Il CC del PMLI ha dimostrato la perdurante attualità della Rivoluzione d'Ottobre
 

di Gior - Roma

Il documento del Comitato centrale del Partito, pubblicato su Il Bolscevico n. 39 del 2 novembre 2017, pp. 2-6) nell’imminenza del primo Centenario della Rivoluzione di Ottobre, rappresenta una perfetta sintesi tra storia e attualità e tra socialismo inaugurato un secolo fa e socialismo da realizzare in futuro.

Scrive il Comitato centrale nel suo documento intitolato Viva la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre che l’insurrezione che, a partire dal 7 Novembre 1917 portò alla vittoria del socialismo in Russia e poi alla costituzione dell’URSS “fu un evento straordinario, che cambiò per sempre la storia del mondo e dell'umanità ”, spiegando le ragioni per le quali “essa resti di assoluta attualità e, cent'anni dopo, abbia ancora tanto da dire a chi aspira al vero cambiamento economico, sociale e politico ”, ed è impossibile, anche per storici e intellettuali avversari non ammettere tale lampante verità, sotto almeno quattro profili.
 
Sotto un primo profilo infatti, tutto interno al campo socialista, la Rivoluzione di Ottobre rese possibile, con Lenin, la costituzione del socialismo in un territorio (quello dell’URSS) che costituiva un sesto delle terre emerse del mondo, e tramite il consolidamento del potere socialista e delle sue peculiari strutture istituzionali rispetto a qualsiasi contemporanea società capitalista (la gestione operaia e contadina delle aziende, l’istituzione della Milizia Popolare che preparò già negli anni Trenta milioni di uomini e di donne all’uso delle armi, i Tribunali del Popolo che vedevano la partecipazione diretta delle masse popolari alla gestione della giustizia, l’emancipazione femminile di massa, la lotta senza quartiere contro ogni forma di razzismo, di sciovinismo nazionalista e di conseguenza il riconoscimento della dignità culturale e politica delle nazionalità) l’Unione Sovietica, guidata da Stalin, riuscì non soltanto ad avere, grazie alla sua peculiare struttura sociale, la parte principale nella sconfitta del nazifascismo, ma riuscì anche a creare le condizioni per l’estensione del sistema socialista dapprima nell’Europa orientale e in Cina, poi in altre parti del mondo.
 
Sotto un secondo profilo, stavolta interno agli Stati contemporanei a capitalismo avanzato, la Rivoluzione di Ottobre fece sentire da subito i suoi effetti anche nel campo capitalista, sia in quei Paesi che mantennero una democrazia borghese sia in quei Paesi che, proprio per evitare il rischio che l’ondata socialista inaugurata con la Rivoluzione di Ottobre si estendesse oltre la Russia, instaurarono dittature di tipo nazifascista. Nel primo gruppo di Paesi i governi dovettero necessariamente estendere gradualmente i diritti dei lavoratori e in generale i diritti sociali e, dopo la crisi del 1929, in alcuni casi (come gli Stati Uniti di Roosevelt) dovettero introdurre per la prima volta nella storia del capitalismo interventi statali nell’economia che sarebbero stati impensabili fino a pochi anni prima, ed anche i Paesi capitalisti nei quali la borghesia decise di introdurre regimi nazifascisti dovettero introdurre misure di stampo paternalistico a favore delle masse popolari, e in alcuni casi i partiti di estrema destra che presero il potere (come il Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei , ossia il Partito Nazionalisocialista Tedesco dei Lavoratori in Germania) scimmiottarono il socialismo persino nel loro nome, a dimostrazione dell’enorme prestigio che il socialismo aveva ormai conquistato, dopo la Rivoluzione di Ottobre, presso le masse popolari in tutto il mondo.
 
A proposito del mondo, non si deve poi dimenticare che la lezione che l’Unione Sovietica, Stato multietnico e multinazionale sin dalla sua fondazione, diede al mondo sin dalla sua costituzione nel 1922 un formidabile impulso all’identità nazionale e al desiderio di indipendenza di tanti popoli coloniali sottomessi e schiavizzati dalle potenze capitaliste, soprattutto in Africa e in Asia, e questo è il terzo importante lascito storico della Rivoluzione di Ottobre. Non a caso il movimento socialista (si ricordi il fondamentale saggio di Stalin del 1913, i cui insegnamenti sarebbero stati fondamentali per la regolamentazione giuridica delle nazionalità dell’URSS, denominato Il marxismo e la questione nazionale ) aveva messo, ancora prima dello scoppio della Rivoluzione del 1917 in Russia, ai primissimi posti del suo programma politico la questione della salvaguardia delle identità nazionali come fattore necessario per la costituzione del socialismo. Oggi, a distanza di un secolo dalla presa del Palazzo d’Inverno, le colonie, almeno sotto il profilo strettamente giuridico, non esistono più.
Infine, sotto un quarto profilo, la Rivoluzione di Ottobre, inaugurando un secolo di lotte proletarie su scala mondiale, diede impulso, anche tramite la Rivoluzione culturale proletaria cinese del 1966 che non sarebbe stata possibile senza la lezione dell’Ottobre, a movimenti popolari di lotta e di protesta che, tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del Novecento, infiammarono il mondo intero e giunsero fino al cuore dei Paesi capitalisti con le lotte dei neri negli Stati Uniti e poi, in tutto il resto del mondo, con il Sessantotto che pose con forza una serie di questioni come quella antiautoritaria, quella sociale, quella giovanile, quella femminile, e che rappresenta certamente, a distanza di mezzo secolo dall’Ottobre, una sua necessaria conseguenza, tanto che le società del mondo intero ne sono risultate profondamente influenzate. I riflessi internazionali della Rivoluzione, del resto, non erano sfuggiti nel 1927, dieci anni dopo l’insurrezione di Pietrogrado, a Stalin che ne sottolinea nel suo scritto Il carattere internazionale della Rivoluzione d’Ottobre , il carattere internazionale, anzi mondiale.
 
Quelle elencate sono state certamente le quattro più importanti conseguenze della Rivoluzione di Ottobre nel mondo, ma devono necessariamente essere analizzate le premesse per le quali tale evento ha costituito, e tuttora costituisce, un fatto epocale.
 
Il Comitato centrale nel suo documento indica i quattro punti fondamentali per cui la Rivoluzione di Ottobre conserva un primato nella storia che la rende insuscettibile di venire confusa con altri movimenti rivoluzionari che l’hanno preceduta e che hanno comunque visto la partecipazione di ampie masse popolari.
Il primo punto, come scrive il Partito, consiste nel fatto che “per la prima volta nella storia dell'umanità, la rivoluzione non vedeva l'avvicendamento di due classi sfruttatrici, ma la presa del potere da parte di una classe sfruttata – il proletariato – che aveva come obiettivo l'abolizione di ogni sfruttamento e delle classi ”: è vero, ad esempio, che durante la Rivoluzione francese si mobilitarono ampie masse proletarie, tra cui masse operaie e masse femminili (si ricordino, e si tratta solo di esempi, la massiccia mobilitazione e successiva sommossa degli operai parigini del 28 aprile 1789 e la marcia delle donne proletarie del 5 ottobre successivo da Parigi a Versailles, per tali avvenimenti si veda Il Bolscevico n. 42 del 17 novembre 2016, pp. 13 e 14), ma tale partecipazione del proletariato, stimolata da fenomeni contingenti come il rischio di abbassamento dei salari e la penuria di generi alimentari, non fu diretta a eliminare la borghesia che lo sfruttava, bensì, paradossalmente, a far sì che proprio quella stessa borghesia aggiungesse il potere politico al potere economico già preponderante da secoli in Francia, eliminando i privilegi parassitari della nobiltà e del clero che gravavano sia sulla borghesia sia sul proletariato. Neanche le grandi sommosse contadine scoppiate in tutta la Francia tra luglio e agosto 1789 avevano l’obiettivo politico di portare al potere i contadini, bensì soltanto quello di eliminare i residui diritti feudali, con la conseguenza che anche l’agricoltura francese cadde nelle mani della borghesia, o restò nelle mani della stessa nobiltà che comunque avrebbe condotto le campagne con criteri puramente capitalistici. Il proletariato, durante la Rivoluzione francese, cadde letteralmente dalla padella della nobiltà alla brace della borghesia, si sgravò dalla vessazione di un manipolo di parassiti (nobili e clero) per rimanere saldamente sotto il tallone di chi già lo sfruttava da secoli (la borghesia, peraltro rafforzata in quanto ora deteneva anche il potere politico che prima non aveva). Anche durante le lotte nazionali di indipendenza del XIX secolo il proletariato si unì alla borghesia per l’affrancamento da una dominazione straniera, ma non per imporre sulla borghesia il proprio potere politico e quando, nel 1871, per la prima volta al mondo il proletariato andò direttamente al potere durante i due mesi della Comune di Parigi, si trattò di un’esperienza purtroppo effimera, soffocata nel sangue quasi subito anche a causa della mancanza di una efficace direzione politica. Invece con la Rivoluzione di Ottobre gli operai e i contadini poveri unirono le loro forze ai soldati di estrazione proletaria non per supportare, coscientemente o meno, una classe sfruttatrice come era accaduto in passato, bensì per acquisire essi stessi, coscientemente e direttamente, il potere sia politico sia economico, e lo fecero, diversamente da quanto era accaduto a Parigi 46 anni prima, creando istituzioni economiche e politiche destinate a durare nel tempo e a cambiare il corso della storia.
 
Il secondo elemento che il Comitato centrale ha messo in evidenza è quello della distruzione dello Stato che costituiva la sovrastruttura del sistema economico fino a quel momento dominante, ossia la distruzione dello Stato borghese. Seguendo l’analisi compiuta da Lenin - che, non dimentichiamocelo, era anche un giurista – in Stato e Rivoluzione , nell’Ottobre furono azzerate tutte le istituzioni giuridiche precedenti, dai corpi militari a quelli di polizia, dal potere giudiziario a quello amministrativo, furono abrogate tutte le precedenti leggi e azzerate tutte le cariche, un fenomeno rivoluzionario che non aveva precedenti nella storia dell’umanità. Distinguendo sottilmente tra le funzioni e i soggetti istituzionali destinati a svolgerle, Lenin, come del resto aveva teorizzato in Stato e Rivoluzione , un testo che a sua volta è ampiamente debitore nei confronti delle riflessioni di Engels, istituì l’Armata Rossa al posto dei vecchi corpi di origine zarista ereditati dallo Stato borghese dopo la Rivoluzione di Febbraio, istituì la Milizia Popolare al posto dei corpi di polizia, l’organizzazione della giustizia incentrata sui Tribunali del Popolo al posto dei vecchi e screditati tribunali zaristi, i Commissari del Popolo al posto del vecchio governo, i mezzi di produzione furono in parte nazionalizzati e in parte collettivizzati, il tutto con un minimo comun denominatore: la partecipazione popolare a tutti gli aspetti della vita economica, politica, giuridica e sociale avrebbe dovuto essere la regola senza eccezioni di sorta. Mai nella storia dell’umanità un simile principio democratico si era affermato prima in alcuna rivoluzione, neppure in quella inglese del 1689, in quella americana del 1776 e in quella francese del 1789, in quanto nessuna di esse portò una trasformazione così radicale nei rapporti economici, politici e sociali all’interno di quelle società, e i principi ispiratori della Rivoluzione di Ottobre, a loro volta, costituirono il modello al quale si ispirarono gli altri Stati socialisti nati sul suo esempio.
 
Il terzo punto che il Comitato centrale ritiene fondamentale consiste nel fatto che “il proletariato è assolutamente in grado di prendere e conservare il potere e costruire una società nuova senza sfruttamento, oppressione, classi, disparità di sesso e territoriali, disoccupazione e miseria ”, e la storia dimostra proprio questo, cioè che i lavoratori, e al loro interno le donne lavoratrici, sono in grado di camminare sulle proprie gambe, non hanno bisogno di altre classi sociali che li guidino. La Rivoluzione di Ottobre dimostrò quindi che è falso ciò che fino al XIX la cultura dominante aveva pensato e fatto pensare agli stessi lavoratori, cioè che il proletariato fosse soltanto una massa informe capace solo di essere guidata dalla borghesia, ma non di guidare la società. Così come le assemblee delle fabbriche e delle aziende agricole dimostravano inequivocabilmente che gli operai e i contadini potessero condurle benissimo, allo stesso modo si dimostrò che le donne, considerate dalla cultura borghese incapaci di partecipare alla vita sociale e politica, potessero diventare capo operaio, dirigente di azienda agricola, medico, commissario del popolo, presidente di un Tribunale del Popolo, membro dell’Armata Rossa o delle Milizie Popolari. Allo stesso modo, mentre negli Stati Uniti schiavisti fino al 1865 era severamente proibito ai neri imparare a leggere e scrivere in quanto ritenuti inferiori e mentre i Paesi capitalisti colonialisti ancora nel 1917 - e lo avrebbero fatto per alcuni decenni ancora - obbligavano centinaia di milioni di uomini e donne in tutto il mondo a rimanere nell’ignoranza e nello sfruttamento sotto il tallone coloniale, Lenin puntò immediatamente, da quando giunse al potere, alla piena valorizzazione delle culture nazionali non russe e non europee che si trovavano nei territori dell’ex impero zarista, all’alfabetizzazione di decine di milioni di persone appartenenti a etnie dell’Asia centrale, nello stesso momento in cui imperavano, nel mondo capitalista, razzismo verso etnie non bianche, e di conseguenza colonialismo e sfruttamento senza limiti. La Rivoluzione di Ottobre dimostrò quindi al mondo fatti che oggi sono scontati, ma che all’epoca non erano assolutamente tali per la mentalità dominante, come quello che le donne potessero fare le stesse cose degli uomini e che popolazioni non europee avessero le stesse capacità degli europei, e contemporaneamente dimostrò che tutto il proletariato, senza distinzione di sesso, razza, lingua o cultura, può autogovernarsi senza aver bisogno della paternalistica tutela borghese, e tantomeno di quella di sovrani, duchi, arciduchi, della nobiltà o di qualsiasi clero.
 
Il quarto punto per il quale il Comitato centrale ritiene che la Rivoluzione di Ottobre costituisca un evento capitale della storia è che essa non può essere considerata una serie di eventi casuali e fortuiti come accadde nella Rivoluzione americana o in quella francese, ma che al contrario essa è stata lucidamente programmata e diretta da uno specifico pensiero, la scienza marxista di Marx ed Engels alla quale proprio in quei momenti si aggiungevano gli apporti teorici e organizzativi di Lenin e di Stalin, che a loro volta dopo decenni sarebbero stati ulteriormente perfezionati e arricchiti dal pensiero di Mao. La Rivoluzione di Ottobre fu possibile solo ed esclusivamente grazie a una lucida analisi della realtà politica e sociale russa da parte di un Partito (quello bolscevico) perfettamente organizzato, che seppe cogliere il momento opportuno per intervenire nella storia a fianco del proletariato e conquistare insieme ad esso la definitiva vittoria. Non vi è nella storia altro evento rivoluzionario assimilabile alla Rivoluzione di Ottobre sotto tale aspetto, e il fatto che altre rivoluzioni siano riuscite a creare altri Stati socialisti nel mondo nei decenni successivi dimostra che non si tratta di una eccezione della storia, ma di un evento fondante, che inaugura una nuova era.
 
Quelli sopra esposti sono, in sintesi, i motivi per cui il nostro Comitato centrale, a ragion veduta e con lucida analisi politica, afferma che dal 7 Novembre 1917 “la Rivoluzione d'Ottobre è stata il faro di tutti gli sfruttati e gli oppressi del mondo intero, l'esempio concreto del valore e della superiorità del marxismo-leninismo come teoria rivoluzionaria e del socialismo come sistema politico-economico. Essa ha incoraggiato e ispirato per tutto il Novecento le lotte e le vittorie del proletariato e dei popoli in lotta contro il capitalismo, l'imperialismo, il colonialismo, il nazismo, il fascismo e il razzismo, ha promosso la nascita e lo sviluppo dei partiti comunisti ed ha rappresentato lo spartiacque fra gli autentici marxisti-leninisti e i revisionisti rinnegati del comunismo ”.
 
L’accenno alla contrapposizione tra gli autentici marxisti leninisti e i revisionisti non è certo casuale, e va messa in relazione da una parte con i grandiosi sviluppi che l’Ottobre ha avuto nel Novecento in tutto il mondo - sviluppi ai quali in Italia e non solo il nostro Partito Marxista Leninista Italiano, che costituisce un faro di limpida e chiarissima luce rivoluzionaria, ha pienamente partecipato e che ha sempre testimoniato - e dall’altra con l’oblio ufficiale, o addirittura con una disinformazione mistificatoria come quella perpetrata da quell’autentico mercenario della penna e dello schermo televisivo che è Ezio Mauro, che tale avvenimento centrale nella storia del mondo sta ricevendo da parte dei mezzi di informazione generalisti maneggiati dalla borghesia, e gran parte della responsabilità di tale oblio lo si deve, più ancora che alla borghesia che fai suoi interessi alla luce de sole, a quei falsari del socialismo scientifico che sono i sedicenti comunisti, che in realtà sono revisionisti, che hanno determinato dapprima il tracollo dell’URSS e poi la trasformazione della Cina in un Paese che, dietro la facciata comunista e le bandiere rosse, ha sposato il capitalismo, l’imperialismo ed è addirittura diventato uno Stato fascista, un regime autoritario nemico giurato dei lavoratori, non dissimile dalle dittature di Franco, Mussolini e Hitler.
 
Nel documento del Comitato centrale viene posta la questione, a tal proposito, se la restaurazione del capitalismo nell’URSS non smentisca e sconfessi la via dell’Ottobre intrapresa da Lenin e proseguita da Stalin, oppure non la confermi pienamente, e la risposta è e deve essere senz’altro la seconda. Tale tema è di importanza vitale per noi marxisti leninisti e per il proletariato, perché se il tracollo dell’URSS deve imputarsi all’Ottobre, quest’ultimo perde ogni attualità e merita di finire nella pattumiera della storia, mentre, al contrario, se il tracollo dell’URSS è avvenuto proprio perché tale Stato non ha continuato a seguire la via dell’Ottobre, deve essere la politica sbagliata della prima a dover essere messa in discussione, e non certo l’Ottobre, che merita gli allori della storia.
 
È importante soffermarsi approfonditamente su questo punto, anche con dati, notazioni e riflessioni ulteriori rispetto a quanto autorevolmente affermato dal Comitato centrale, il quale comunque ha sintetizzato bene il rischio del ritorno del capitalismo in uno Stato socialista tramite la citazione di alcune lungimiranti analisi compiute già da Lenin e da Stalin nei primi anni di vita della nuova realtà socialista. Le citazioni tratte da opere di Lenin e di Stalin (e lo stesso si potrebbe dire per quelle di Mao riguardo alla Cina, e non solo) dimostrano la lucida intuizione di tali autori sul fatto che i risultati conseguiti con l’instaurazione dello Stato socialista non necessariamente sono definitivi, ma che la lotta di classe continua anche all’interno dello Stato socialista dopo la sua formale e ufficiale instaurazione giuridica, e continua anche all’interno dello stesso Partito comunista, come dimostra la durissima lotta che Stalin dovette affrontare nell’URSS negli anni Trenta contro i revisionisti che, infiltratisi nel Partito, nello Stato, nell’Armata Rossa, nelle aziende industriali e agricole, erano diventati di fatto la quinta colonna degli Stati capitalisti in territorio sovietico, con l’obiettivo di inceppare l’economia e lo Stato socialista e di portare alla fine al collasso della stessa URSS, secondo un disegno perseguito da quell’autentico manigoldo politico di Leon Trotzky che, da uno dei massimi collaboratori di Lenin nell’Ottobre 1917, era di fatto divenuto dieci anni più tardi il peggior nemico del socialismo e dei popoli sovietici, promuovendo azioni terroristiche e di sabotaggio a tutto vantaggio dei nemici dell’URSS e del socialismo.
 
Come stupirsi allora, se uno dei massimi collaboratori di Lenin nei giorni dell’Ottobre si è di seguito distinto nell’intenzione di provocare il collasso dell’URSS nata dall’Ottobre, che nello stesso Partito vi siano stati tanti revisionisti, in realtà borghesi travestiti da comunisti, che alla fine hanno effettivamente attuato il disegno trotzkista di disgregare l’URSS?
 
È ciò che avvenne gradualmente in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin quando uno dei suoi principali collaboratori, Krusciov, diventò Segretario generale del Partito e inaugurò con la cosiddetta ‘destalinizzazione’ una linea politica che avrebbe gradualmente, anche con l’intervento dei suoi principali successori Breznev e Gorbaciov, portato a quel risultato che, con metodi diversi, si proponeva a suo tempo Trotzky, ossia la scomparsa dell’URSS e con essa del socialismo in Russia.
 
È importante ora analizzare in dettaglio, e in modo cronologico, il periodo di tempo che va dal 1953 (data della morte di Stalin) al 1991 (data della dissoluzione dell’URSS).
Invertendo la tendenza di rigore legislativo che Stalin aveva sempre sostenuto in proposito, già il 28 marzo 1953, pochi giorni dopo la scomparsa di Stalin, il governo sovietico, nel quale emergevano Krusciov e Malenkov, emanò un decreto di amnistia, e contestualmente una riforma del codice penale che contemplava forti diminuzioni di pena per alcuni reati economici come concussione e corruzione, a tutto vantaggio di burocrati corrotti, ai quali Stalin non aveva concesso sconti.
 
Poi, a settembre dello stesso anno, il rapporto di Krusciov sul tema dell’economia rovesciava completamente la linea economica socialista di Stalin per la costruzione del comunismo, imperniata sullo sviluppo prioritario della produzione di mezzi di produzione (e fra questi soprattutto degli strumenti di produzione) e sulla graduale abolizione della produzione mercantile, tutti fattori che avevano permesso all’URSS di uscire vittoriosa (con uno sforzo militare, economico, di mobilitazione di massa, di trasferimento di infrastrutture che non è mai stato sostenuto nell’intera storia del mondo da alcun’altra nazione) dalla seconda guerra mondiale, e che vennero magistralmente descritti in Problemi economici del socialismo in URSS .
 
Come primi risultati di tale vera e propria controriforma economica ci furono, in campo agricolo, l’innalzamento dei prezzi all’ammasso agricolo obbligatorio, la diminuzione del volume delle quote obbligatorie per le aziende, e con ulteriori atti normativi fu lasciato più spazio alle vendite libere a prezzi maggiorati, si incoraggiarono i contadini a perseguire l’interesse individuale attraverso premi, si incoraggiò il commercio fra le fattorie collettive (e ciò in contrasto con l’indicazione, da sempre consigliata da Stalin, di abolire gradualmente la circolazione mercantile), venne garantita una maggiore indipendenza nella pianificazione della produzione agricola incoraggiando e incrementando il commercio tra aziende agricole, ma contemporaneamente vennero a poco a poco aumentati i controlli burocratici sulla produzione e il commercio di prodotti attraverso figure professionali e tecniche come agronomi, botanici, e altri specialisti vari che a lungo andare soppiantarono l’autogoverno degli operai agricoli.
 
Per ciò che riguarda l’industria poi, venne parimenti abbandonata la linea economica di Stalin che privilegiava la produzione di mezzi di produzione rispetto alla produzione di mezzi di consumo.
Nel febbraio 1954 Malenkov veniva costretto alle dimissioni da Krusciov, il cui peso nel partito aumentava sempre di più, e veniva sostituito da Bulganin, un fedelissimo dello stesso Krusciov, il quale nel gennaio 1955 pubblicava un rapporto sulla necessità di accrescere la produzione di prodotti di prima necessità, mentre a febbraio Bulganin, in un discorso al Soviet supremo, dava definitivamente il colpo di grazia alla dottrina economica rimasta in vigore dalla fine della NEP fino alla morte di Stalin, caldeggiando una nuova linea basata sullo sviluppo dell’industria leggera e alimentare allo stesso livello di quella pesante. Nel frattempo, mentre politicamente e sul piano internazionale Krusciov ricuciva i rapporti con il revisionista Tito, sul piano interno ed economico ampliava per decreto i poteri dei Kolchoz , che erano le fattorie collettive sovietiche istituite nel 1927, lasciandoli liberi di decidere sulla produzione, sull’estensione della superficie e sul bestiame, mentre contemporaneamente rafforzava i poteri ed il controllo amministrativo e burocratico dei funzionari locali.
 
Nell’aprile 1955, con il rapporto di Bulganin sulla modernizzazione dell’industria, l’URSS compiva un ulteriore passo verso la restaurazione del capitalismo, in quanto il fedelissimo di Krusciov invitava i dirigenti delle aziende a prendere esempio dai metodi più razionali del mondo capitalista, denunciando contemporaneamente uno dei cardini economici del periodo di Stalin, ossia la pianificazione centralizzata, come un vero e proprio ostacolo al progresso economico.
 
Contemporaneamente il governo deliberava di aumentare i poteri dei direttori d’azienda, che quindi venivano stimolati ad assumere iniziative autonome, e l’opposizione di Molotov, che giustamente vedeva in tali provvedimenti uno stravolgimento della corretta linea economica socialista, non bastò a impedire che Krusciov piazzasse alla guida di altrettante cooperative agricole, nel solo 1955, trentamila funzionari di partito a lui fedeli, al fine di imporre la sua visione economica, che stravolgeva pesantemente la fisionomia socialista dell’URSS.
 
A febbraio del 1956 poi Krusciov si smascherava apertamente come revisionista al XX congresso del PCUS con una serie di atti che mettevano, politicamente ed economicamente, una pietra tombale sull’esperienza socialista sovietica: la sistematica denigrazione della figura e dell’opera di Stalin, del quale egli era stato uno dei più stretti e fidati collaboratori, la linea revisionista di politica internazionale fondata sulla coesistenza pacifica, la rinunzia a qualsiasi interesse all’esportazione dell’esempio della Rivoluzione di Ottobre nel mondo e la benedizione alle vie nazionali al socialismo sono il sintomo più chiaro del fatto che l’URSS si avviava a una restaurazione del capitalismo, un fatto che non sarebbe sfuggito a Mao, il quale avrebbe ben presto denunciato tale abdicazione al socialismo.
 
Nel frattempo sulla stampa economica sovietica si sviluppava la discussione sulla politica dei prezzi, alla base del quale stava la convinzione che il mercato e la legge del valore dovessero operare liberamente e che i prezzi dovessero essere correlati ai profitti, tutti concetti di chiaro stampo capitalista.
 
A gennaio 1957 poi Krusciov presentava le tesi sulla decentralizzazione della pianificazione economica, alla quale si opponevano Molotov, Kaganovic e Malenkov, i quali però a giugno, con l’appoggio di Zhukov, vennero espulsi dal Politburo e bollati come ‘gruppo antipartito’, e questo consentì a Krusciov, già a settembre, di sopprimere i ministeri della pianificazione e di avviare la decentralizzazione, che prevedeva però la sostituzione, ai disciolti ministeri, di ben 105 organismi regionali di direzione economica, affiancati da consigli consultivi con una pletora di personale burocratico.
 
Nel febbraio 1958 Krusciov decretava la soppressione delle Stazioni Macchine e Trattori (SMT), che già dagli anni Trenta avevano portato le campagne russe dal medioevo al mondo moderno e che erano un cardine della produzione agricola socialista all’epoca di Stalin, con la conseguente vendita di centinaia di migliaia di macchine agricole ai Kolchoz più ricchi. L’ovvio rischio di speculazione, di corruzione e di formazione di un vero e proprio mercato nero dei macchinari agricoli indussero Bulganin a ispirare prudenza a Krusciov, il quale, al contrario, a marzo dello stesso anno lo fece destituire.
 
Tale linea politica ed economica di destra inaugurata da Krusciov venne confermata nell’XXI Congresso del PCUS che si tenne nel 1959, a seguito del quale il nuovo capo dell’URSS procedette a una nuova epurazione controrivoluzionaria di elementi legati alla politica economica di Stalin: le critiche al nuovo corso economico capitalista provenivano sicuramente dall’interno del Partito, ma diffusi malumori si diffondevano in molti settori della società sovietica, perché gli elementi liberisti introdotti in agricoltura fecero scomparire in soli tre anni (tra il 1956 ed il 1959) 23.500 Kolchoz , e più di cinque milioni e mezzo di lavoratori agricoli lasciarono i campi per trasferirsi in città, generando una crisi agricola e di mano d’opera nelle campagne.
 
È proprio dal 1959 che comincia a calare il tasso generale di crescita dell’economia (che durante la crisi capitalistica del 1929 cresceva nell’URSS a tassi superiori al 10%), che peraltro non si sarebbe più rialzata: intanto nelle campagne sovietiche si espandevano gli appezzamenti privati, la piccola produzione ed il mercato libero, e si accentuavano le differenze di classe sia nelle città sia nelle campagne, con la conseguenza che gli strati privilegiati borghesi si arricchivano e si rafforzavano sempre più all’ombra di un sistema che, almeno in apparenza, restava socialista ma che in realtà non lo era già più.
 
Nonostante le forti critiche dei comunisti cinesi, il modello capitalista inaugurato da Krusciov venne diffuso nei Paesi dell’Europa orientale, e nel 1961 al XXII Congresso del PCUS Krusciov dichiarava (sconfessando platealmente il pensiero e l’opera di Marx, Engels, Lenin e Stalin, ed attuando una rottura ormai insanabile con Mao che dalla Cina lanciava chiari moniti e guardava con estrema preoccupazione alla restaurazione del capitalismo nell’URSS) che la dittatura del proletariato non fosse più necessaria e che l’Unione Sovietica dovesse essere uno “Stato di tutto il popolo ”, per cui anche sotto il profilo squisitamente politico, oltre che economico, si inaugurava una stagione che portava diritta verso una completa restaurazione del capitalismo, pur sotto l’ipocrisia delle bandiere rosse. Non è certo un caso che nello stesso anno i poteri dei manager agricoli e industriali vennero fortemente rafforzati, e contemporaneamente i consigli dei lavoratori agricoli e industriali vennero privati di quasi tutte le loro funzioni: i contadini e gli operai, protagonisti della Rivoluzione di Ottobre nel 1917, ormai non contavano più nulla, e quello che era stato il loro potere ai tempi di Lenin e di Stalin veniva ora preso da burocrati, dirigenti di azienda e funzionari di partito, ossia da quella che si appalesava, dietro mentite spoglie socialiste, come una vera e propria borghesia nata all’ombra della falce e del martello.
 
Nel 1962, come conseguenza delle politiche di Krusciov, la crisi agricola determinò il rialzo dei prezzi, tanto che il governo dovette rivedere i piani economici ed acquistare il grano all’estero. Inoltre il nuovo corso capitalista impresso da Krusciov rese estremamente tese le relazioni industriali all’interno delle stesse aziende, tanto che tra il 2 e il 3 giugno dello stesso anno nella località di Novocherkassk scoppiò una rivolta operaia in una fabbrica di locomotive contro il rincaro di generi alimentari e contro il peggioramento delle condizioni di lavoro: negli scontri che ne seguirono morirono 87 operai.
 
La forte accumulazione di capitale privato che si era venuto a creare con le disinvolte riforme di Krusciov creava nel frattempo una situazione di vero e proprio mercato privato parallelo e illegale rispetto alla normativa dello Stato che andava al di là di ciò che il governo sovietico si proponeva, tanto che nel luglio del 1963 venivano scoperte centinaia di aziende industriali ed alberghi privati, venivano alla luce speculazioni commerciali, e nel frattempo aumentavano il caos economico e la disorganizzazione, e negli anni che seguiranno si manifestava sempre più evidente la crisi agricola ed industriale, con raccolti pessimi dovuti alla diminuzione della produzione agro-alimentare, con un calo dell’efficienza complessiva dell’economia e della produttività degli operai, che, ormai totalmente espropriati dei loro poteri nelle fabbriche, opponevano una resistenza passiva ai cambiamenti sociali ed alla intensificazione della produzione.
 
Nell’ottobre 1964 Krusciov, che era diventato politicamente un punto di riferimento per i contadini arricchiti e per le correnti piccolo-borghesi, viene destituito e al suo posto salivano al potere Kosygin, che era espressione dell’industria leggera e di quella della produzione dei beni di consumo, insieme a Podgorny e Breznev, che erano espressione dell’industria pesante e degli armamenti. Nuovo segretario del PCUS sarà Breznev.
 
Nell’autunno dell’anno successivo vengono approvate le “riforme” elaborate dall’economista liberista Ovsij Hryhorovyc Liberman, sostenuto da Kosygin, con le quali non soltanto non si tornò indietro rispetto alla linea economica di Krusciov, ma addirittura se ne esasperarono ulteriormente le tendenze: infatti il piano elaborato dal professor Liberman, prevedeva l’autorizzazione per i dirigenti industriali alla compravendita dei mezzi di produzione, la legalizzazione del libero mercato della forza lavoro che poteva essere assunta e licenziata nella quantità decisa dai dirigenti di azienda, la previsione che le imprese determinassero il fondo salari, la reintroduzione del criterio del profitto quale fondamentale parametro di efficienza delle imprese, la previsione che una parte crescente (dal 25% al 40%) dei profitti ottenuti fosse lasciato alle imprese, per concedere premi ed incentivi ad una parte dei lavoratori in cambio di aumenti di produttività, la riduzione del ruolo di pianificazione centrale e l’aumento dell’autonomia delle aziende statali. Tutto ciò comportò un forte rafforzamento dell’autorità e del potere dei direttori delle imprese, i cui stipendi furono aumentati fino a diventare dieci volte quelli di un operaio medio, e anche i capi reparto e gli ingegneri videro i loro stipendi triplicare o quadruplicare rispetto a quelli di un operaio medio, venne favorita la formazione di associazioni industriali di produttori, venne assicurata maggiore libertà riguardo alla circolazione delle merci e ai relativi prezzi.
 
Di fatto, e nonostante al Cremlino sventolasse ancora la stessa bandiera rossa innalzata da Lenin nell’Ottobre del 1917 e portata con orgoglio per quasi altri trent’anni dopo la sua morte da Stalin, l’URSS cessava definitivamente di essere uno Stato socialista e diveniva pienamente capitalista.
 
Nel 1966 il governo sovietico faceva diminuire gli investimenti centrali alle aziende, e contemporaneamente incrementava il potere delle banche, le quali erano autorizzate ad assumere un ruolo decisivo - mai visto nella precedente storia sovietica - per la concessione di crediti alle imprese, rimborsabili ad un tasso di interesse crescente. Tutto ciò portò inevitabilmente alla nascita e, soprattutto, alla concentrazione dei capitali, tanto che, proprio a causa di tale liberalizzazione, nel 1967 i prezzi dei prodotti industriali aumentarono del 20-30%, tanto che il governo varò una riforma dei prezzi all’ingrosso per cercare di stabilire un tasso medio di profitto. Il risultato fu che le 7.200 imprese maggiori e più produttive (che garantivano circa il 37% della produzione globale e incameravano il 50% circa dei profitti) iniziavano a operare nel nuovo sistema capitalista, e tra il 1968 e il 1969 altre 28.000 imprese vi entrarono, tanto che nel 1970 oltre il 70% dei profitti venivano realizzati dalle imprese capitaliste. Nel frattempo venivano completamente abolite tutte le restrizioni sulla circolazione mercantile e, nel settore agricolo, venivano conferiti ai dirigenti delle cooperative i poteri di disporre dei fondi e delle proprietà degli stessi, di comprare e vendere liberamente le macchine agricole e di affittare terre di proprietà statale. Si creò una situazione che favorì ogni sorta di corruzione a vantaggio delle grandi imprese, mentre le piccole imprese si trovarono sempre più svantaggiate a competere con quelle maggiori.
 
Nel 1970 furono costituite 1.400 associazioni di produzione che riunivano più di 14.000 imprese industriali, e in ogni associazione le aziende minori vennero di fatto subordinate alle aziende maggiori, si crearono in sostanza veri e propri monopoli capitalistici nella terra che aveva visto la nascita del socialismo.
 
Durante tutti gli anni Settanta lo Stato, che ancora ufficialmente e formalmente si spacciava per socialista, divenne sempre più uno strumento in mano alla frazione più potente della borghesia, con le banche che fungevano da ausilio a favore dei gruppi monopolisti per accelerare il processo di centralizzazione del capitale, e le stesse banche iniziarono a effettuare partecipazioni sostanziose al capitale di industria e agricoltura.
 
L’URSS, che era diventata a tutti gli effetti un sistema capitalista, non poteva non seguire a questo punto la logica imperialista degli Stati capitalisti e in particolar modo degli Stati Uniti, e per tutti gli anni Settanta e Ottanta effettuò ingentissimi investimenti nel campo degli armamenti per sostenere il confronto militare con l’America, ed esattamente come quest’ultima iniziò a intervenire, con logica puramente imperialistica, in varie parti del mondo, mentre in patria si ingrassava la borghesia, con la benedizione di Breznev e dei suoi successori, con i giganteschi profitti delle armi, in una surreale atmosfera di corruzione senza precedenti. Nel frattempo continuò impietoso il calo dei tassi di crescita della produzione, del reddito, degli investimenti, con un ulteriore esodo dalle campagne verso le città, dove peraltro aumentava il saggio di sfruttamento della classe operaia che in dieci anni (dal 1960 al 1970) aumentò del 25% e sarebbe ulteriormente aumentato fino al 1991.
 
Tutto questo sottobosco capitalista poté peraltro prosperare sotto la formale vigenza della Costituzione del 1936 promulgata ai tempi di Stalin (marginalmente modificata nel 1947) il cui primo articolo disponeva che “l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato socialista degli operai e dei contadini ”, il cui secondo articolo chiariva che “la base politica dell'URSS è costituita dai Soviet dei deputati dei lavoratori, sviluppatisi e consolidatisi in seguito all'abbattimento del potere dei proprietari fondiari e dei capitalisti e alla conquista della dittatura del proletariato ” e il cui terzo articolo stabiliva, ancora più incisivamente, che “tutto il potere nell'URSS appartiene ai lavoratori della città e della campagna, rappresentati dai Soviet dei deputati dei lavoratori ”. Peraltro anche il primo articolo della Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa del 1918, voluta da Lenin, stabiliva che “la Russia prende il nome di Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati. Tutto il potere, centrale e locale, appartiene ai Soviet ” e, parimenti, la prima Costituzione dell’URSS del 1924, scritta nel 1923 mentre Lenin era ancora vivo e alla stesura della quale partecipò, stabiliva solennemente nella sua prima parte denominata Dichiarazione sulla formazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che “soltanto nel campo dei Soviet, soltanto nelle condizioni della dittatura del proletariato, che ha saldato attorno a sé la maggioranza della popolazione, si è dimostrato possibile annientare alle radici il giogo coloniale, creare un ambiente di fiducia reciproca e gettare le basi di una fraterna collaborazione dei popoli ”.
 
Emergono chiaramente nei documenti costituzionali citati, che entrarono in vigore mentre erano vivi Lenin e Stalin, il chiaro riferimento al concetto, espresso da Marx ed Engels, di ‘dittatura del proletariato’ e al fatto che il potere politico dovesse essere esclusivamente nelle mani del proletariato.
 
Al contrario la nuova Costituzione promulgata da Breznev, entrata in vigore il 7 ottobre 1977 e destinata a mandare giuridicamente in soffitta non soltanto quella di Stalin del 1936 ma anche lo stesso socialismo, afferma a chiare lettere all’articolo 1 che “l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato socialista di tutto il popolo, che esprime la volontà e gli interessi degli operai, dei contadini, degli intellettuali, dei lavoratori di tutte le nazioni e di tutti i popoli del Paese ”, rendendo giuridico un concetto politico già emerso nel XXII Congresso del PCUS del 1961. Nel preambolo della Costituzione del 1977 si fa riferimento alla ‘dittatura del proletariato’ come a un concetto ormai superato e non più attuale, e tale operazione nascondeva la trappola della piena legittimazione della borghesia, già pienamente tornata al potere dopo la morte di Stalin e in quel momento già dominante nel Partito e nell’intera società sovietica, che nel 1977 veniva allo scoperto addirittura nel massimo documento giuridico di una nazione, la sua carta costituzionale.
L’URSS implosa nel 1991 pertanto non era più neanche minimamente una società socialista, era almeno da un ventennio una società nella quale erano compiutamente tornati a predominare i rapporti di produzione capitalistici sotto la benedizione di un partito che si definiva formalmente comunista ma che aveva tradito il socialismo e il programma dell’Ottobre.
 
Quando crollò l’URSS nel 1991 la classe operaia  non mosse un dito per salvarla, perché ormai da decenni essa era pienamente consapevole che lo Stato sovietico non rappresentava più gli interessi suoi propri, bensì gli interessi di oligarchi borghesi, nuovi ricchi, burocrati, dirigenti di aziende che infatti, subito dopo la dissoluzione dello Stato sovietico e la nascita di repubbliche indipendenti, costituirono di quegli Stati la nuova borghesia, arricchitasi all’ombra della bandiera rossa e con la complicità dello stesso Partito, un fatto quest’ultimo che non fa un graffio alla via dell’Ottobre, mentre deve far riflettere su ciò che il revisionismo ha potuto fare, cioè distruggere sia nell’URSS sia in Cina il socialismo. I vari Carrillo, Marchais, Berlinguer, Natta, Occhetto non hanno fatto altro che completare la nefasta e immonda opera dei falsari del socialismo sovietici nei rispettivi Paesi, accreditando anche presso la classe operaia la malsana e antistorica idea che la Rivoluzione di Ottobre avesse ingloriosamente concluso il suo ciclo, mentre è vero l’opposto.
 
Giustamente quindi il documento del Comitato centrale conclude scrivendo che “la via dell'Ottobre è ancora aperta, l'esempio della Grande Rivoluzione Socialista Sovietica non si è spento, il valore del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e del socialismo resta intatto. Prima o poi riconquisteranno la simpatia e l'appoggio del proletariato italiano e gli daranno la forza per capovolgere cielo e terra. Un nuovo mondo ci attende, lottiamo per conquistarlo! Imparando da Lenin, da Stalin e dai marxisti-leninisti e dal proletariato russi, ai quali esprimiamo la nostra massima gratitudine, possiamo farcela, dobbiamo farcela! ”.
 
L’instaurazione del socialismo è possibile soltanto partendo dalle fondamentali tesi dell’Ottobre, che prevede un atto di devastante violenza che spazzi via tutte le istituzioni economiche, politiche, giudiziarie, militari e di polizia dello Stato borghese, che costituivano nella Russia del 1917 e costituiscono nell’Italia e nel mondo del 2017 una gigantesca truffa per il proletariato del quale fanno parte i lavoratori, le lavoratrici, i giovani, i migranti.
 
L’unica organizzazione che in Italia testimonia in modo vivo e quotidiano la via dell’Ottobre e ne indica la via è il nostro Partito marxista-leninista italiano al quale l’odierno proletariato deve unirsi per lottare con esso, senza farsi imbrogliare dai falsari revisionisti che, proprio come contraffattori di monete che spacciano denaro falso facendolo sembrare vero, hanno fatto credere che sotto le apparenze della bandiera rossa dell’URSS si nascondesse uno Stato socialista mentre dalla morte di Stalin hanno fatto di tutto per portarlo fuori dal socialismo, e come anche oggi i falsari cinesi come il neo-imperatore Xi si servono dell’effige di Mao, il più forte avversario del capitalismo e del revisionismo nella seconda metà del XX secolo, per sostenere una Cina ormai sfrontatamente capitalista.
 
Il capitalismo è sorto nel Trecento in Europa, e ci sono voluti oltre tre secoli perché la borghesia prendesse il potere politico in Inghilterra nel 1689 e oltre quattro secoli perché lo conquistasse in Francia nel 1789.
Nel 1789, durante la Rivoluzione francese, si manifestarono le prime grandi mobilitazioni del proletariato a Parigi e in tutta la Francia, i cui membri si chiamavano sanculotti, che tuttavia appoggiarono una rivoluzione che non era la loro, cadendo letteralmente, e certamente senza accorgersene, dalla padella dell’aristocrazia alla brace della borghesia.
Nel 1871 per la prima volta al mondo la Comune di Parigi dimostrava che il proletariato può giungere al potere, ma purtroppo dimostrava anche di non riuscire a mantenerlo in mancanza di una ferrea organizzazione politica.
Nel 1917 il proletariato, grazie a un Partito strutturato e organizzato, giungeva stabilmente al potere in Russia e vi restava per decenni, prima che in quello stesso Partito prendesse il sopravvento proprio quella borghesia che la Rivoluzione di ottobre aveva sconfitto.
 
Ora tutti sappiamo, con la lezione profonda lasciata soprattutto da Mao con la teoria della continuazione della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato, che la conquista del potere socialista può non essere definitiva, che la borghesia può minare dall’interno dello stesso Partito il sistema socialista.
Ecco il motivo per cui - dopo che i sanculotti e le sanculotte nel 1789, i comunardi e le comunarde nel 1871, e soprattutto i bolscevichi e le bolsceviche nel 1917 hanno lasciato la loro traccia indelebile nella storia dell’umanità e hanno testimoniato che le masse proletarie sono, sotto la direzione di un autentico Partito rivoluzionario, il vero motore della storia - la prossima Rivoluzione, quando le contraddizioni del capitalismo avranno raggiunto il loro massimo limite e il Partito Marxista Leninista Italiano le comprenderà correttamente, non fallirà.
 
Ho finito proprio ora di scrivere, sono esattamente le ore 21 e 45 minuti del 7 Novembre 2017, e ho sentito proprio ora due colpi di cannone, in rapida successione.
Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!

14 febbraio 2018