Si è chiusa un'altra legislatura senza l'approvazione di una legge contro il consumo del suolo
L'Italia preda della cementificazione
In soli sei mesi consumati 5 mila ettari di suolo

Dopo infiniti rimandi, rinvii e inconsistenti impegni d’approvazione, l’Italia, uno dei territori più antropizzati del mondo nel quale ogni giorno si perde una superficie di territorio pari a 36 campi da calcio, ossia 3 metri quadrati al secondo, non ha ancora una legge che regoli il consumo di suolo.
 
Oltre 10 anni di rimpalli
Già nel maggio 2016 la Camera discusse una bozza di legge sulla base di una norma europea che ambisce a fermare il consumo di suolo entro il 2050; tuttavia dai primi riferimenti del Ministro Lupi nel 2005, il parlamento ha visto quattro governi diversi che si sono opportunisticamente rimpallati le responsabilità di non aver chiuso la partita. Il provvedimento nel 2016 entra in Senato e viene ostacolato, in particolare da tre regioni; il Veneto – che detiene il primato del consumo di suolo in Italia - del leghista Luca Zaia che poco dopo approva un proprio, inconsistente, provvedimento regionale, Sicilia e Campania frenano, come hanno fatto con il disegno contro l’abusivismo edilizio. Ciò ovviamente a solo vantaggio della speculazione edilizia, anche a rischio di sicurezza, salute e ambiente. Allo stesso modo molti Comuni si sono opposti nel timore di perdere gli introiti degli oneri di urbanizzazione e di essere costretti a restringere i favori ai compiacenti costruttori. In seguito anche le Regioni hanno accettato il disegno, dopo che il governo Gentiloni era andato incontro all’Associazione Costruttori per superare due articoli ritenuti indigesti; poi la proposta torna in Senato e qui viene bombardata da 130 subemendamenti. Infine il governo rimanda il voto a dopo l’Epifania del 2018 quando, puntuale, arriva lo scioglimento delle Camere.
 
La scelta politica del nulla di fatto
È indicativo ascoltare direttamente le parole di Mario Catania, ministro nel governo Monti e oggi nel gruppo “Centro Democratico”: “Alle resistenze del centro-destra, che per tradizione difende la filiera del cemento, si sono aggiunte quelle del Pd emiliano vicino alle cooperative. Se avesse voluto, il partito di maggioranza avrebbe fatto passare il provvedimento con largo anticipo”. Questi continui nulla di fatto non sono semplici ritardi nell’iter, come vorrebbero far credere tutti i partiti in gioco nessuno escluso, ma una vera strategia governativa a tutto vantaggio della speculazione edilizia. È vero che oggi la corruzione e il malaffare e il rapporto stretto fra imprenditoria, mafia e partiti, consentono anche un rapido aggiramento delle norme esistenti, ma è altrettanto vero che l’assenza di regole facilita il lavoro. È chiaro poi che questo buco normativo mette a repentaglio la sicurezza del territorio poiché non si dovrebbe permettere che vengano realizzate costruzioni in aree soggette a dissesto idrogeologico; al contrario il recupero, il ripristino ed il riutilizzo di aree dismesse dovrebbero essere obbligatoriamente preferenziali rispetto all'utilizzo di nuove superfici libere. Ormai si contano a decine le vittime di disastri naturali solo perché le abitazioni o le costruzioni sono allocate nei pressi di un terreno franoso, di un’ansa di un fiume con rischi alluvionali o di valanghe come accaduto, per fare un esempio, a Rigopiano. Allo stesso tempo la cementificazione selvaggia ha fatto sì che in Italia vi siano aree verdi in continua diminuzione e ciò comporta un rischio sostanziale per le biodiversità, elemento peculiare del nostro paese.
A risentirne, comunque e in estrema sintesi, è la salute pubblica, al pari delle sue casse, poiché cavalcando questo liberismo sfrenato e senza argini, le periferie delle grandi città versano in condizioni insostenibili, vessate da ogni tipo di inquinamento aereo ed ambientale che creano patologie comuni e diffuse, curate poi con le casse pubbliche negli ambienti sanitari. In sostanza più profitti per i costruttori e per le mafie, più deregolamentazione e inquinamento, minor salute della popolazione e maggiore spesa pubblica. È l’ora di dire basta a questa chiara formula antipopolare, propria di una società capitalista, astenendosi e disertando le urne il 4 marzo.

31 gennaio 2018