Bloccati per ora i braccialetti di Amazon per spiare i lavoratori

Il tentativo, da parte di Amazon, di introdurre nei propri stabilimenti italiani i braccialetti elettronici che, di fatto, spiano i lavoratori è stato per il momento respinto dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda al termine di un incontro con una delegazione della multinazionale.
Del resto, i sindacati si erano immediatamente mobilitati contro la provocatoria iniziativa dell'azienda, e avevano minacciato dure forme di lotta qualora il braccialetto fosse stato effettivamente introdotto.
Eppure le parole di Calenda non tengono conto del fatto che, a fronte del clamore mediatico suscitato dalla vicenda Amazon, già esistono in Italia numerosi casi di controllo invasivo sulla vita aziendale dei lavoratori, che le aziende hanno potuto attuare grazie al Jobs Act renziano e relativamente ai quali il ministro sembra cadere dalle nuvole.
Si pensi infatti che altre importanti aziende, come la multinazionale francese Leroy Merlin, hanno introdotto negli stabilimenti italiani tecnologie poliziesche per il monitoraggio dei propri dipendenti, mentre altre, come la multinazionale tedesca OBI, hanno tentato già dal 2015 di introdurle ma hanno dovuto desistere a causa della ferma reazione dei sindacati.
In Italia, a seguito delle modifiche introdotte dal Jobs Act allo Statuto dei Lavoratori, sono ormai numerose le aziende, per lo più medie e piccole, che dal 2014 hanno introdotto nuove tecnologie come Rfid e Gps montati su badge, microchip e smartwatch allo scopo di identificare i singoli lavoratori e di controllarne e monitorarne costantemente le prestazioni: ad esempio, il braccialetto al polso dei dipendenti della storica pasticceria Bertelli di Trento, così come quello del locale Bici Grill che si trova nella stessa città, calcola le ore trascorse nel posto di lavoro, il tempo della pausa pranzo e monitora l'uso della cassa.
La Asl di Salerno, dal canto suo, ha recentemente inserito nelle nuove divise un microchip che potenzialmente è in grado di tracciare ogni movimento, e che rischia di invadere pesantemente anche la vita privata dei lavoratori, mentre la MOM, l'azienda provinciale di trasporto di Treviso, si sta accingendo a installare sui mezzi 450 strumenti elettronici di controllo, gestiti da un computer centrale e rivolti al guidatore, con lo scopo di identificare la posizione degli autobus, di controllare lo stile di guida, di quantificare il consumo di carburante e di dare notizia all'azienda in tempo reale di eventuali infrazioni.
All'estero accade anche di peggio, in quanto in alcune aziende svedesi e americane ai lavoratori è stato impiantato, con il loro consenso, un microchip sotto la pelle, e a questo punto si può dire che quei lavoratori possono essere permanentemente spiati dalla propria azienda anche nella loro vita privata.
Anche importanti giuristi esperti in diritto del lavoro hanno criticato il ricorso a braccialetti, monitor e microchip: "Con la vecchia formulazione dello Statuto dei lavoratori - afferma il giurista Vincenzo Martino, vicepresidente degli Avvocati giuslavoristi italiani, in un'intervista al 'Fatto' dello scorso 2 febbraio - una cosa del genere sarebbe stata fuori discussione. Il Jobs Act, con un intervento mirato, ha depotenziato le tutele e spianato la strada a questi comportamenti da anni bui“ , e non si può non essere d'accordo con Martino sul fatto che le norme del Jobs Act hanno fortemente ridotto le garanzie imposte dalla legge n. 300 del 1970 che limitavano la facoltà di controllare a distanza i dipendenti.
Questa è l’ennesima prova che l’innovazione teconologica, nel sistema capitalista, non attenua - come pure potrebbe - le fatiche dei lavoratori, ma al contrario rinnova e inasprisce lo sfruttamento.
 
 
 

 

14 febbraio 2018