Sul “manifesto” trotzkista compiacente
Castellina semina sfiducia e falsità sul socialismo, la classe operaia e la lotta di classe
Per l'antica imbrogliona trotzkista il capitalismo ha vinto

Forse “Il manifesto” non sbaglierebbe se decidesse di cambiare la sua intestazione “quotidiano comunista” in “quotidiano pessimista”, visto che tutti i suoi interventi che hanno a che fare con la lotta di classe e la possibilità della conquista del socialismo sono pervasi da un'aria stagnante di arrendevolezza e depressione. Come se il capitalismo avesse ormai trionfato ineluttabilmente e l'unica speranza che ci potremmo ancora permettere sarebbe quella di correggerlo un po', non di abbatterlo.
Su questa linea si colloca anche l'articolo del 15 febbraio a firma di Luciana Castellina, cofondatrice del giornale, che recensisce il libro Cento anni dopo, 1917-2017. Da Lenin a Zuckerberg di Rita di Leo, docente universitaria di estrazione operaista. Non abbiamo ancora avuto modo di leggere per intero il libro, ma ci premeva intervenire sull'articolo di Castellina per via dell'influenza che “il manifesto” tuttora esercita su tanti sinceri comunisti e fra chi vuole il cambiamento sociale.
Secondo la storica firma trotzkista del “manifesto”, l'epoca in cui viviamo vede “il ritorno dell'essere umano da animale politico ad animale asociale” e in questo ambito “gli sconfitti sono i Lenin, i Di Vittorio, i ministri laburisti laureati a Cambridge, i socialdemocratici tedeschi e svedesi”, cioè chi “ha cercato di creare l'uomo politico”. Lo scopo di questo gran calderone di rivoluzionari e riformisti è, sotto sotto, quello di sostenere che i fautori del cambiamento sono “fantasmi” che assistono “impotenti” alla “vittoria” di una presunta “teologia della tecnica”. Che poi sarebbe il capitalismo.
Infatti Castellina si guarda bene dal dire che la “legittimizzazione dello stato di natura” e “la asocialità” sono tratti tipici del capitalismo e li presenta anzi come una degenerazione irreversibile della natura umana. Così come basterebbe leggere una pagina di Marx per sapere che “il prevalere dell'economia sulla politica” non è un fatto congiunturale del nostro tempo, ma è l'essenza stessa del sistema capitalista. Tutto ciò è presentato in termini apocalittici, sostenendo che “il futuro non interessa più” e che ogni alternativa di società è “ormai del tutto irrealistica”. Un bel favore alla vulgata anticomunista sulla fine della rivoluzione e l'invincibilità del capitalismo.
Bontà sua, “per sbagliato che fosse”, l'autrice riconosce all'“operaismo stalinista”, concetto fumoso chiaro solo a lei dietro qui immaginiamo esserci l'esperienza del socialismo realizzato, l'avere un “progetto di società alternativa”, sconfitto però nell'89. Come se non sapesse che il rovinoso crollo dell'Urss e dell'Europa dell'est è da attribuirsi al fallimento del revisionismo, che dal 1956 aveva usurpato il socialismo in quei Paesi. Quindi l'89 è semmai una conferma che il revisionismo porta al capitalismo (e “Il manifesto” ne è un'altra conferma).
Si potrebbe giustamente obiettare che questo ragionamento cozza con le lotte dei lavoratori, degli studenti, delle donne, dei movimenti che, pur non avendo l'obiettivo del socialismo, sono però nemici del capitalismo. Castellina ha una risposta anche a questo. Intanti sono “spariti i luoghi fisici dove abita il potere (…) palazzi d'inverno e fabbriche”, quindi queste lotte sono di fatto inutili (quindi i capitalisti e i governi vivono nell'alto dei cieli?). Non solo. Per completare il suo contributo alla vulgata sulla fine della rivoluzione e l'invincibilità del capitalismo, Castellina accetta la tesi per cui la classe operaia non esiste più, “ci sono infinite varietà di lavoratori catalogati (e perciò regolati e pagati) in mille modi diversi”. Come se questo cambiasse il fatto che questi stessi lavoratori, pur non avendo una coscienza di classe e pur essendo divisi e indeboliti dal precariato, hanno lo stesso rapporto con i mezzi di produzione e quindi costituiscono oggettivamente una classe. Altrimenti perché la borghesia avrebbe avuto bisogno di attaccarli con la deregolamentazione del lavoro, con la precarietà, con la cancellazone dei contratti collettivi e così via?
Ma, continua Castellina, “gli intellettuali-politici sono ridotti al silenzio, o a un servile servizio del potere”, perché spariti sono coloro che avrebbero dovuto rappresentare”. Senz'altro una bella scusa, quando semmai questi intellettuali di “sinistra” dovrebbero chiedersi se non sono stati loro a proclamare la fine della classe operaia andando contro la realtà dei fatti e se quindi non sia il caso di scendere dal piedistallo e tornare a immergersi nella lotta di classe per vedere come vanno veramente le cose.
Sicuramente non è quello che hanno fatto Castellina e “il manifesto” con questo articolo, che ha solo l'effetto di generare sconforto e disorientamento tra gli anticapitalisti e fautori del socialismo. Certo l'autrice in chiusura, forse resasi conto dei toni depressivi del suo elaborato, invita a considerare queste riflessioni come “un accorato appello a ripensare tutto”. Che sotto sotto significa rinunciare alla lotta rivoluzionaria “ripensando” l'impossibilità di sconfiggere il capitalismo (la borghesia ringrazia). Quando semmai oggi c'è bisogno di indicare alle masse e ai giovani in lotta, giustamente stanchi di questo sistema, la via per uscirne, che è la via dell'Ottobre e della lotta di classe. E non è secondario che in tutti i suoi interventi sul centenario della Rivoluzione d'Ottobre “il manifesto” si sia prodigato per dimostrare il “fallimento” di quell'esperienza e l'inadeguatezza del leninismo (rispetto al trotzkismo).
Come osserva Mao: “Tutte le idee che si basano sull'immobilismo, il pessimismo, l'inerzia e la presunzione sono erronee. Sono erronee perché non corrispondono alla realtà storica dello sviluppo della società umana da un milione d'anni a questa parte, né alla realtà storica della natura per quello che di essa conosciamo fino ad ora”. Basterebbe capovolgere il ragionamento della suddetta trotzkista per vedere chiaramente che nonostante la de-ideologizzazione, la de-comunistizzazione, la de-contrattazione collettiva, la robotizzazione e i tentativi di paralizzare le lotte nei social network, la lotta di classe e per il cambiamento sociale è ancora viva, attiva, operante. Sta a tutti i sinceri comunisti impegnarsi per portarla verso una critica radicale e totale del sistema capitalista e verso la strategia del socialismo. Lasciando riformisti, revisionisti, trotzkisti e gli intellettuali piccolo-borghesi di ogni risma alla palude del loro pessimismo, e dando tutta la loro forza intellettuale, politica, organizzativa al PMLI.

21 marzo 2018