Gli Usa lasciano fare dopo aver utilizzato i curdi nella guerra contro lo Stato islamico
La Turchia occupa Afrin
Assad, che non ha alzato un dito per difendere Afrin, ora chiede alla Turchia di ritirasi dalla città
L'europarlamento invita la Turchia a ritirarsi dalla città siriana

La mattina del 18 marzo reparti dell'esercito turco e miliziani dell’Esercito Libero Siriano (Els) superavano le ultime resistenze, arrivavano nel centro della città di Afrin e distruggevano un simbolo curdo abbattendo la statua di Kawa, il leggendario fabbro che il 21 marzo del 612 avanti Cristo liberò i medi, popolo considerato l’antenato di quello curdo, dai tiranni assiri e re Dehak; quella data è rimasta nella tradizione curda come il giorno della rinascita e della liberazione, il Newroz.
Il copresidente dell'Amministrazione autonoma curda di Afrin denunciava che sotto le bombe turche e l'assedio al cantone erano morti oltre 500 civili, più di mille i feriti e 820 le vittime tra i combattenti che si erano ritirati per evitare altre vittime tra la popolazione civile e la distruzione della città. Il confronto diretto tra forze impari non era più possibile e il copresidente curdo annunciava che “le nostre forze sono presenti in tutto il distretto di Afrin. Queste forze colpiranno le posizioni del nemico turco e dei suoi mercenari in ogni occasione. Le nostre forze diventeranno il loro incubo costante”, passando alla resistenza all'occupazione con tattiche di guerriglia. “La resistenza di Afrin continuerà. Gli occupanti oggi possono sventolare le loro bandiere ma non costringeranno mai il nostro popolo alla capitolazione” concludeva la dichiarazione dell'amministrazione curda.
Da Ankara il vice premier turco Bekir Bozdag comunicava che l'esercito turco non sarebbe rimasto ad Afrin lasciando la regione ai suoi “veri proprietari. Non resteremo qui in modo permanente. Non siamo degli occupanti. Faremo tutto il necessario per riportare la vita alla normalità e per ricostruire le infrastrutture” che i bombardamenti turchi hanno appena distrutto. Da Damasco alzava una flebile voce il regime di Assad che non ha mosso un dito per difendere il cantone curdo e condannava “l'occupazione turca di Afrin e i crimini che essa vi sta commettendo” e implorava che “le forze d'invasione si ritirino immediatamente dal territorio siriano che hanno occupato”.
Anche l'europarlamento ha invitato la Turchia a ritirarsi dalla città siriana e si è beccato una arrogante risposta da Erdogan: “Il Parlamento europeo non deve dire una parola alla Turchia sull’operazione Ramo d’olivo in corso”.
L'offensiva turca “Ramoscello d'ulivo” era iniziata il 20 gennaio e le previsioni di Ankara di una facile vittoria erano ben presto naufragate contro la resistenza delle Forze Siriane Democratiche (FSD) createsi intorno alle Unità di Difesa del Popolo e delle Donne YPG/YPJ curde; il dittatore fascista turco Recep Tayyip Erdogan aveva avuto il via libera da parte di tutti i paesi imperialisti impegnati nella guerra e nella spartizione della Siria e ha potuto lanciare il suo esercito, il secondo della Nato, nell'aggressione al cantone di Afrin. A fianco dei curdi e a protezione dei confini nazionali sono arrivati nel cantone dopo alcune settimane reparti delle milizie filoiraniane delle Forze di Difesa Nazionali (Fdn), leali al presidente siriano, risultate
del tutto ininfluenti e ritirate ai primi di marzo allorché gli aggressori hanno stretto in una morsa la città di Afrin.
L'occupazione del cantone curdo chiude la prima fase dell'operazione militare “Ramoscello d'ulivo”, Erdogan incassa il risultato e conferma di essere pronto a passare all'offensiva verso Manbij, la città controllata dai curdi, e le altre regioni curde della Rojava nel nord della Siria, lungo tutto il confine con la Turchia e oltre. Erdogan da Ankara dichiarava che “conquistando il centro di Afrin abbiamo compiuto il passo più importante. Continueremo con Manbij, Ayn al Arab (Kobane, ndr), Tal Abyad, Rasulayd e Qamishli, fino all'eliminazione totale del corridoio del terrore” nel nord della Siria. “Abbiamo invitato Baghdad a risolvere il problema” della presenza delle forze del Pkk curdo nel nord dell'Iraq, annunciava il dittatore fascista turco e minacciava che “se non accadrà, interverremo anche a Sinjar. Una notte, potremmo entrare a Sinjar all'improvviso” con la stessa terminologia che aveva usato per annunciare l'aggressione in Siria a Afrin.
Non gli sarà difficile trovare un'intesa con gli Usa, che nella zona di Manbij hanno una base militare, una volta che Trump ha deciso di mollare i curdi usati nella guerra allo Stato islamico. Se non cambieranno le condizioni l'aggressività turca sulle regioni curde non troverà ostacoli nemmeno nella coalizione imperialista guidata dalla Russia. L'intesa tra Russia, Turchia e Iran viaggia a gonfie vele, come ha confermato l'appuntamento del 16 marzo dei ministri degli Esteri dei tre paesi a Astana, per un nuovo round dei negoziati sulla Siria. I tre diplomatici hanno discusso di varie cose ma neanche una parola si trova nei comunicati ufficiali e nelle conferenze stampa sull'aggressione e sulla imminente occupazione turca a Afrin, una questione che a quel tavolo non esiste nemmeno. Se l'aggressività turca in Siria avrà delle conseguenze sulla tenuta del patto trinazionale lo sapremo probabilmente il prossimo 4 aprile quando è previsto un nuovo vertice a Istanbul, questa volta un vertice al massimo livello, coi tre presidenti.
 
 
 
 
 

21 marzo 2018