Washington e Mosca bombardano in Siria le rispettive forze nemiche
Israele distrugge una base iraniana in Siria, questa abbatte un caccia di Tel Aviv
Vertice anti Usa tra Russia, Turchia e Iran a Istanbul

L'abbattimento da parte della contraerea dell'esercito di Damasco di un caccia sionista che aveva compiuto uno dei tanti raid sulla Siria, e che solo l'arroganza del boia sionista Netanyahu poteva tentare di far passare come un attacco contro Israele col contributo peraltro dei media asserviti all'imperialismo, avvenuto il 10 febbraio è stato solo l'ultimo episodio della guerra tra, a questo punto, ex alleati per la spartizione del paese mediorientale e la definizione di nuovi rapporti di forza nella regione tra le maggiori potenze imperialiste e le loro alleate che puntano all'egemonia locale.
In successione a partire dal 9 febbraio si registravano attacchi dell'aviazione di Washington e Mosca contro le rispettive forze nemiche, di Ankara contro i curdi di Afrin e di Tel Aviv su una base di forze iraniane in Siria. La conclusione della guerra contro lo Stato islamico (IS), anche se non ancora cacciato del tutto dalla Siria, che ha rappresentato il collante di tutte le forze imperialiste e dei loro alleati, ha dato il via a quella aperta fra gli ex alleati e financo all'interno delle stesse coalizioni imperialiste guidate da Russia e Usa.
Per primi erano segnalati i bombardamenti dell'aviazione russa contro le milizie dell'opposizione al regime siriano sostenute dalla Turchia e concentrate nella zona di Ghuta, a Est della capitale Damasco, e nella regione di Idlib, ultima importante roccaforte anti Assad. A Idlib, che dovrebbe essere una delle zone di de-escalation previste da Mosca, Teheran e Ankara con gli accordi di Astana del 2017, arrivavano carri armati turchi ma sostegno delle forze alleate e per stringere l'accerchiamento contro l'adiacente cantone curdo di Afrin investito dal 20 gennaio scorso dall'offensiva dell'esercito turco. Esercito che secondo quanto dichiarato dal dittatore turco Erdogan dovrebbe puntare in seguito alla vicina zona di Manbij, controllata dalle Forze democratiche siriane (Fds) la cui componente principale è costituita dai curdi delle Ypg. Erdogan chiedeva agli Usa di togliere il proprio presidio militare dalla città composto da duemila marines, come aveva fatto con Mosca riguardo gli osservatori schierati a Afrin prima dell'aggressione, ma la risposta dell'ex alleato imperialista americano non era la stessa e al Pentagono rispondevano che non ce ne andiamo. Il generale americano Paul E. Funk, comandante in capo della Coalizione anti-Is a guida Usa, affermava che “ho molta fiducia nei leader delle Forze democratiche siriane. Quando nessun altro l’avrebbe potuto fare, loro hanno riconquistato Raqqa. Credo che questo gli abbia fatto meritare un posto al tavolo delle trattative”.
Lo Stato islamico è stato sconfitto in Siria, come in Iraq, ma pur respinto dalle principali città conserva ancora alcune zone sotto il proprio controllo dalla zona della città di Hama nella Siria centrale e nelle zone semidesertiche ma piene di pozzi petroliferi attorno a Deir el Zor, verso il confine con l'Iraq.
Nella zona di Deir el Zor si susseguivano nella giornata del 9 febbraio gli attacchi dell'esercito governativo di Assad contro le postazioni occupate dalle Fds al cui soccorso interveniva l'aviazione Usa. Il Pentagono annunciava che “in difesa della coalizione e delle forze alleate abbiamo condotto raid contro le forze che l'hanno attaccata per respingere l'aggressione contro i partner impegnati nella missione contro l'Isis”. Con le operazioni militari a Manbij e a Deir el Zor l'imperialismo americano torna protagonista anche militare nella spartizione della Siria che non vuole decisa dai risultati diplomatici dei tavoli di Sochi e Astana pilotati da Russia, Turchia e Iran in base ai loro interessi egemonici locali.
Il regime di Damasco definiva l'attacco Usa per quello che effettivamente è, una aggressione, ma al momento Assad ha una flebile voce in capitolo sul futuro del suo paese. Ne hanno senza dubbio molta di più Putin e Erdogan che sempre il 9 febbraio in una conversazione telefonica concordavano di rafforzare il coordinamento delle attività delle rispettive forze armate e servizi di sicurezza e di tenere a Istanbul il prossimo summit tra Russia, Turchia e Iran a questo punto in funzione anti Usa, per continuare a dettare legge in Siria.
Ultimo attore imperialista che opera per conto proprio in Siria è il regime sionista di Tel Aviv che ripetutamente ha colpito con raid aerei basi delle forze di Assad o delle formazioni dei suoi alleati, i pasdaran iraniani e gli Hezbollah libanesi.
Già il 7 febbraio i caccia sionisti avevano colpito una base militare alle porte di Damasco invano contrastata dalle batterie missilistiche terra-aria siriane. Che invece hanno fatto centro il 10 febbraio abbattendo un F16 di Tel Aviv che rientrava da uno dei 12 raid che nella mattinata avevano colpito diversi obiettivi militari.
Il premier sionista Netanyahu rivoltava la frittata e cercava di passare da aggressore a aggredito accusando l'Iran di violare “la nostra sovranità facendo infiltrare un suo drone nello spazio aereo israeliano dalla Siria. La nostra politica è chiara: Israele si difenderà contro ogni aggressione ed ogni tentativo di violare la sua sovranità”. Una reazione avallata solo dagli alleati imperialisti che coprono regolarmente il regime sionista di Tel Aviv che invia regolarmente i suoi aerei a violare la sovranità della Siria e del Libano.
Russia, Iran e Libano in una dichiarazione congiunta negavano qualsiasi violazione dello spazio aereo israeliano e promettevano anche una “risposta dura e ferma a ogni nuova aggressione”. Il movimento libanese Hezbollah condannava i raid sionisti in Siria e sottolineava che “l'abbattimento del caccia nemico segna una nuova fase strategica che mette un limite alle scorribande nei cieli e nei territori siriani” e segna un “cambio degli equilibri” nella regione.

14 febbraio 2018