Su iniziativa del ministro dello sviluppo economico Calenda
Lanciata la co-decisione tra padroni e lavoratori all'Alcoa
La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende subordina i loro interessi a quelli dei padroni e uccide la lotta di classe

Prosegue da anni la lotta dei lavoratori Alcoa, l’azienda di Portovesme in Sardegna. Prima per scongiurare la chiusura, poi per ottenere gli ammortizzatori sociali, infine per la riapertura con i nuovi acquirenti svizzeri. L’azienda produttrice di alluminio, di proprietà di una multinazionale americana, fu definitivamente chiusa nel 2014, e con essa è entrato in crisi tutto il polo industriale del Sulcis-Iglesiente, il maggiore della regione, basato sull’estrazione e lavorazione dei minerali, primi tra tutti l’alluminio e il carbone.
In tutto il distretto trovavano lavoro più di diecimila persone ma adesso la maggior parte delle aziende hanno chiuso o hanno messo i loro dipendenti in cassa integrazione condannando l’intera provincia nella disoccupazione e nella povertà. Esemplari le lotte susseguitesi negli anni da parte dei lavoratori e della popolazione per le difesa del lavoro ma anche della salute a causa delle fabbriche dismesse. Decine le manifestazioni nel Sulcis-Iglesiente, a Cagliari e perfino a Roma, effettuate sempre con grande impeto, coraggio e dignità.
Dopo una durissima e prolungata lotta dei lavoratori l’impianto era stato preso in carico da Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa che ha trovato come nuovo acquirente la Sider Alloys, un’azienda con sede legale a Lugano. In questo passaggio si è inserita la proposta del ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda: una “associazione dei lavoratori avrebbe il 5% della nuova società e un posto nel comitato di sorveglianza”.
Questo ha scatenato una serie di commenti sulla co-decisione tra padroni e lavoratori. La stragrande maggioranza dei quali richiamava la necessità d’importare anche in Italia un modello di relazioni industriali e sociali caratteristico dei Paesi scandinavi e del centro Europa, e in particolare della Germania. Pigliaru, governatore PD della Sardegna rispetto alla proposta Calenda ha detto: “mi auguro che venga accettata, perché significherebbe realizzare una formula del tutto nuova per l’intero Paese nel coinvolgere e responsabilizzare i lavoratori rispetto ai risultati aziendali.
La co-determinazione (Mitbestimmung in tedesco) prevede per ogni fabbrica con più di 5 dipendenti un consiglio d’azienda che corrisponde in qualche misura ai consigli di fabbrica e alle nostra RSU. Le decisioni comuni avvengono solo su ristrette tematiche: orari, ferie, modalità di remunerazione, un po’ come avviene in Italia. La differenza vera e propria si ha invece sulla presenza dei lavoratori nei comitati di sorveglianza che definiscono le strategie delle imprese, nominano i manager e controllano il loro operato.
Nelle grandi aziende (oltre 2000 dipendenti) la composizione dei comitati di sorveglianza è paritaria ma il voto del presidente, eletto dagli azionisti, vale doppio in caso di pareggio mentre nelle aziende medie i lavoratori esprimono il 30% dei delegati, nessuno in quelle piccole. Come si vede il controllo è pur sempre limitato e minoritario e se esiste un potere di veto, quello ce l’hanno i padroni.
La “proposta” di Calenda è un po’ diversa perché dovrebbe dare, a titolo gratuito, il 5% del pacchetto societario ai lavoratori (tramite Invitalia) che avrebbero un loro rappresentante nel consiglio di sorveglianza. Quindi coinvolti economicamente e ininfluenti sulle decisioni.
Ma al di là delle formule la co-determinazione viene assunta come rimedio al miglioramento delle condizioni dei lavoratori da molti settori della “sinistra” borghese. Sulle pagine de il manifesto, prendendo spunto dalla vicenda Alcoa, si teorizza che il conflitto non basta più a difendere le istanze dei lavoratori e sarebbe più efficace la Mitbestimmung tedesca mentre su MicroMega Enrico Grazzini cerca in tutti i modi di collegare il modello sindacale cogestionario ai Paesi più ricchi d’Europa (Germania e Scandinavia) e quello più conflittuale a quelli più poveri del sud Europa (Grecia, Spagna e Italia).
Sicuramente la co-determinazione non influisce negativamente sull’economia capitalistica perché il motivo principale per cui governi e associazioni industriali di buona parte d’Europa la sostengono è proprio l’aumento della produttività e il superamento del conflitto di classe. Ma collegarla al PIL e alla qualità della vita senza considerare la storia, le condizioni e lo sviluppo economico di ogni singolo Paese è davvero una forzatura.
Nella stessa Germania, un partito riformista come la Linke, critica la co-determinazione perché questa serve sopratutto nei periodi di crisi a far ingoiare più facilmente ai lavoratori ristrutturazioni e tagli agli stipendi tanto che nel paese “locomotiva d’Europa” i salari sono bassi se rapportati ai colossali profitti delle aziende tedesche e anche li la forbice tra ricchi e poveri è aumentata nell’ultimo decennio.
La parte spettante ai dipendenti, che non deve coincidere ma quasi sempre è egemonizzata dai sindacati di regime, è stata spesso e volentieri corrotta da quella padronale. Tra i casi più eclatanti quelli avvenuti alla Volkswagen e alla Siemens dove delegati nei comitati di sorveglianza hanno ricevuto denaro per accettare decisioni indesiderate dai lavoratori. Inoltre questa, seppur limitata, sorveglianza non viene concessa negli stabilimenti di aziende tedesche fuori dalla Germania.
Ma la questione fondamentale è che la co-gestione in generale racchiude i lavoratori dentro la gabbia delle compatibilità aziendali, significa abbandonare l’idea stessa per cui è nato il sindacato, ossia difendere e rappresentare gli interessi e le rivendicazioni dei lavoratori di fronte al capitale e sposare il corporativismo, la collaborazione di classe con l’obiettivo di aumentare la produttività e ridurre la conflittualità in nome “dell’interesse nazionale”, ovvero servire gli interessi della borghesia. Un modello che in Italia abbiamo già conosciuto sotto il fascismo col nome di corporativismo.
Non a caso dove vige questo sistema di relazioni gli scioperi sono meno frequenti e in Germania è vietato lo sciopero politico, ragion per cui non sarebbe stato possibile scioperare contro una “riforma” pensionistica come la Fornero in quanto approvata dal parlamento. Marie Seyboth della DGB, il principale sindacato tedesco, in un’intervista di qualche anno fa su come funziona il ”modello tedesco” dichiarava: “da noi sono impensabili scioperi generali come a Roma”.
La co-determinazione, ovvero la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, subordina gli interessi dei lavoratori a quelli dei padroni e uccide la lotta di classe. È la lotta di classe il fattore decisivo per raggiungere gli obiettivi e le rivendicazioni immediate e per indirizzare il corso della storia verso il socialismo, non la cogestione e la collaborazione di classe.

25 aprile 2018