pesanti bombardamenti aerei del giorno precedente, che hanno colpito un centinaio di obiettivi nella zona, è scattata il 21 gennaio l'aggressione turca via terra contro il cantone curdo di Afrin nel nord della Siria, dal quale erano da poco stati ritirati da Mosca i propri osservatori militari. Obiettivo dell'attacco dell’esercito turco sarebbe quello di “ripulire dai terroristi” una zona di sicurezza in Siria larga 30 km lungo il confine della Turchia, dichiarava il primo ministro turco Binali Yildirim. Il vero bersaglio del regime di Ankara è invece quello di prendere il controllo del cantone curdo violando palesemente la sovranità siriana, liquidare le Unità di Difesa del Popolo e delle Donne (YPG/YPJ), e impedire che intanto possa unirsi territorialmente con gli altri cantoni della Rojava, quelli di Kobane e Jazira.
Il dittatore turco Recep Tayyip Erdogan dichiarava che “coloro che armano i terroristi capiranno presto che non esiste altro partner affidabile nella regione ad eccezione della Turchia” e prometteva che dopo Afrin “Manbij sarà la prossima destinazione. Passo dopo passo, ripuliremo da questa pestilenza terrorista che ci assedia tutto il paese, fino al confine Iracheno”. Ossia quello che è stato da sempre l'obiettivo della Turchia e ne ha determinato l'intervento nella crisi siriana, compreso il passaggio dalla coalizione imperialista guidata dagli Usa a quella imperialista guidata dalla Russia che gli ha permesso da un anno e mezzo di entrare intanto col suo esercito nel nord-ovest siriano tra i cantoni curdi.
Sotto le bombe dell'aviazione e dell'artiglieria turche, nei primi due giorni dell'aggressione, ci sono stati alcune decine di civili morti e feriti, comunicavano portavoce delle YPG che il 22 gennaio sostenevano di aver bloccato l'avanzata delle forze turche affiancate da reparti dell'Esercito Siriano Libero (ESL) che nei progetti di Ankara dovrebbero successivamente mantenere il controllo del cantone curdo. Il presidente Erdogan battezzava l'aggressione col nome di “Ramo d'Ulivo”, un sfacciato richiamo apparentemente pacifico come quello dei sionisti imperialisti di Tel Aviv che aggredirono Gaza con l'operazione “Pace in Galilea”; il comandante ad Afrin delle Forze Democratiche Siriane (FDS), l'asse portante delle quali è formato dalle formazioni curde delle YPG, rispondeva il 21 gennaio annunciando il lancio della “Operazione Rivoluzionaria contro le forze d’invasione dell’esercito turco” mentre la co-Presidente del governo cantonale di Afrin, Hevi Mustafa, dichiarava che “la nostra unica opzione è la resistenza. Non permetteremo alcuna occupazione turca su suolo siriano”. Il comando supremo delle YPG accusava la Russia di “tradimento” e di “complicità criminale” con Ankara, dato che lo spazio aereo di Afrin è sotto il controllo dei russi, e denunciava che senza il permesso delle grandi potenze un attacco del genere non sarebbe possibile.
La lista dei paesi che condanna l'aggressione turca è molto corta. Comprende la Francia che ha chiesto una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu mentre il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian chiedeva di fermare gli attacchi su Afrin e di permettere l’accesso a aiuti umanitari; l’Iran condannava l’attacco col vice ministro degli Esteri, Hossein Jaberi Ansari, che temeva conseguenze negative sul processo di pace in vista del Congresso del Dialogo nazionale siriano in programma a Sochi, in Russia, il 29 e 30 gennaio. Anche l’Egitto e i paesi arabi del Golfo, la cordata dei paesi sunniti guidati dall'Arabia saudita che contende alla Turchia la leadership del mondo islamico, condannavano l’avanzata turca a Afrin, per il Cairo si trattava di una “violazione della sovranità” della Siria.
Alla vigilia dell'aggressione turca, quando i tamburi di guerra già suonavano forti, il governo di Damasco prometteva di reagire e abbattere ogni caccia turco che avrebbe osato violare lo spazio aereo siriano ma a attacco lanciato il Presidente siriano Bashar Al-Assad si limitava a denunciare la “brutale aggressione” della Turchia contro Afrin come un “sostegno al terrorismo”.
Sembra che l’operazione militare sia stata comunicata da Ankara a Damasco via lettera mentre nella capitale turca erano stati convocati e informati i rappresentanti diplomatici di Washington, Teheran e Mosca al momento dell'inizio dell'attacco aereo. Ma già il 18 gennaio a Mosca si era svolto l'incontro tra una delegazione militare russa e turca per discutere questioni riguardo al coordinamento delle attività in Siria, con la delegazione turca che contestava l'operazione militare avviata dall'esercito di Damasco a fine dicembre contro le zone controllate a Idlib dalle forze dell'opposizione siriana appoggiata da Ankara. Nessuna parola sembrerebbe sulla questione di Afrin che stava diventando caldissima ma due giorni dopo la Russia ritirava i suoi consiglieri militari dal cantone curdo un secondo prima dell'aggressione turca.
Erdogan aveva cominciato a muovere le sue truppe a seguito dell'offensiva di Damasco su Idlib e a accelerare i tempi dell'aggressione militare dopo che l'amministrazione americana si era rimangiata la promessa di non dare più armi ai curdi, una volta finito il loro compito contro lo Stato islamico (IS) in Siria, e aveva annunciato di voler creare una forza chiamata “Esercito del nord” per operare ai confini con Iraq e Turchia e lungo l’Eufrate per impedire il ritorno dell’IS. Per Erdogan questo sarebbe stato “l’esercito del terrore” e il 16 gennaio annunciava di essere pronto a lanciare un’operazione nel nord della Siria.
Il 17 gennaio i curdi siriani del partito Pyd lanciavano un appello affinché “la comunità internazionale si assuma la responsabilità nei confronti di più di un milione di persone che vivono nella regione di Afrin”, minacciata dal regime turco. Il portavoce del dipartimento della difesa americana, Adrian Rankine-Galloway, affermava che “non consideriamo i curdi ad Afrin parte della nostra campagna per sconfiggere l’IS e perciò non li sosteniamo. Non siamo coinvolti”, quando il 18 gennaio l'esercito turco lanciava una settantina di missili nella zona di confine verso Afrin. L'offensiva stava prendendo forma col via libera anche dell'imperialismo americano. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Jim Mattis,confermava che il governo turco aveva preallertato quello americano sull'inizio dell'offensiva e spiegava che Ankara ha dei "legittimi" motivi di preoccupazione per la situazione nell'area mentre il Segretario di Stato Rex Tillerson sosteneva che gli Usa “riconoscono e apprezzano pienamente il diritto legittimo turco a proteggere i suoi cittadini dagli elementi terroristici che potrebbero lanciare attacchi contro il suolo turco dalla Siria”. I curdi erano di nuovo tornati “terroristi” nella terminologia dell'imperialismo americano. Invece il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov accusava la Casa Bianca di continuare a “incoraggiare attivamente” il separatismo dei curdi in Siria e di cercare da tempo “di scoraggiare in tutti i modi i curdi dal dialogo con Damasco” sostenendo che “non c'è dubbio sul fatto che vada garantito il ruolo dei curdi nel processo di soluzione politica. È per questo che rappresentanti curdi sono stati inclusi nella lista dei siriani invitati al Congresso del dialogo nazionale” in programma a Sochi. Uno scambio di accuse che crea confusione e assomiglia molto a un gioco delle parti e che conferma almeno una cosa: l'imperialismo russo e quello americano giocano sporco fra di loro e coi loro alleati, stabili o provvisori che siano, per spartirsi la Siria in base ai loro interessi imperialisti. Mettendosi entrambi sotto i piedi quelli del popolo curdo.

24 gennaio 2018