Dopo oltre due mesi di trattative
Le varie fazioni borghesi non riescono a fare un governo. Mattarella lancia il “governo neutrale”
Il PD è l'unico disposto a votarlo

A oltre due mesi dalle elezioni del 4 marzo, dopo tre inconcludenti consultazioni delle forze politiche parlamentari, il fallimento di due mandati esplorativi ai presidenti di Senato e Camera e constata l'incapacità delle varie fazioni borghesi di formare un governo, il presidente della Repubblica ha lanciato un "governo neutrale", o "di servizio", per tentare almeno di avviare la legislatura, ottemperare ad alcune scadenze indifferibili come il vertice europeo di giugno e la manovra di bilancio per sterilizzare l'aumento automatico dell'Iva per 12,5 miliardi, e poi traghettare il Paese verso nuove elezioni a febbraio dell'anno prossimo. O, nella peggiore delle ipotesi, se non ottenesse la fiducia del parlamento e la legislatura non partisse nemmeno, per gestire nuove elezioni appena possibile, vale a dire a luglio o a settembre-ottobre al massimo.
Mattarella lo ha annunciato il 7 maggio, tirando le conclusioni di un terzo e ultimo giro di consultazioni al Quirinale, dopo aver spiegato che tale governo non avrebbe potuto essere quello rivendicato dal "centro-destra", perché per la mancanza dei numeri in parlamento avrebbe portato alle elezioni, ma senza le necessarie garanzie di imparzialità. Né d'altra parte poteva farlo il governo Gentiloni, che "ha esaurito la sua funzione" ed è espressione di una maggioranza che non esiste più. Da qui la necessità di un nuovo governo, un "governo neutrale rispetto alle forze politiche", come ha ribadito il capo dello Stato, sostenuto dal voto di fiducia del parlamento, ma pronto a dimettersi e cedere il posto ad un governo politico "laddove si formasse nei prossimi mesi una maggioranza parlamentare".
Se invece quest'intesa tra i partiti non arrivasse, questo governo dovrebbe scadere a fine dicembre, approvata la manovra finanziaria, per poi andare alle elezioni. "L'ipotesi alternativa - ha ammonito Mattarella - è quella di indire nuove elezioni subito, appena possibile, gestite dal nuovo governo". Ipotesi che egli, pur lasciandola alla "libera scelta" dei partiti, ha fatto capire di non gradire, perché escludendo in partenza il voto a giugno per mancanza dei tempi necessari, in piena estate "si è sempre evitato di farlo" per il rischio astensionismo, e in autunno c'è il rischio che non ci sia il tempo per approvare la finanziaria e il bilancio dello Stato: "con il conseguente inevitabile aumento dell'Iva e con gli effetti recessivi che questo comporterebbe", e con il pericolo di "esporre il Paese alla speculazione finanziaria internazionale".
 

La ripresa della trattativa M5S-Lega
A questa decisione da tempo annunciata di Mattarella si è arrivati dopo una successione di eventi iniziata con il siluramento a mezzo intervista tv da parte di Renzi della trattativa tra M5S e PD. Avviata grazie alla mediazione del presidente della Camera Roberto Fico ma subito abortita col repentino allineamento del reggente Maurizio Martina e dell'intera Direzione PD al diktat del neoduce e dei suoi uomini, che ancora controllano la maggioranza del partito e dei suoi gruppi parlamentari. Tanto è bastato a Di Maio, già preoccupato per il calo di consensi personali e per il crollo del M5S alle Regionali in Friuli, per dichiarare chiuso il "forno" del PD e riaprire invece quello della trattativa con la Lega, che appena pochi giorni prima aveva detto di aver chiuso per sempre.
Pur di trovare un accordo e fare un governo insieme a Salvini, che è sempre stato il suo vero e unico obiettivo, l'imbroglione pentastellato è arrivato ad offrire al caporione fascioleghista la rinuncia ad esserne il premier e a nominare insieme a lui una "personalità terza", anche della Lega. E ad offrire sottobanco a Berlusconi, in cambio dell'"appoggio esterno" a tale governo, tre ministri "tecnici" di area Forza Italia, la presidenza a FI della commissione per la riforma elettorale, e in sottinteso, la rinuncia alla legge sul conflitto di interessi che era nel programma del M5S e la garanzia di non toccare i privilegi delle sue aziende.
Ma ancora una volta Berlusconi non si è fidato e ha risposto picche alle pressioni dei due ducetti per consentire coi suoi voti "esterni" la partenza del loro governo, continuando a coltivare invece la speranza di un governo di "centro-destra" sostenuto dai voti di un manipolo di "responsabili" da assoldare tra le fila dei parlamentari 5 Stelle e appoggiato magari anche dai renziani. Ed è questa la posizione, sostenuta anche dalla Meloni, che alla fine Salvini ha dovuto accettare e che i tre hanno portato inutilmente al Quirinale.
 

Salvini e Di Maio uniti per il voto subito
D'altra parte Salvini non se la sente di staccarsi da Berlusconi, perché ci governa insieme in diverse amministrazioni regionali e locali del Nord, e forse per via di patti occulti, anche economici, che la Lega ha contratto con lui in passato. L'obiettivo di Salvini è quello di mantenere solo formalmente l'unità con Berlusconi, ma per finire di prosciugare il suo elettorato e diventare il leader di tutto il "centro-destra". E le elezioni subito, ora che i sondaggi danno la Lega in forte crescita a scapito di FI, rappresentano per lui un'occasione d'oro.
Lo stesso vale per Di Maio, per diverse ragioni. Perché in questi due mesi di trattative inconcludenti la sua immagine si è non poco logorata; perché andare subito al voto, a legislatura neanche iniziata, gli consente di ripresentarsi candidato premier (altrimenti avrebbe superato il limite di due legislature fissato dallo Statuto M5S), e perché gli consente anche di ripresentare tutti o quasi i suoi parlamentari già eletti, tra cui serpeggia il malcontento per dover lasciare anzitempo le poltrone. E di sventare quindi anche l'insistente campagna acquisti di Berlusconi tra le loro file, che a lungo andare rischierebbe di aprire qualche falla.
Inoltre anche Di Maio conta di pescare voti nell'elettorato altrui, in particolare a sinistra, in quello del PD, ma anche a destra, tra gli elettori "moderati" di FI. Tant'è vero che ha dichiarato che queste elezioni saranno "un ballottaggio tra il M5S e la Lega". Dopo le elezioni, rimosso l'ostacolo Berlusconi, i due ambiziosi ducetti potrebbero più facilmente accordarsi per governare insieme.
Al momento in cui scriviamo Mattarella non ha ancora rivelato la composizione del nuovo governo e il nome del presidente del Consiglio, che nelle sue intenzioni dovrebbe essere una personalità indipendente, autorevole anche a livello internazionale e competente in materia economica. Per adesso solo il PD, per bocca del reggente Martina, ma anche con l'assenso di Renzi, si è detto disponibile a votare il nuovo governo. Anche perché teme come la peste le elezioni, che potrebbero decretare la sua sparizione e Renzi ha interesse a guadagnare tempo. Se le elezioni fossero a luglio, infatti, il nuovo segretario e candidato premier potrebbe anche essere Gentiloni, mentre se fossero in autunno o a febbraio ci sarebbe il tempo per fare le primarie, tramite le quali egli spera di riprendersi il partito.
 

Saltate le regole della democrazia borghese
LeU non ha ancora deciso se voterà o no il governo di Mattarella, tramite un'intervista di Speranza ha fatto sapere che ci sta pensando, e intanto propone al PD un'alleanza elettorale per non essere spazzati via se si voterà a luglio. Berlusconi sarebbe tentato di votarlo, perché anche lui teme le elezioni, ma non può dirlo perché con ciò sarebbe lui a rimangiarsi l'accordo faticosamente raggiunto con Salvini e Meloni e a rompere l'unità del "centro-destra", offrendo un valido pretesto al leader della Lega.
Rimanendo così le cose il governo di Mattarella nascerebbe già morto, perché non avrebbe la fiducia e sarebbe destinato solo a gestire le elezioni a luglio, o al massimo a settembre-ottobre. Salvo qualche colpo di scena in extremis se Salvini e Di Maio, che continuano a trattare fitto tra loro e a fare pressioni su Berlusconi, riuscissero a convincerlo a fare il famoso "passo di lato" e consentire la nascita del governo M5S-Lega con l'appoggio "esterno" di FI e FdI. Oppure se viceversa Salvini si lasciasse convincere da Berlusconi a rinviare la data delle elezioni all'autunno, come i suoi stanno già chiedendo, per cui il governo di Mattarella potrebbe avere vita più lunga.
Non ci sarebbe da meravigliarsi, perché se c'è una cosa che questa crisi ha messo in evidenza è che sono saltate tutte le regole istituzionali della democrazia borghese, con i leader delle varie fazioni borghesi che hanno intessuto trattative dirette e dietro le quinte tra di loro, facendo e disfacendo alleanze e affondando i tentativi del Quirinale e perfino dei loro stessi partiti (vedi il PD) attraverso dichiarazioni ai media. Al punto da arrivare a fissare essi stessi la data delle elezioni, come hanno fatto Di Maio e Salvini scavalcando ogni prassi costituzionale e lo stesso capo dello Stato.
Il "capo politico" del M5S è arrivato addirittura a minacciare che, se restasse fuori dal governo, "una forza come la nostra, votata da 11 milioni di persone, si allontani dalla democrazia rappresentativa". Mentre Salvini aveva già minacciato a sua volta, con la stessa giustificazione, una marcia leghista su Roma.
In altre parole si comportano come se fossimo già in quella “terza repubblica” che l'ambizioso imbroglione Di Maio invoca ormai ad ogni piè sospinto, e che altro non è che la seconda repubblica neofascista, presidenzialista e interventista della P2, di Craxi, Berlusconi e Renzi, in cui il Paese è immerso già da tempo.
Qualsiasi sia l'esito dell'attuale lunga e ingarbugliata crisi di governo, per il proletariato si tratta comunque di stare all'opposizione del capitalismo, dei suoi governi borghesi e di questo sistema economico, politico istituzionale che difende solo gli interessi del capitale contro le lavoratrici e i lavoratori, abbandonare ogni illusione parlamentarista e riformista e contare unicamente sulla lotta di classe per difendere i suoi interessi immediati e a lungo termine con l'obiettivo ultimo di conquistare il potere politico e l'Italia unita, rossa e socialista.
 

9 maggio 2018