Paul Lafargue
Ricordi su Marx


I
Vidi Marx per la prima volta nel febbraio del 1865. L’Internazionale era stata fondata il 28 settembre del 1864, nella riunione di St. Martin’s Hall. Venivo da Parigi per informarlo sui progressi che allora faceva la giovane associazione. Il signor Tolain, attualmente senatore della repubblica borghese e uno dei suoi rappresentanti alla Conferenza di Berlino, mi aveva dato una lettera di raccomandazione.
Avevo allora 24 anni, e per tutta la vita non dimenticherò mai l'impressione che mi fece quella prima visita. Marx in quel tempo era sofferente e lavorava al primo volume del «Capitale», che apparve soltanto due anni dopo, nel 1867. Egli temeva di non poter condurre a termine la sua opera e riceveva i giovani con piacere, «perché», diceva, «devo educare degli uomini che dopo di me continuino la propaganda comunista».
Marx era uno di quei rari uomini che possono contemporaneamente occupare i primi posti tanto nella scienza come nell’attività pubblica: egli le univa in sé così intimamente che non è possibile comprenderlo se non lo si considera in pari tempo come scienziato e come combattente socialista. Benché fosse dell’opinione che ogni scienza deve essere coltivata per sé stessa e che nella indagine scientifica non ci si deve mai preoccupare delle sue eventuali conseguenze, ciò nonostante riteneva che lo scienziato, se non vuole diminuire sé stesso, non deve mai cessare dal partecipare alla vita pubblica, non deve restar sempre rintanato in una camera o nel suo laboratorio come un verme nel suo formaggio senza mescolarsi alla vita e alle lotte politiche e sociali dei suoi contemporanei.
«La scienza non deve essere un godimento egoistico: coloro che hanno la fortuna di potersi dedicare a studi scientifici debbono anche essere i primi a mettere le loro cognizioni al servizio dell'umanità». - «Lavorare per il mondo», era una della sue espressioni favorite.
Sebbene nutrisse una profonda simpatia per le sofferenze delle classi lavoratrici, non era giunto al comunismo in seguito a considerazioni sentimentali, ma attraverso lo studio della storia e dell’economia politica, e sosteneva che ogni spirito imparziale che non sia influenzato da interessi di classe o accecato da pregiudizi di classe deve assolutamente arrivare alle stesse conclusioni. Ma sebbene studiasse lo sviluppo politico ed economico della società umana senza opinioni preconcette, egli scriveva soltanto con la ferma intenzione di diffondere i risultati delle sue ricerche, e con la ferma e netta volontà di dare una base scientifica al movimento socialista, che fino allora si era perduto nelle nuvole dell'utopismo. Entrò nella vita pubblica soltanto per lavorare per il trionfo della classe operaia, la cui missione storica è, appena arrivata alla direzione politica ed economica della società, di edificare il comunismo, così come la borghesia, appena arrivata al potere, ha avuto la missione di spezzare i vincoli feudali che ostacolavano lo sviluppo dell’agricoltura e dell'industria, di instaurare libero scambio delle merci e la libertà di movimento degli uomini, la libertà di contratto fra i datori di lavoro e gli operai, di accentrare i mezzi di produzione e di scambio, e di preparare gli elementi spirituali e materiali della futura società comunista.
Marx non limitò la sua attività al paese in cui era nato: «Io sono un cittadino del mondo», egli diceva, «e agisco là dove mi trovo». Infatti in tutti i paesi dove lo spinsero gli avvenimenti e le persecuzioni politiche, in Francia, nel Belgio, in Inghilterra, prese una parte di prim'ordine nei movimenti rivoluzionari che ivi si sviluppavano.
Ma in quel gabinetto da lavoro della Maitland Park Road, dove da tutte le parti del mondo civile accorrevano i compagni di partito per consultare il maestro del pensiero socialista, egli non mi apparve come l’instancabile e impareggiabile agitatore socialista, ma come scienziato. Quella camera è storica, e se si vuol penetrare nell’intimità della vita spirituale di Marx bisogna conoscerla. Era situata al primo piano e l’ampia finestra, attraverso la quale essa riceveva una luce abbondante, dava sul parco. Ai due lati del camino e di fronte alla finestra vi erano degli scaffali pieni di libri e carichi fino al soffitto di pacchi di giornali e di manoscritti. Di fronte al camino e ad un lato della finestra vi erano due tavoli pieni di carte, libri e giornali; nel mezzo della camera, collocati in luce favorevole, vi erano un semplicissimo e piccolo tavolo da lavoro (lungo tre piedi e largo due) e una poltrona di legno; fra la poltrona e lo scaffale, in faccia alla finestra, un divano di cuoio sul quale di quando in quando Marx si stendeva per riposare. Sul camino vi erano altri libri e fra le altre cose sigari, zolfanelli, pacchi di tabacco, fermacarte, fotografie delle sue figliuole, di sua moglie, di Guglielmo Wolff, di Federico Engels. Era un grande fumatore. «II “Capitale”, - mi diceva, - non mi renderà l’importo dei sigari che ho fumato «scrivendolo»; ma era un consumatore ancora più grande di fiammiferi. Si dimenticava così spesso della pipa o del sigaro che, per riaccenderli sempre di nuovo, le scatolette di fiammiferi si vuotavano in un baleno.
Marx non permetteva a nessuno di mettere in ordine o, per meglio dire, in disordine i suoi libri e le sue carte. II disordine che vi regnava era soltanto apparente: tutto era al posto desiderato ed egli trovava sempre il libro e il quaderno di cui aveva bisogno senza cercarlo. Anche durante la conversazione s'interrompeva per far vedere una citazione o una cifra sul libro stesso. Egli era tutt’una cosa col suo gabinetto da lavoro i cui libri e le cui carte gli obbedivano come le sue proprie membra.
Nella disposizione dei libri non vi era nessuna simmetria esteriore: volumi in quarto e in ottavo e opuscoli erano gli uni accanto agli altri. Egli disponeva i libri non secondo il formato, ma secondo il contenuto. Per lui i libri erano strumenti intellettuali e non oggetti di lusso. «Sono i miei schiavi e devono servirmi secondo la mia volontà». Li maltrattava senza riguardo al formato, alla rilegatura, alla bellezza della carta o della stampa: piegava gli angoli, copriva i margini con tratti di matita, sottolineava le righe. Non faceva delle note, ma talvolta non poteva far a meno di mettere un punto esclamativo o interrogativo, se l'autore passava i limiti. Il sistema di sottolineare, di cui egli si serviva, gli permetteva di ritrovare con più facilità in un libro il passo cercato. Aveva l’abitudine di rileggere i suoi taccuini di note e i passi sottolineati nei libri dopo anni d’intervallo per tenerli bene nella sua memoria, che era di un’eccezionale forza e precisione. Seguendo il consiglio di Hegel, aveva rafforzato la memoria fin dalla gioventù imparando a mente dei versi in una lingua a lui sconosciuta.
Sapeva a memoria Heine e Goethe che spesso citava nelle sue conversazioni. Leggeva spesso poeti che sceglieva fra tutte le letterature europee. Ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale greco. Venerava Eschilo e Shakespeare come i due più grandi geni drammatici dell’umanità. Shakespeare, per il quale la sua venerazione non aveva limiti, era stato da lui studiato in modo minuziosissimo. Conosceva anche le sue figure più insignificanti. Tutta la famiglia di Marx aveva un vero culto per il grande drammaturgo inglese; le sue tre figliuole lo sapevano a memoria. Quando, dopo il 1848, volle perfezionarsi nella lingua inglese, che prima già era in grado di leggere, scelse e ordinò tutte le espressioni particolari di Shakespeare. Lo stesso fece pure con una parte delle opere polemiche di Guglielmo Cobbett che apprezzava moltissimo. Dante e Burns appartenevano ai suoi poeti favoriti. Provava una grande gioia nell’udire le sue figliuole cantare o recitare le satire o le poesie d’amore del poeta scozzese.
Cuvier, lavoratore instancabile e grande maestro della scienza, nel museo di Parigi di cui era direttore aveva fatto fare numerosi gabinetti da lavoro per suo uso personale. Ogni locale era destinato a una data occupazione e conteneva tutto il necessario per questa occupazione: libri, strumenti, preparati anatomici, ecc. Se si sentiva stanco del suo lavoro, entrava nel locale vicino e si dedicava a un altro studio; tale cambiamento nell’attività intellettuale era per lui, si diceva, un riposo. Marx era un lavoratore instancabile come Cuvier, ma non aveva, come questi, la possibilità di disporre di più gabinetti di lavoro. Si riposava andando su e giù per la camera; dalla porta alla finestra sul tappeto si vedeva una striscia totalmente logora, e ben tracciata come un sentiero in un prato. Talvolta si stendeva sul divano e leggeva un romanzo. Gli accadeva di leggere due o tre romanzi ad un tempo, alternativamente. Come Darwin, era un grande lettore di romanzi e amava specialmente quelli dei secolo XVIII, in particolare il «Tom Jones» di Fielding. Gli scrittori moderni che gli piacevano di più erano Paul de Kock, Charles Lever, Alessandro Dumas padre e Walter Scott. «Old Mortality» di quest’ultimo era considerato da lui un capolavoro. Aveva una spiccata predilezione per i racconti umoristici e d’avventure. Alla testa di tutti gli scrittori di romanzi metteva Cervantes e Balzac. Il «Don Chisciotte» era per lui l’epopea della cavalleria morente, le cui virtù diventavano, nel mondo della borghesia nascente ridicolaggini e pazzie. La sua ammirazione per Balzac era così grande che non appena avesse finito la sua opera economica voleva scrivere una critica della «Comédie humaine». Balzac non era soltanto lo storico della società del suo tempo; era anche il creatore di figure profetiche che sotto Luigi Filippo erano ancora in embrione, e si sono pienamente sviluppate solo dopo la sua morte, sotto Napoleone III.
Marx leggeva tutte le lingue europee e ne scriveva tre: il tedesco, il francese e l’inglese, destando l’ammirazione di coloro che conoscevano queste lingue. Egli ripeteva volentieri la massima: «Una lingua straniera è un’arma nella lotta della vita». Aveva una disposizione allo studio delle lingue, che le figlie hanno ereditato da lui. Aveva già cinquantanni quando volle imparare anche il russo, sebbene questa lingua non avesse nessuna affinità etimologica con le lingue antiche e moderne a lui note, e dopo sei mesi lo possedeva già abbastanza da potersi dilettare alla lettura dei poeti e scrittori russi che egli apprezzava in modo particolare: Pusckin, Gogol e Stcedrin. La ragione per cui studiò il russo fu di poter leggere i documenti delle inchieste, ufficiali, occultati dal governo a causa delle orribili cose ch’essi rivelavano. Amici devoti avevano procurato a Marx questi documenti, ed egli era certamente l’unico economista dell’Europa occidentale che ne fosse venuto a conoscenza.
Oltre ai poeti e ai romanzieri Marx aveva anche un altro notevolissimo mezzo di riposo intellettuale, la matematica, per cui nutriva una particolare predilezione. L'algebra gli procurava una vera consolazione morale; in essa si rifugiava nei momenti più dolorosi della sua vita movimentata. Durante l'ultima malattia della moglie gli era impossibile occuparsi del suo lavoro scientifico nel modo abituale. Poteva sfuggire all'oppressione che le sofferenze della sua compagna esercitavano sul suo animo, soltanto se si immergeva nella matematica. Durante questo periodo di dolori morali scrisse un lavoro sul calcolo infinitesimale, che secondo le comunicazioni dei matematici che lo hanno letto sarebbe di grande importanza e sarà pubblicato nella raccolta delle sue opere. Nella matematica superiore egli ritrovava il movimento dialettico nella sua forma più logica e nello stesso tempo più semplice. Secondo la sua opinione una scienza era veramente sviluppata soltanto quando riusciva a potersi servire della matematica.
La biblioteca di Marx, che conteneva oltre mille volumi, da lui accuratamente raccolti nel corso di una lunga vita di indagini, non gli era sufficiente, e per anni egli fu un frequentatore assiduo del Museo Britannico, il cui catalogo era da lui altamente apprezzato. Persino i suoi avversari si sono visti costretti a riconoscere l’ampiezza e la profondità del suo sapere non soltanto nella sua specialità, l’economia politica, ma anche nella storia, nella filosofia e nella letteratura di tutti i paesi.
Sebbene andasse sempre a letto molto tardi, fra le otto e le nove del mattino era sempre già in piedi, prendeva il suo caffè nero, percorreva i giornali e quindi andava nel suo gabinetto di lavoro dove lavorava fino alle due o alle tre di notte. S’interrompeva soltanto per i pasti, e la sera, se il tempo lo permetteva, per fare una passeggiata a Hampstead Heath. Durante il giorno dormiva un paio d’ore sul divano. In gioventù aveva l’abitudine di passare notti intere al lavoro. Il lavoro era diventato per Marx una passione, e lo assorbiva in modo tale che spesso dimenticava di mangiare. Per i pasti non di rado lo si doveva chiamare più volte prima che scendesse nella sala da pranzo, e appena aveva finito l’ultimo boccone ritornava nel suo gabinetto da lavoro. Mangiava poco e soffriva persino di inappetenza, che cercava di combattere mangiando cibi molto salati, prosciutto, pesce affumicato, caviale e sottaceti. Il suo stomaco era costretto a espiare la colossale attività del suo cervello. Sacrificava tutto il corpo al cervello: il pensiero era per lui il godimento più alto. L’ho udito spesso ripetere la massima di Hegel, il maestro di filosofia della sua gioventù: «Persino il pensiero delittuoso di un malvagio è più grandioso e sublime delle maraviglie del cielo».
Il suo corpo doveva essere di costituzione ben robusta per permettergli un genere di vita così insolito e un lavoro spirituale così estenuante. Egli era infatti molto forte: la sua statura era al di sopra della media, le spalle larghe, il torace sviluppato, le membra proporzionate, sebbene la colonna vertebrale, in confronto alle gambe, fosse un po’ troppo lunga, come si trova spesso nella razza ebraica. Se in gioventù avesse fatto molta ginnastica sarebbe diventato un uomo di forza eccezionale. L’unico esercizio fisico che praticava regolarmente era la marcia: poteva chiacchierando o fumando camminare delle ore o salire delle colline senza sentire la minima stanchezza. Si potrebbe affermare che nel suo gabinetto lavorava camminando; sedeva soltanto durante brevi intervalli per scrivere ciò che aveva pensato camminando. Amava pure molto chiacchierare camminando, fermandosi di quando in quando se la discussione era vivace o se la conversazione diventava importante.
Per anni l’ho accompagnato nelle sue passeggiate serali a Hampstead Heath. In queste passeggiate attraverso i prati egli fece la mia educazione politica. Senza accorgersene egli stesso, sviluppava davanti a me il contenuto di tutto il primo volume del «Capitale» via via e nella misura che allora lo scriveva. Ritornato a casa, mettevo per iscritto, il meglio che potevo, ciò che avevo udito. In principio mi era molto difficile seguire il profondo e complicato corso dei pensieri di Marx. Purtroppo perdetti quelle preziose note. Dopo la Comune la polizia saccheggiò e bruciò le mie carte a Parigi ed a Bordeaux. Specialmente rimpiango la perdita delle note che presi la sera in cui Marx, con l’abbondanza di prove e di riflessioni che gli era propria, mi espose la sua geniale teoria dello sviluppo della società umana. Fu come se davanti ai miei occhi si squarciasse un velo; per la prima volta vedevo chiaramente la logica della storia del mondo e potevo ricondurre alle loro cause materiali le manifestazioni in apparenza tanto contraddittorie dello sviluppo della società e delle idee. Ne fui come abbagliato, e quest’impressione mi restò per anni. Lo stesso effetto questa concezione produsse sui socialisti madrileni, quando, coi miei poveri mezzi, sviluppai loro questa, che è la più grandiosa delle teorie di Marx e senza dubbio una delle più grandiose che mai il cervello umano abbia pensato.
Il cervello di Marx era armato della conoscenza di un’incredibile quantità di fatti storici e delle scienze naturali, e di teorie filosofiche; ed egli sapeva servirsi magnificamente di tutte queste conoscenze e osservazioni raccolte nel corso di un lungo lavoro intellettuale. Lo si poteva interrogare su qualunque argomento e si riceveva la risposta più esauriente che si potesse desiderare, e sempre accompagnata di riflessioni filosofiche di significato generale. Il suo cervello somigliava a una nave da guerra che si trova nel porto sotto pressione; era sempre pronto a partire per tutte te direzioni del pensiero. Certamente il «Capitale» ci svela uno spirito di forza sorprendente e di alto sapere. Ma per me, come per tutti coloro che hanno conosciuto Marx da vicino, né il «Capitale» né alcun altro dei suoi scritti riesce a mostrare tutta la grandezza del suo genio e del suo sapere. Egli era più in alto delle sue opere.
Io ho lavorato con Marx; ero soltanto lo scrivano al quale egli dettava, ma con ciò ho avuto occasione di osservare la sua maniera di pensare e di scrivere. Il lavoro era per lui facile e in pari tempo difficile: facile, perché l'occhio del suo spirito fin dal primo sguardo afferrava subito nel loro assieme tutti i fatti e le riflessioni concernenti il tema di cui si occupava; ma questa pienezza di visione rendeva lunga e difficile la esposizione completa delle sue idee.
Vico diceva che «la cosa è un corpo soltanto per Dio, che sa tutto; per l’uomo, che conosce solo il lato esteriore, essa è unicamente una superficie». Marx concepiva le cose alla maniera del Dio di Vico. Non vedeva soltanto la superficie, ma penetrava nell'interno, esaminava uno dopo l’altro tutti gli elementi nelle loro azioni e reazioni; isolava ognuna di queste parti e seguiva la storia del suo sviluppo. Quindi passava dalla cosa all’ambiente e osservava l’azione di quest’ultimo sulla prima e viceversa; risaliva alla nascita dell’oggetto, ai mutamenti, alle evoluzioni e rivoluzioni che esso aveva compiuto, e infine procedeva fino alle sue azioni più lontane. Egli non vedeva mai le cose singole per sé e in sé, senza coesione con il loro ambiente, ma, vedeva un mondo complicato e continuamente in movimento, e voleva esprimere l’intera vita di questo movimento nelle sue variabili azioni e reazioni, così molteplici e ininterrotte. Gli scrittori della scuola di Flaubert e dei Goncourt lamentano come sia difficile riprodurre ciò che si vede, e tuttavia ciò che essi vogliono riprodurre non è che la superficie di cui parla Vico, l’impressione che essi ricevono. Il loro lavoro letterario è un gioco, in confronto a quello di Marx. Egli aveva bisogno di una straordinaria forza di pensiero e di un’arte non meno straordinaria per riprodurre ciò che vedeva e ciò che voleva vedere. Non era mai contento del suo lavoro, vi apportava sempre nuovi mutamenti e trovava sempre che la rappresentazione era inferiore all'idea. Uno studio psicologico di Balzac, che Zola ha deplorevolmente plagiato, «Le chef d’oeuvre inconnu» [«Il capolavoro sconosciuto»] fece su di lui un’impressione profonda, perché vi erano in parte descritti i sentimenti che egli stesso sentiva: un pittore d’ingegno è talmente tormentato dalla brama di esprimere le cose come si riflettono nel suo pensiero, che corregge e ritocca continuamente il suo quadro fino a che non gli rimane che un informe ammasso di colori, che tuttavia appare ai suoi occhi abbagliati come la perfetta riproduzione della realtà.
Marx univa le due qualità del pensatore di genio. Sapeva scomporre un oggetto in tutti i suoi elementi in modo incomparabile, ed era maestro nel ricomporre l’oggetto scomposto con tutti i suoi particolari, nello scoprire le sue diverse forme di sviluppo e le sue connessioni intime. La sua dimostrazione non era astratta, come gli hanno rimproverato gli economisti incapaci di pensare. Non impiegava il metodo dei geometri, i quali dopo aver tratto le loro definizioni dal mondo circostante nel tirare le conseguenze prescindono interamente dalla realtà. Nel «Capitale» non si trova una sola definizione, una sola formula, ma una serie di analisi di grande finezza, che fanno spiccare le sfumature più fugaci e le differenze di graduazione più impercettibili. Egli incomincia con la costatazione del fatto evidente che la ricchezza delle società, nelle quali regna il sistema di produzione capitalistico, appare come un’enorme accumulazione di merci: la merce, cosa concreta e non astrazione matematica, è dunque l’elemento, la cellula della ricchezza capitalistica. Ora Marx afferra la merce, la gira e la volta da tutte le parti, ne svela il contenuto e le strappa l’uno dopo l’altro i suoi segreti, di cui gli economisti ufficiali non hanno mai avuto l’idea, e che tuttavia sono più numerosi e più profondi dei misteri della religione cattolica. Dopo aver esaminato la merce da tutte le parti, egli la osserva nelle sue relazioni con altre merci, nello scambio; poi passa alla sua produzione e alle premesse storiche della sua produzione. Egli esamina le forme in cui la merce appare e indica come da una forma si passi ad un’altra, come una forma necessariamente generi l’altra. La linea dello sviluppo logico dei fenomeni è esposta con un’arte così perfetta che si potrebbe credere che Marx l’abbia inventata, e tuttavia essa deriva dalla realtà ed è la riproduzione della dialettica reale della merce.
Marx lavorava sempre con uno scrupolo estremo, non citava fatti o cifre che non fossero di fonte più che sicura. Non si accontentava delle comunicazioni di seconda mano, andava egli stesso alle fonti per quanto potesse costargli fatica. Era capace per un fatto di second’ordine di correre al Museo Britannico per accertarsene sui libri di quella biblioteca. I suoi critici non hanno potuto cogliere nei suoi lavori una sua svista, oppure provare che una sua dimostrazione poggiasse su fatti non scrupolosamente controllati. Questa abitudine di risalire alle fonti lo aveva portato a leggere scrittori pochissimo conosciuti e citati da lui solo. Il «Capitale» contiene una tale quantità di citazioni di autori sconosciuti che si potrebbe credere che ciò sia fatto per far mostra di erudizione. Marx pensava altrimenti: «Io esercito la giustizia storica; dò a ciascuno ciò che gli è dovuto», diceva. Egli riteneva suo dovere citare lo scrittore, per quanto sconosciuto e insignificante, che aveva espresso un'idea per la prima volta, o che gli aveva fornito l’espressione più esatta.
La sua coscienza letteraria era severa come quella scientifica. Non soltanto non avrebbe mai citato un fatto del quale non fosse sicuro, ma non si permetteva mai di parlare di un argomento prima di averlo studiato a fondo. Non pubblicava nulla che non fosse stato ripetutamente elaborato, fino ad aver trovato la forma voluta. Non poteva sopportare il pensiero di apparire davanti al pubblico in modo incompiuto. Mostrare il suo manoscritto prima d’avervi dato l’ultimo tocco sarebbe stato per lui un martirio. Questo sentimento era in lui così forte che un giorno mi disse che avrebbe preferito bruciare i suoi manoscritti piuttosto che lasciarli incompiuti.
Il suo metodo di lavoro gli poneva spesso dei compiti di cui il lettore dei suoi scritti può appena immaginare la portata. Per scrivere una ventina di pagine del «Capitale» sulla legislazione per la protezione degli operai inglesi egli aveva accuratamente studiato un’intera biblioteca di libri azzurri contenenti i resoconti delle Commissioni d’inchiesta e degli ispettori di fabbrica dell’Inghilterra e della Scozia. Li lesse dal principio alla fine, come è dimostrato dai numerosi segni di matita che vi ha fatto. Egli considerava questi resoconti come i documenti più importanti e più significativi per lo studio del sistema di produzione capitalistico, e teneva in così alta considerazione gli uomini che ne erano stati incaricati, che dubitava fosse possibile trovare in un’altra nazione uomini «altrettanto competenti, imparziali e senza riguardi come gli ispettori di fabbrica in Inghilterra». Egli ha reso loro questo splendido omaggio nella prefazione al suo «Capitale».
Marx attinse moltissimi fatti da questi libri azzurri che a molti membri della Camera bassa come pure della Camera dei Lord cui essi vengono distribuiti, servono soltanto come bersaglio, per misurare, dal numero delle pagine perforate dal proiettile, la sua forza di penetrazione. Gli altri li vendevano a peso, ed è quanto di più sensato potessero fare, perché ciò dette a Marx la possibilità di acquistarli a buon mercato da un mercante di vecchie carte della Long-Acre dal quale egli di quando in quando andava a frugare tra i libri e gli scartafacci. Il professor Beasley ha dichiarato che Marx è stata la persona che ha utilizzato di più le inchieste ufficiali inglesi e che le ha rese note a tutto il mondo. Il professor Beasley però non sapeva che prima del 1845 Engels aveva tratto dai libri azzurri numerosi documenti per utilizzarli nella redazione del suo libro sulle condizioni delle classi lavoratrici in Inghilterra.
 

II
Per conoscere e imparare ad amare il cuore che batteva sotto l’involucro dello scienziato, bisognava vedere Marx, quando aveva chiuso i suoi libri e quaderni, nel seno della famiglia o la domenica sera nel circolo dei suoi amici. Allora si dimostrava il più gradevole dei compagni: pieno di umorismo e di arguzia, sapeva ridere di cuore. Se udiva una parola spiritosa o una risposta arguta, i suoi occhi neri, ombreggiati da folte sopracciglia, scintillavano di gioia e di beffarda ironia.
Era un padre tenero, dolce e attento. «I bambini devono educare i genitori», egli soleva dire. Nei rapporti con le figliuole, che lo amavano in modo straordinario, non ha mai fatto valere neppure un’ombra di autorità paterna. Non assumeva mai un tono di comando e per ottenere ciò che desiderava le pregava come per un piacere, oppure le persuadeva a non fare ciò che egli voleva proibire. Eppure raramente un padre fu più ascoltato di lui. Le sue figliuole lo consideravano un amico e lo trattavano come un compagno. Non lo chiamavano «padre», ma «Moro», un soprannome che aveva ricevuto per il suo color bruno e per la sua capigliatura e la barba nere. Invece i membri della Lega dei Comunisti già dal 1848 lo chiamavano «papà Marx», sebbene allora non avesse ancora trent'anni.
Egli giocava con le sue bambine per delle ore. Esse ricordano ancora le battaglie navali e l’incendio di un’intera flotta di carta che aveva costruito per loro e con loro grande gioia abbandonato alle fiamme in un grande secchio d’acqua. La domenica le figliuole non permettevano che lavorasse; per tutta la giornata egli apparteneva loro. Quando il tempo era bello tutta la famiglia faceva una lunga passeggiata in campagna; lungo la strada ci si fermava in modeste trattorie a bere della birra di zenzero e a mangiare pane e formaggio. Quando le figliuole erano ancora piccole egli accorciava loro il lungo cammino raccontando fantastiche storie di fate che non finivano mai, che egli inventava strada facendo e il cui sviluppo si prolungava e aumentava secondo la lunghezza del cammino, di modo che le bambine ascoltando dimenticavano la stanchezza. Marx aveva un’immaginazione poetica incomparabilmente ricca: le sue prime opere letterarie furono delle poesie. La signora Marx conservava con cura i versi giovanili del marito e non li mostrava a nessuno. La famiglia Marx aveva sognato per il figlio la carriera del letterato o del professore; secondo il loro parere, dandosi all’agitazione socialista e occupandosi di economia politica, scienza che allora in Germania era ancora poco apprezzata, egli si era abbassato. Marx aveva promesso alle sue figliuole di scrivere un dramma per loro il cui soggetto dovevano essere i Gracchi. Purtroppo non ha potuto mantenere la parola: sarebbe stato interessante vedere come colui che era chiamato «il cavaliere della lotta di classe» avrebbe trattato questo terrìbile e grandioso episodio della lotta di classe del mondo antico. Marx aveva molti piani che non sono stati realizzati. Aveva l'intenzione, fra l’altro, di scrivere una logica ed una storia della filosofia; quest'ultima era stata in gioventù il suo studio favorito. Per compiere i suoi piani letterari e poter dare al mondo una parte dei tesori celati nel suo cervello avrebbe dovuto vivere 100 anni.
Per tutta la vita sua moglie fu per lui una compagna nel senso più vero e completo della parola. Essi si erano conosciuti da bambini ed erano cresciuti assieme. Marx non aveva più di 17 anni quando si fidanzò. I giovani attesero nove anni prima di sposarsi, nel 1843, e da allora non si separarono più. La signora Marx morì poco prima del marito. Nessuno ha posseduto il sentimento dell’uguaglianza in misura più alta della signora Marx, sebbene ella fosse nata e cresciuta in una famiglia aristocratica tedesca. Per lei non esistevano differenze e classificazioni sociali. Nella sua casa, alla sua tavola, ella riceveva operai in abito da lavoro con la stessa cortesia e gentilezza come se fossero stati duchi e principi. Molti operai di tutti i paesi hanno conosciuto la sua amabilità e ospitalità, e sono persuaso che nessuno di loro poteva supporre che la donna che li riceveva con una cordialità così semplice e sincera discendeva in linea femminile dalla famiglia dei duchi D’Argyll e che suo fratello era stato ministro del re di Prussia. La signora Marx non si curava di ciò; ella aveva abbandonato tutto per seguire il suo Karl e mai, neppure nei tempi di più stretto bisogno, ella si dolse di ciò che aveva fatto.
Ella aveva uno spirito sereno e brillante. Le lettere inviate agli amici, che le sgorgavano dalla penna senza fatica e senza sforzo, sono vere e proprie manifestazioni di uno spirito vivace e originale. Ricevere una lettera dalla signora Marx era una festa. Giovanni Filippo Becker ne ha pubblicate parecchie. Heine, il satirico inesorabile, temeva le beffe di Marx, ma nutriva una grande ammirazione per lo spirito acuto e delicato di sua moglie. Durante il soggiorno dei coniugi Marx a Parigi egli era un ospite assiduo della loro casa. Marx aveva una così grande stima dell'intelligenza e dello spirito critico di sua moglie che nel 1866 mi disse di averle fatto leggere tutti i suoi manoscritti e di dare grande valore al suo giudizio. Ella copiava i manoscritti del marito per la stampa.
La signora Marx ebbe molti bambini. Tre morirono in tenera età, nel periodo delle privazioni che la famiglia dovette subire dopo la rivoluzione del 1848, quando fuggì a Londra dove viveva in due camerette nella Dean Street Soho Square. Io ho conosciuto soltanto le tre figliuole. Quando, nel 1865, cominciai a frequentare Marx, la più giovane, l’attuale signora Aveling, era una magnifica bambina dal carattere d’un ragazzo. Marx diceva che sua moglie dandola alla luce come bambina si era sbagliata di sesso. Le altre due figliuole rappresentavano il più incantevole e armonico contrasto che si potesse ammirare. La maggiore, la signora Longuet, era di colorito bruno, come il padre, aveva gli occhi neri e i capelli corvini. La più giovane, la signora Lafargue, era bionda e rosea; la sua capigliatura, abbondante e ricciuta, brillava come l’oro e pareva che il sole tramontando si fosse coricato su di essa; ella assomigliava alla madre.
Oltre a quelli citati, la famiglia Marx contava ancora un membro importante: la signorina Elena Demuth. Nata in una famiglia di contadini, ella era entrata al servizio della signora Marx giovanissima, ancora quasi una bambina, molto tempo prima che questa si sposasse. Dopo il matrimonio ella non volle lasciarla, e si dedicò alla famiglia Marx con una devozione che la rendeva dimentica di sé stessa. Ella accompagnò la signora Marx e suo marito in tutte le loro peregrinazioni attraverso l’Europa e condivise le loro espulsioni Ella era lo spirito pratico della casa e sapeva uscire dalle situazioni più difficili. Grazie al suo ordine, alla sua economia, alla sua abilità la famiglia non fu mai privata almeno dell’indispensabile. Ella sapeva far di tutto: cucinava, riordinava la casa, vestiva i bambini, tagliava i vestitini che poi cuciva con la signora Marx. Era nello stesso tempo governante e maggiordomo della casa che dirigeva. Le bambine l’amavano come una madre, ed ella aveva su di loro un’autorità materna, perché sentiva per loro un affetto materno. La signora Marx considerava Elena come un’amica intima e Marx aveva per lei un’amicizia particolare; giocava con lei a scacchi e succedeva spesso che perdeva la partita. L’amore di Elena per la famiglia Marx era cieco. Tutto ciò che i Marx facevano era ben fatto e non poteva essere che ben fatto. Chi criticava Marx aveva da fare con lei. Chiunque entrasse in rapporti di fiducia con la famiglia veniva preso sotto la sua protezione materna. Ella aveva, per così dire, adottato tutta la famiglia. La signorina Elena sopravvisse a Marx ed a sua moglie. Ora ella ha trasferito le sue cure alla casa di Engels, che aveva conosciuto da giovane e al quale aveva esteso l’affetto che nutriva per la famiglia Marx.
Del resto anche Engels era per così dire un membro della famiglia. Le figlie di Marx lo chiamavano il loro secondo padre ed egli era l'alter ego di Marx. Per lungo tempo in Germania non si separavano mai i loro nomi, che sulle pagine della storia resteranno uniti per sempre. Marx ed Engels hanno realizzato nel nostro secolo l’ideale dell’amicizia cantato dai poeti antichi. Dalla gioventù in poi si sono sviluppati assieme e parallelamente, sono vissuti nella più stretta comunità d’idee e di sentimenti, hanno partecipato alla stessa agitazione rivoluzionaria, e quando potevano restare uniti lavoravano assieme. Probabilmente, se gli avvenimenti non li avessero costretti a vivere separati per circa venti anni avrebbero lavorato assieme per tutta la vita. Dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848 Engels dovette recarsi a Manchester, mentre Marx fu costretto a restare a Londra. Ma essi continuarono a vivere la loro vita spirituale in comune, scambiandosi quasi tutti i giorni per iscritto le loro opinioni sugli avvenimenti politici e scientifici e sul loro lavoro intellettuale. Appena Engels poteva rendersi libero dal suo lavoro si affrettava a lasciare Manchester e a ritornare nella sua casa di Londra, che distava solo 10 minuti da quella del suo caro Marx. Dal 1870 fino alla morte dell'amico non trascorse un giorno senza che i due amici si vedessero o in casa dell’uno o dell’altro.
Quando Engels annunciava il suo arrivo da Manchester, per la famiglia Marx era una festa. Si parlava molto tempo prima della visita imminente e il giorno del suo arrivo Marx era così impaziente che non poteva lavorare. I due amici restavano alzati l’intera notte, fumando e bevendo, per discutere degli avvenimenti succeduti dopo il loro ultimo incontro.
Marx apprezzava l’opinione di Engels più di ogni altra, perché Engels era l’uomo che egli riteneva all’altezza di essere suo collaboratore. Per lui Engels era tutto un pubblico. Per persuaderlo, per guadagnarlo a una sua idea, nessuno sforzo era per Marx troppo grande. L'ho visto, per esempio, rileggere da capo a fondo interi volumi per ritrovare i fatti che gli occorrevano per mutare l’opinione di Engels su qualche punto secondario, che ora non ricordo, circa la guerra politica e religiosa degli Albigesi. Conquistare l'opinione di Engels era per lui un trionfo.
Marx era fiero di Engels. Mi enumerava con soddisfazione tutti i pregi morali e intellettuali dell’amico e venne con me a Manchester espressamente per presentarmelo. Si stupiva della straordinaria vastità delle sue cognizioni scientifiche, si allarmava per le più piccole cose che lo potessero colpire, «Io tremo continuamente», mi diceva «all’idea che in una di quelle cacce, cui egli s’abbandona con passione galoppando attraverso ai campi a briglia sciolta e saltando tutti gli ostacoli, gli succeda una disgrazia».
Marx era un buon amico come era un tenero marito e padre, ma in sua moglie, nelle sue figliuole, in Elena e in Engels egli trovò degli esseri che meritavano di essere amati da un uomo come lui.
 

III
Marx, che aveva cominciato con l'essere uno dei capi della borghesia radicale, si vide abbandonato appena la sua posizione divenne troppo risoluta e fu trattato da nemico appena diventò socialista. Scacciato ed espulso dalla Germania, dopo le ingiurie e le calunnie, attorno alla sua persona e alle sue opere si organizzò la congiura del silenzio.
Il «18 Brumaio», che prova che di tutti gli storici e politici del 1848 Marx fu l'unico che abbia compreso e spiegato il vero carattere, le cause e le conseguenze del colpo di Stato del 2 dicembre 1851, fu completamente ignorato. Nonostante l’attualità, non un giornale borghese accennò all’opera, La «Miseria della filosofia», una risposta alla «Filosofia della miseria», come anche lo scritto «Per la critica dell’economia politica» furono ignorati. Soltanto l’Internazionale e il I Volume del «Capitale» ruppero questa congiura del silenzio durata circa 15 anni. Ignorare Marx non era più possibile: l’Internazionale cresceva e la fama delle sue azioni risonava nel mondo intero. Sebbene Marx si mantenesse in disparte e lasciasse agire altri, si scoprì subito chi era il regista. In Germania venne fondato il partito socialdemocratico, che diventò talmente forte che Bismarck prima di attaccarlo cercò di conquistarlo. Il lassalliano Schweitzer, per far conoscere il «Capitale» al pubblico operaio, pubblicò numerosi articoli che Marx trovò degni di nota. Il Congresso dell’Internazionale, su proposta di Giovanni Filippo Becker prese la decisione di raccomandare ai socialisti internazionalisti l’opera di Marx come la Bibbia della classe operaia.
Dopo l’insurrezione del 18 marzo 1871, nella quale si volle vedere la mano dell’Internazionale, e dopo la disfatta della Comune, di cui il Consiglio generale dell'Internazionale prese le difese contro la canea della stampa borghese di tutti i paesi, il nome di Marx diventò celebre in tutto il mondo. Marx venne riconosciuto come il teorico incontestabile del socialismo scientifico e come l'organizzatore del primo movimento internazionale della classe operaia. Il «Capitale» diventò l'A B C dei socialisti di tutti i paesi; tutti i giornali socialisti e operai resero popolari le «sue teorie scientifiche, e in America, durante un grande sciopero scoppiato a Nuova York, si pubblicarono degli estratti dell’opera in forma di manifestini per incoraggiare gli operai alla resistenza e provar loro la legittimità delle loro rivendicazioni. Il «Capitale» venne tradotto nelle principali lingue d’Europa: russo, francese, inglese; ne apparvero estratti in tedesco, italiano, francese, spagnuolo e olandese. E ogni volta che in Europa o in America gli avversari tentavano di confutare le sue teorie, gli economisti trovavano subito una risposta socialista che turava loro la bocca. Oggi il «Capitale» è diventato realmente ciò che il Congresso dell'Internazionale aveva detto: la Bibbia della classe operaia.
Ma l’attiva partecipazione di Marx al movimento internazionale socialista tolse tempo al suo lavoro scientifico. La morte della moglie e della figlia maggiore, la signora Longuet, gli dovevano essere fatali.
Alla moglie Marx era intimamente legato da un profondo attaccamento. La sua bellezza era stata la sua gioia e il suo orgoglio; la dolcezza e la devozione del suo carattere gli avevano reso più facilmente sopportabile la miseria inevitabilmente legata alla sua esistenza movimentata di socialista rivoluzionario. Le sofferenze che portarono la signora Marx alla tomba dovevano pure accorciare i giorni di vita del suo sposo. Durante la lunga e penosa malattia della moglie Marx, affaticato dall'agitazione spirituale, fisicamente esaurito dall'insonnia, sfinito per la mancanza di moto e d'aria pura, si ammalò d’una polmonite che pareva dovesse strapparcelo.
La signora Marx morì il 2 dicembre 1881, com’era vissuta, come comunista e materialista. Per essa la morte non aveva nulla di spaventoso. Quando sentì che era venuta la fine disse: «Karl, le mie forze sono finite!». Queste furono le sue ultime parole chiaramente comprensibili. Fu seppellita il 5 dicembre nel cimitero di Highgate nel reparto dei dannati (unconsecrated ground - terreno non benedetto). Conforme alla regola di tutta la sua vita e di quella di Marx si era accuratamente evitato che i funerali assumessero una forma pubblica. Soltanto alcuni amici intimi accompagnarono l’estinta all’ultima dimora. Prima che ci sciogliessimo, il vecchio amico di Marx, Federico Engels, sulla fossa disse le seguenti parole:
«Amici! La donna dal cuore nobilissimo che abbiamo seppellito era nata nel 1814 a Salzwedel. Suo padre, il barone von Westphalen, venne subito dopo trasferito a Treviri come consigliere di Stato, ed ivi entrò in intima amicizia con la famiglia Marx. I bambini crebbero assieme. Le due nature altamente dotate si legarono l’una all’altra. Quando Marx entrò nell’Università la loro sorte comune era già decisa.
«Nel 1843, dopo la soppressione della prima “Rheinische Zeitung“ per un certo tempo redatta da Marx, ebbero luogo le nozze. Da allora Jenny Marx non soltanto condivise la sorte, il lavoro e la lotta del marito, ma vi partecipò con altissimo intelletto e ardentissima passione.
«I giovani sposi si recarono a Parigi in un esilio volontario, che presto diventò un esilio vero. Il governo prussiano perseguitò Marx anche a Parigi. Devo aggiungere con rammarico che un uomo come Alessandro Humboldt si adoperò per ottenere il decreto di espulsione di Marx. La famiglia dovette recarsi a Bruxelles. Venne la rivoluzione di febbraio, e durante i disordini scoppiati anche a Bruxelles in seguito ad essa, non venne soltanto arrestato Marx, ma il governo belga non seppe trattenersi dal gettare in carcere, senza nessun motivo, anche la moglie.
«Lo slancio rivoluzionario del 1848 venne meno già nell’anno successivo. Nuovo esilio, prima a Parigi, poi, in seguito a una nuova intromissione del governo francese, a Londra. E questa volta per Jenny Marx fu un vero esilio con tutti i suoi orrori. Le strettezze materiali, in conseguenza delle quali vide scendere nella tomba due bambini e una figlioletta, le avrebbe superate, ma il governo e l’opposizione borghese, dai liberali di dozzina ai democratici si unirono in una grande congiura contro suo marito, contro cui lanciarono le calunnie più miserevoli e infami. Tutta la stampa fece coro e gli impedì ogni difesa, cosicché in quel momento egli si trovò inerme davanti ad avversari che tanto egli che la moglie non potevano che disprezzare. Ciò la colpì profondamente. E ciò è durato molto a lungo,
«Ma non per sempre. Il proletariato europeo ritornò a condizioni di esistenza nelle quali poteva, in una certa misura, muoversi in modo indipendente. Venne fondata l’Internazionale. La lotta di classe del proletariato penetrò di paese in paese, e fra i primi, il primo di tutti, lottava suo marito. Allora cominciò per essa un periodo che la compensò di molte dure sofferenze. Ella vide le calunnie, che erano piovute su Marx fitte come la grandine, disperdersi come pula al vento, vide il suo insegnamento, che tutti i partiti reazionari, tanto i feudali come i democratici, si erano dati tanta pena per sopprimere, venire diffuso apertamente in tutti i paesi e in tutte le lingue civili. Ella vide il movimento proletario, col quale tutto il suo essere era cresciuto, scuotere dalle fondamenta il vecchio mondo, dalla Russia all’America e, sfidando ogni resistenza, marciare in avanti sempre più sicuro della vittoria. E una delle sue ultime gioie è stata la schiacciante prova d’indistruttibile vitalità data dai nostri operai tedeschi nelle ultime elezioni al Reichstag.
«Ciò che tale donna per quasi 40 anni ha dato al movimento, con un intelletto e uno spirito critico così acuti, col suo tatto politico, con la sua energia e con la passione del suo carattere, con la sua devozione per i compagni di lotta, non è apparso pubblicamente e non è registrato negli annali della stampa contemporanea. Per conoscerlo bisogna esserle stati vicini. Ma io so che se le donne dei profughi della Comune ancora spesso si ricordano di lei, tanto più spesso noi sentiremo la mancanza del suo consiglio ardito e saggio, - ardito senza millanteria, saggio senza scortesia.
«Non è necessario che io parli delle sue qualità personali. I suoi amici le conoscono e non le dimenticheranno. Se mai è esistita una donna il cui più grande piacere sia consistito nel rendere felici gli altri, essa è stata questa donna».
Dopo la morte della moglie la vita di Marx fu soltanto una catena di dolori fisici e morali sopportati stoicamente, resi ancor più gravi dall'improvvisa morte della figlia maggiore, la signora Longuet, avvenuta un anno dopo. Egli ne fu spezzato e non si rimise più. Spirò seduto al suo tavolo da lavoro il 14 marzo 1883 nel sessantaseiesimo anno della sua vita.
 
Pubblicato la prima volta in tedesco nella «Neue Zeit», 1890-91, parte prima.
La traduzione è stata fatta sui testo della «Neue Zeit».
 
 
(Paul Lafargue – in Carlo Marx, Scritti scelti in due volumi, vol. I, Edizioni in Lingue Estere, Mosca 1943, pagg. 95-111)

2 maggio 2018