Vergogne dei revisionisti sudafricani
Accusato di corruzione Zuma costretto alle dimissioni
Gli succede il miliardario Ramaphosa

 
Il presidente sudafricano Jacob Zuma annunciava il 14 febbraio le sue dimissioni come gli era stato intimato dal suo partito l’African National Congress (ANC), che esprime il governo e del quale era stato segretario fino allo scorso dicembre. Fino all'ultimo Zuma ha tentato di resistere attaccato alla poltrona presidenziale nonostante le accuse di corruzione contro di lui scaturite da diverse inchieste e ha ceduto solo alla vigilia del voto su una mozione di sfiducia presentata dall'ANC. Gli succede nella carica il vicepresidente Cyril Ramaphosa, il miliardario che lo scorso dicembre aveva già assunto la guida dell'ANC, col compito di portare il paese alle elezioni nel 2019.
La carriera politica di Zuma ai vertici del Sudafrica, dalla fine del regime segregazionista nel 1994, inizia con la vicepresidenza sotto Tabo Mbeki, il successore di Mandela, e va dal 1999 al 2008. Nonostante fossero già venuti alla luce diversi episodi di corruzione, riciclaggio, traffico d'armi e altro che lo coinvolgevano, Zuma riuscì a conquistare la poltrona di leader dell'Anc e a seguire nel 2009 quella di successore di Mbeki alla presidenza. Il suo secondo mandato presidenziale conquistato nel marzo 2014 è stato segnato da una nuova lunga lista di inchieste con accuse di corruzione e malversazione, quel sistema che secondo i giudici Zuma avrebbe voluto tenere in piedi anche in futuro con un artificio, quello di candidare alle prossime elezioni la moglie, data l'impossibilità di ricoprire un terzo mandato consecutivo in base alla Costituzione, e di conseguenza garantirsi indirettamente una protezione alla fine dell'immunità presidenziale.
Il progetto era naufragato a dicembre quando l'assemblea generale dell'Anc aveva respinto la proposta di Zuma e scelto Cyril Ramaphosa alla guida del partito e per regolamento interno automaticamente candidato alle successive presidenziali. Una battuta d'arresto del progetto Zuma che apriva la strada alla sua precipitosa caduta sotto la pressione dell'Anc, con 14 mesi di anticipo sulla fine del mandato.
A 24 anni dalla fine dell'apartheid il potere politico è amministrato dai partiti che rappresentano la grande maggioranza della popolazione nera ma il potere economico è rimasto nelle mani della minoranza bianca; con qualche briciola che è toccata anche ai vertici dell'Anc. A Zuma grazie ai suoi legami con una parte dei capitalisti sudafricani ma anche al suo successore. Ramaphosa è stato leader del Num, il sindacato dei minatori, e con la fine del regime razziale si è trasformato in manager e boss del settore minerario, accumulando una fortuna che lo colloca tra gli uomini più ricchi del Paese. Tra le altre è stato stato consigliere d’amministrazione della Lonmin, la società mineraria che nel 2010 chiamò la polizia contro i minatori in sciopero e nel sito di Marikana furono 34 i lavoratori uccisi dagli agenti. Il passaggio da Zuma a Ramaphosa non cancella la vergogna dei revisionisti sudafricani che giuidano l'Anc, cooptati nel governo al servizio dei capitalisti sudafricani; conferma che la fine del regime razzista ha voluto dire per i lavoratori il passaggio dalla condizione di schiavi a quella di schiavi salariati mentre le masse popolari hanno mantenuto la condizione di povertà.

7 marzo 2018