Gravissima sentenza padronale del tribunale di Torino
Libertà di licenziamento per la multinazionale Foodora
Senza diritti e paghe da fame per giovani precari, definiti “autonomi e non dipendenti”

 
Con sentenza del 12 aprile il tribunale di Torino ha respinto il ricorso presentato da sei fattorini precari di Foodora, multinazionale tedesca di consegne a domicilio, creando un pericoloso precedente per tutte le altre realtà padronali – e non sono poche, presumibilmente poi prolifereranno dopo questa sentenza – che ricorrono agli stessi metodi di sfruttamento spietato dei lavoratori. Ma andiamo con ordine.

Foodora e il marcio universo della “gig economy”
Foodora appartiene all'universo della cosiddetta “economy on demand” o “gig economy”, insieme ad altri come Deliveroo e Uber, sbandierata come emblema della modernità e della flessibilità. Che in parte è vero, ma solo per quanto riguarda lo sfruttamento capitalistico. Ai lavoratori viene data l'illusione di essere autonomi, di potersi gestire gli orari e di poter lavorare solo quanto desiderano. Spesso, come nel caso di Foodora, sono addirittura guidati da una app, che assegna mansioni spesso in base a quanto si è lavorato prima, quindi chi più lavora (a cottimo) più incarichi ottiene, secondo un ricatto di fatto. Sono poi documentati numerosi casi in cui questi “lavoretti” si trasformano in vero e proprio lavoro dipendente, con capi e capetti che assegnano gli orari. Ai “rider”, il pomposo (e vuoto) nome inglese usato per mascherare che si tratta di fattorini sottopagati e supersfruttati, è vietato protestare perché basta scollegarli dalla app per far loro perdere il lavoro.
In sostanza si tratta della nuova trovata del padronato per abbattere i costi del lavoro e reintrodurre il cottimo secondo una forma “moderna” e tecnologica di caporalato.

Il caso di Torino e la libertà di licenziare
A settembre 2016 sei giovani lavoratori promuovevano una protesta per ottenere migliori condizioni contrattuali a seguito della decisione di passare da una retribuzione oraria intorno ai 5 euro alla paga a cottimo. Considerato che molti di loro avevano un impegno settimanale che andava dalle 15 alle 30 ore, i fattorini chiedevano l'assunzione diretta dall'azienda, con pagamento dei contributi previdenziali. Detto fatto, a protesta finita, Foodora ha scollegato i sei dalla app, licenziandoli. Loro non ci sono stati e l'hanno trascinata al Tribunale del lavoro di Torino.
Tribunale che si è espresso il 12 aprile, appunto, in un'aula che, è stato riferito, era strapiena di polizia e Digos. Nonostante la difesa dei fattorini abbia dimostrato che i lavoratori sono sottoposti “a continui controlli”, vivano “un vero e proprio rapporti di lavoro subordinato” e subiscano pressioni psicologiche “finalizzate al mantenimento del posto di lavoro”, secondo il tribunale non esistono basi per sostenere il ricorso perché i fattorini sarebbero “collaboratori autonomi”.
Insomma altro non è che una tesi filo-padronale che accetta in pieno la tesi dell'azienda, palesemente falsa e assurda, dà una copertura giuridica a questo tipo di sfruttamento del lavoro, calpesta anche il più elementare e il più democratico-borghese diritto del lavoro che imporrebbe quantomeno di riconoscere se un lavoratore è dipendente o meno, e si è creato un precedente che sarà sicuramente impugnato da altri padroni del settore (e non solo?). È libertà di licenziare, né più né meno.

Lotta di classe unica via
Certo una sentenza diversa avrebbe costretto l'azienda a tutelare i diritti dei lavoratori, in primis quelli legati al salario, e avrebbe riconosciuto i lavoratori Foodora come falsi lavoratori autonomi, ma questo avrebbe creato un precedente al contrario e messo a serio rischio la sopravvivenza dei capitalisti del settore. La giustizia e lo Stato, salvo rari casi specifici dopo dure e prolungate lotte, rispondono agli interessi di classe della borghesia padronale e l'hanno dimostrato perfettamente a Torino.
Ovviamente la sentenza va respinta e la lotta portata avanti. Se non altro, la vicenda dimostra l'inadeguatezza del semplice strumento giuridico se non come semplice supporto, perché solo la lotta di classe, continuativa e senza esclusione di colpi, può consentire di spostare i rapporti di forza a favore dei lavoratori e portare così a vere conquiste.

18 aprile 2018