170 anni fa “Il Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels indicò al proletariato mondiale la via della conquista del potere politico

170 anni fa, nel febbraio 1848, fu stampato a Londra il “Manifesto del Partito Comunista”, l'opera immortale di Marx ed Engels destinata a cambiare la storia dell'umanità. Erano passati appena 59 anni dalla Rivoluzione francese; la classe borghese era ancora giovane e in pieno sviluppo, e si stava affermando in tutto il vecchio e il nuovo mondo impiantando ovunque con impeto travolgente il suo modo di produzione capitalistico; il proletariato era ancora agli albori della sua storia, senza una coscienza di classe e subalterno alla borghesia, che oltre a sfruttarlo a proprio piacimento e senza limiti per arricchirsi a dismisura lo utilizzava come massa d'urto nelle sue rivoluzioni liberali e nazionali per soppiantare le vecchie classi feudali e monarchiche e liberarsi dal dominio straniero.
Eppure in questa loro opera Marx ed Engels avevano già capito e delineato chiaramente che questa situazione non solo non era immutabile ma anche destinata a cambiare rapidamente. Essi prefiguravano infatti il declino della borghesia, di cui denunciavano l'involuzione conservatrice e reazionaria, esauritasi già allora l'iniziale spinta rivoluzionaria, e l'ascesa del proletariato come nuova classe rivoluzionaria e portatrice di progresso. Ma, diversamente da tutte le rivoluzioni del passato, destinata stavolta non a costituirsi in nuova classe dominante sfruttatrice, ma ad abolire per sempre le classi e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo ed emancipare l'intera umanità.
Una visione che sembrava inconcepibile, per la forza ancora in piena espansione del capitalismo e la debolezza e la frammentazione del movimento operaio, ancora nella fase embrionale della sindacalizzazione tradeunionista. Eppure da allora quella visione lungimirante si tramutò in storia viva, trovando sempre nuove conferme – e al tempo stesso ispirandoli e determinandoli - negli sconvolgimenti politici e sociali che si svolsero nella seconda metà del XIX secolo, culminati con la Comune di Parigi, e nel XX secolo con la Rivoluzione d'Ottobre e la Rivoluzione cinese e l'edificazione del socialismo in URSS e in Cina.

Socialismo utopistico e socialismo scientifico
A differenza delle opere dei sostenitori del socialismo utopistico della loro epoca, del socialismo alla Prudhon, del blanquismo, dell'anarchismo ecc., che fornivano soluzioni idealistiche e precostituite a cui la società avrebbe dovuto adattarsi indipendentemente dalle questioni reali della divisione in classi, del sistema economico e del potere politico, il Manifesto di Marx ed Engels traeva infatti la sua concezione dalle stesse leggi economiche che governano la società borghese, la quale alleva in sé il suo stesso becchino, il proletariato destinato a seppellirla con la rivoluzione, e che con le sue crisi cicliche inevitabili quanto catastrofiche prepara il terreno ad una nuova società radicalmente diversa, il socialismo.
E il socialismo non era più un'idea utopistica, una società ideale sognata nei libri dei filosofi, ma il socialismo scientifico, basato sulla teoria materialistica della storia, secondo la quale la storia non è più una successione di avvenimenti dettati dai grandi personaggi, papi, re, imperatori e governanti, e nemmeno regolati da un “piano” metafisicamente prefissato da entità soprannaturali, ma una storia di lotte di classe, in cui la classe che volta a volta sale al potere impone il suo nuovo modo di produzione al posto di quello vecchio e superato della classe spodestata, e contemporaneamente a ciò impone anche i nuovi rapporti sociali, le nuove istituzioni, la nuova morale, la nuova cultura, la nuova religione che meglio corrispondono alla nuova base economica materiale che si è instaurata, modellando così l'intera società a sua immagine e somiglianza. Cioè non sono le idee, la sovrastruttura culturale, morale, religiosa ecc., che determinano i cambiamenti economici, sociali e storici, bensì il contrario. E la lotta di classe è il motore di questi cambiamenti.
“La storia di ogni società sinora esistita (eccetto le comunità primitive, preciserà in seguito Engels) è storia di lotte di classe” , scrivono i due grandi Maestri del proletariato internazionale aprendo il primo capitolo del Manifesto, dal titolo “Borghesi e proletari”. In quelle pagine, con meravigliosa semplicità e chiarezza scientifiche, essi delineano sinteticamente il corso della storia, mostrando che tanto necessario e inevitabile, a causa del mutare dei rapporti di produzione e della lotta di classe, è stato il passaggio dalla società schiavistica al feudalesimo, e da questo alla società borghese, quanto altrettanto necessario e inevitabile è il passaggio dal capitalismo al socialismo, a causa della contraddizione insanabile tra il carattere sempre più sociale della produzione e il modo privato dell'appropriazione.

Il compito storico del proletariato
Questa contraddizione crea incessantemente crisi di sovrapproduzione che distruggono una grande quantità di forze produttive e spingono la borghesia a conquistare nuovi mercati e intensificare lo sfruttamento di quelli già esistenti, il che prepara altre crisi sempre più estese e violente, come possiamo constatare lampantemente anche ai giorni nostri, con le guerre commerciali, anticamera di quelle militari, che si intensificano tra le superpotenze imperialiste americana, europea, russa e cinese: “Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo – sottolinea il Manifesto – si rivolgono ora contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi – i moderni operai, i proletari”.
La concezione materialistica della storia di Marx ed Engels, infatti, è dialettica e non meccanicistica, perché se è vero che è storicamente necessario e inevitabile che la società borghese sia distrutta per far posto alla nuova società socialista, purtuttavia occorre un soggetto concreto, una classe totalmente antagonista alla borghesia, per affrettare e realizzare questo trapasso: il proletariato. Che è una classe diversa da tutte le altre che si sono avvicendate al potere nella storia, perché non può emancipare sé stessa se non emancipando tutta la società. Ma il proletariato non può spontaneamente e con le sue sole forze comprendere e realizzare questa grandiosa e complessa missione. Affinché il proletariato possa adempiere al suo compito storico gli occorre un Partito comunista (oggi diremmo marxista-leninista) che lo unisca, lo educhi, lo organizzi e lo guidi alla conquista del socialismo, unendo intorno a sé tutte le masse sfruttate e oppresse per dare insieme l'assalto allo Stato borghese e conquistare il potere politico.

La necessità del partito del proletariato
Nel secondo capitolo dell'opera, “Proletari e comunisti”, Marx ed Engels si occupano interamente di questo problema, esponendo “apertamente a tutto il mondo”, come annunciato nella parte introduttiva del Manifesto, quali devono essere le caratteristiche di questo partito, i suoi rapporti nei confronti del proletariato e il suo programma politico: “Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato”.
In questa breve e magistrale frase è condensata in un unico concetto di valore universale, pienamente valido ancora oggi, la teoria marxista del partito del proletariato. Il Partito comunista è la parte più avanzata e cosciente del proletariato, che si identifica completamente con i suoi interessi e con la sua missione storica di abbattere il dominio borghese, conquistare il potere politico e il socialismo, e realizzare successivamente il comunismo abolendo la divisione in classi. E il suo compito immediato è quello di educare e formare il proletariato per prepararlo a questo compito, aiutandolo a prendere coscienza del suo ruolo di classe generale destinata ad emancipare tutta l'umanità. E cioè a trasformarsi da classe in sé, inconsapevole, abbrutita dalla schiavitù salariata e subordinata alla borghesia, in classe per sé, indipendente e consapevole del suo ruolo di antagonista storica della borghesia, cosciente che senza il potere politico non ha niente e che invece col potere politico ha tutto.

Il Manifesto e il proletariato italiano
In Italia questi insegnamenti non hanno potuto mettere radici profonde nella classe operaia, perché i partiti operai, prima il PSI e poi il PCI, come quei partiti pseudo-socialisti che Marx ed Engels avevano smascherato e battuto nel terzo capitolo del Manifesto, sono sempre stati fin dall'inizio in mano a direzioni borghesi riformiste, opportuniste e collaborazioniste. Che invece di impugnare e praticare il marxismo hanno praticato il revisionismo, il riformismo e l'interclassismo, fino ad approdare al liberalismo borghese classico, col risultato di aver disarmato ideologicamente e politicamente il proletariato, che per colpa loro oggi è ricaduto in una condizione simile a quella del 1848, essendo ancora una classe in sé ma avendo perso quella di classe per sé.
Affinché riacquisti questa coscienza e possa riprendere il suo cammino naturale della lotta per il socialismo, il proletariato deve necessariamente fare un serio bilancio critico e autocritico dell'esperienza e della storia del movimento operaio internazionale e italiano, ripulendosi dal revisionismo, dal riformismo, dall'elettoralismo, dal parlamentarismo, dal costituzionalismo, dal pacifismo, dal trotzkismo e da ogni altra scoria dell'ideologia e della cultura borghese, per tornare ad abbeverarsi alle fonti pure del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. A cominciare dal “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels che andrebbe letto da tutti i sinceri comunisti per conformare a esso la loro vita politica, e dalle altre opere fondamentali che meglio lo riassumono e che sono “Stato e rivoluzione” di Lenin, “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo” di Stalin, e “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” di Mao.

Il ruolo del PMLI per cambiare l'Italia
Ma questo processo di rigenerazione il proletariato italiano potrà compierlo – come indica il Manifesto - solo con l'aiuto del suo autentico Partito comunista. Questo partito esiste, ed è il PMLI, l'unico che non ha rinnegato la causa del socialismo e che nel suo programma accoglie integralmente gli insegnamenti del Manifesto: dare una coscienza di classe al proletariato, e guidarlo ad abbattere il dominio della borghesia e conquistare il potere politico, per instaurare la dittatura del proletariato, distruggere il capitalismo e realizzare il socialismo.
Nessun partito della “sinistra” borghese, con o senza stelle o che propone di dare il Potere al popolo, vuole e propone questo. Al massimo, dicendo di “cambiare l'Italia”, vuole arrivare a gestire il governo dello Stato capitalista spargendo illusioni riformiste, elettorali e parlamentari. Il PMLI ribadisce invece che non si può cambiare veramente l'Italia senza abbattere il capitalismo e dare il potere al proletariato, e che la via per farlo può essere solo quella universale della gloriosa Rivoluzione d'Ottobre.
Oggi come 170 anni fa risuonano perfettamente attuali e vive le storiche parole finali del Manifesto, che riproponiamo al proletariato italiano invitandolo ad unirsi con e nel PMLI per renderlo forte e radicato in tutto il Paese: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare. Proletari di tutti i paesi, unitevi!”.
 
 
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7 marzo 2018