“Il Fatto” scopre gli altarini
Imbeccato da Renzi De Benedetti ha fatto un affare da 600 mila euro
Un mese prima l'allora titolare del gruppo Repubblica-Espresso alla Tv aveva definito Renzi “un fuoriclasse”

Grazie a un'imbeccata del nuovo duce Renzi che rivelò in anticipo al suo grande sostenitore Carlo De Benedetti l'imminente varo del famigerato decreto legge che dal 20 gennaio 2015 ha trasformato le banche popolari in Spa, l'allora padrone del Gruppo Espresso che pubblica La Stampa, Repubblica e L’Espresso (che ora si chiama Gedi) ha realizzato una mega speculazione finanziaria che in sole 24 ore gli ha fatto guadagnare oltre 600 mila euro.
Tutto ciò proprio mentre migliaia di correntisti e piccoli risparmiatori venivano truffati e derubati dei loro risparmi e il papà della ex ministra delle Riforme del governo Renzi e attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, si spolpava Banca Etruria.
La tresca finanziaria fra Renzi, De Benedetti e Bankitalia è stata vergognosamente e volutamente ignorata dai mass media di regime, Rai compresa, che hanno minimizzato e liquidato la notizia sostenendo che della questione se n'è già occupata la Procura di Roma e il Pubblico ministero, Stefano Pesci, ha già richiesto l'archiviazione al Gip Gaspare Sturzo.
Renzi e De Benedetti si difendono affermando fra l'altro che "L'approvazione della norma era ampiamente nota, al punto che Ubs aveva tenuto una conferenza stampa sul tema due settimane prima, presso la Borsa di Milano, consigliando di acquistare azioni delle banche Popolari. Del resto, anche la Procura di Roma, investita della vicenda, a giugno dello scorso anno ne ha chiesto l'archiviazione".

Governo e Bankitalia insider trading primari
In realtà le cose sono andate diversamente e a scoprire gli altarini è stata la redazione del “Il Fatto Quotidiano” che nell'edizione del 10 gennaio fra l'altro rivela come subito dopo aver parlato coi vertici di Bankitalia, il governatore Ignazio Visco e il vicedirettore Fabio Panetta, e aver avuto rassicurazione dall'allora premier Renzi, De Benedetti il 16 gennaio 2015 chiama il suo broker Gianluca Bolengo per invitarlo a comprare azioni di banche popolari spiegandogli di aver saputo che a breve il governo varerà la riforma del settore e aggiungendo fra l'altro che: è stato proprio il premier in persona a riferirglielo.
Bolengo segue alla lettera le istruzioni dettate per telefono da De Benedetti e acquista i titoli di sei popolari poi coinvolte dalla riforma. Per espressa richiesta dell’imprenditore, nessun acquisto riguarderà la Popolare di Vicenza, dove un mese dopo entreranno gli ispettori della Bce scoprendo un buco di 1 miliardo. I titoli vengono rastrellati per conto della Romed, la cassaforte finanziaria dell’ingegnere (che all’epoca la presiedeva) che incasserà, con quest’operazione, una plusvalenza di 600mila euro.
Il che configura secondo le leggi vigenti, ma evidentemente non per la Procura di Roma, il gravissimo reato di insider trading e/o ostacolo alla vigilanza. Infatti, secondo il Testo Unico della Finanza del 1998 sull’insider trading (in parte depenalizzato dal governo Berlusconi nel 2004 per la parte degli insider secondari) commette quel reato “chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, con strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio…”.
Commi che sembrano cuciti addosso sia a Renzi (l’insider primario che possiede informazioni privilegiate sul suo decreto in ragione della sua funzione pubblica) sia a De Benedetti e a Bolengo (l’uno, insider primario anche lui, fa acquistare all’altro, insider secondario, le azioni delle Popolari per conto proprio, utilizzando le informazioni medesime).

L'indagine Consob
I retroscena della clamorosa soffiata di Renzi si evincono fra l'altro proprio dalla richiesta di archiviazione della Procura di Roma nei confronti di Bolengo, amministratore delegato di Intermonte Spa, indagato solo per ostacolo alla vigilanza, e consegnata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche nei giorni scorsi.
Dalle carte risulta chiaro che già una settimana prima del varo del decreto, elaborato da Bankitalia, i titoli di alcune popolari già quotate subiscono strani rialzi fra cui Etruria che sale addirittura del 65%.
Il sospetto più che fondato è che “qualcuno” ha saputo prima e ha comprato grazie a informazioni privilegiate commettendo il reato insider trading.
La prima conferma arriva dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che alla Camera spiega che prima dell’approvazione del decreto – quando già circolavano indiscrezioni – alcuni “soggetti hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva”, creando “plusvalenze effettive o potenziali stimabili in 10 milioni di euro”.
Nel gennaio 2015 la Consob apre un’istruttoria, acquisisce la telefonata tra De Benedetti e Bolengo e accerta che la Intermonte sim, per conto della Romed (società di De Benedetti), compra titoli delle Popolari per 5 milioni realizzando una plusvalenza di 600 mila euro.
Il 12 aprile 2017, con voto a maggioranza e astensione del presidente Vegas, decide di archiviare la pratica ma solo per quanto riguarda gli aspetti amministrativi della vicenda. Mentre per quanto riguarda gli aspetti penali, su cui la Consob non ha competenze, li segnala subito alla Procura di Roma, indicando precisamente i possibili reati e autori.
Stranamente, però, al premier Renzi, cioè al titolare delle informazioni privilegiate, la Consob non contesta nulla. A De Benedetti invece addebita il reato di insider trading primario “per avere comunicato a Bolengo una informazione privilegiata” proveniente dall’altro insider primario (Renzi). A De Benedetti e a Bolengo addebita anche l’illecito amministrativo di insider trading secondario per aver “disposto che fossero acquistate azioni di banche popolari basandosi su detta informazione privilegiata”. E al solo Bolengo varie condotte penali di ostacolo alla Vigilanza (la Consob), per aver omesso di avvisarla e averle nascosto il nome di De Benedetti.

Ritorna il “Porto delle nebbie”
Ma la Procura di Roma, invece di procedere, scrive i possibili reati segnalati dalla Consob nel “modello 45”, quello degli “atti non costituenti notizia di reato”. Ascolta come testimoni informati sui fatti l'allorra premier Renzi, De Benedetti e il vice direttore generale di Bankitalia e, nel giugno del 2016, chiede l'archiviazione del fascicolo avallando il racconto di De Benedetti che dichiara di non aver appreso, nei suoi colloqui, informazioni "price sensitive", ma soltanto genericamente di un intervento sulle Popolari in un tempo indeterminato, per volontà del governo.
Eppure nella famigerata telefonata al suo broker (rimasta finora segreta e allegata al fascicolo che la Procura di Roma ha trasmesso recentemente alla Commissione parlamentare banche) si sente chiaramente De Benedetti che dice: Sono stato in Banca d’Italia l’altro giorno, hanno detto (incomprensibile) che è ancora tutto aperto.
Bolengo: Sì, ehm… però adesso stanno andando avanti… comunque non è…
De Benedetti: Faranno un provvedimento. Il governo farà un provvedimento sulle popolari per tagliare la storia del voto capitario nei prossimi mesi… una o due settimane.
Bolengo: Questo è molto buono perché c’è concentrazione nel settore. Ci sono troppe banche popolari. Sa, tutti citano il caso di Sondrio, città di 30 mila abitanti.
De Benedetti: Quindi volevo capire una cosa… (incomprensibile) salgono le popolari?
Bolengo: Sì, su questo se passa un decreto fatto bene salgono.
De Benedetti: Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa.
Bolengo: Se passa è buono, sarebbe da avere un basket sulle popolari. Se vuole glielo faccio studiare uno di quelli che potrebbe avere maggiore impatto e poi però bisognerebbe coprirlo con qualcosa.
De Benedetti: Togliendo la Popolare di Vicenza.
Bolengo: Sì.
Il dettaglio sul decreto d'urgenza che secondo Bolengo farà salire le azioni e la risposta di De Benedetti che lo rassicura perché “ho parlato con Renzi”, la dicono lunga sul livello di corruzione raggiunto dalle istituzioni borghesi.
I vertici di Bankitalia e del governo che di fatto consigliano al magnate del capitalismo italiano di fare per “decreto” una mega speculazione finanziaria è un reato gravissimo e va punito con la massima severità.
Invece la Procura di Roma si arrampica sugli specchi e, invece di istruire un processo penale, fa il processo alle intenzioni di Bolengo sostenendo che il broker nella telefonata ha sì pronunciato la parola decreto ma intendeva un'altra cosa. Tanto basta per scagionarlo dall’aver omesso a Bankitalia il possesso delle informazioni.
De Benedetti – è scritto fra l'altro nelle richiesta di archiviazione del Pm Pesci - “nei giorni immediatamente precedenti il 16 gennaio”, incontrò “sia il dg di Bankitalia Panetta, sia il presidente del Consiglio”, ottenendo, a quanto fa capire nella registrazione, informazioni più precise solo dal premier. Renzi è stato interrogato dai pm e, come Panetta, ha riferito “che all’imminente riforma delle banche si dedicarono cenni del tutto generici e che non fu riferito di quei colloqui a De Benedetti nulla di specifico su tempi e strumento giuridico”. Per la Procura la vicenda è chiusa: nessun reato né per Renzi, né per De Benedetti, né per Bolengo.
Non a caso, secondo un verbale reso alla Consob e pubblicato poi da “La Verità”, De Benedetti si vanta di essere “L’ultimo grande vecchio che è rimasto in Italia”, in grado di dare del “cazzone” a Matteo Renzi; ma allo stesso tempo vantandosi di essere anche il suo suggeritore occulto che gli ha dato “idee geniali” come il Jobs Act ricavando in cambio altre “idee geniali”, soffiate dal suo “fuoriclasse” nell'ascensore di Palazzo Chigi utili alle sue speculazioni e che quindi non ha senso l'accusa di insider trading nei suoi confronti visto che sulle Popolari si è divertito a investire solo una piccola parte del suo patrimonio e che se avesse voluto avrebbe potuto ricavare molto di più dei 600 milioni incassati nel giro di poche ore.

11 aprile 2018