Il contratto non cambia da sinistra l'Italia. “La terza repubblica dei cittadini” è solo uno slogan ingannatorio
Mattarella dà via libera al governo nero Di Maio-Salvini
Antifascisti uniamoci per buttarlo giù

Giuseppe Conte, di formazione cattolico-democratica, avvocato di un grande studio romano, professore di Diritto privato all'università di Firenze e docente all'università della Confindustria Luiss di Roma, membro della Commissione cultura di Confindustria e amico personale del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, è il presidente del Consiglio incaricato da Mattarella per formare il governo Lega-Movimento 5 Stelle.
L'accordo sul nome di Conte, fatto da Di Maio e Salvini al capo dello Stato, è arrivato dopo quello sul "contratto di governo" in 30 punti, quando alla fine il "capo politico" del M5S ha ceduto al veto del caporione leghista rinunciando definitivamente a salire egli stesso a Palazzo Chigi, ripiegando sulla carta di riserva del ministro della Pubblica Amministrazione del suo "governo ombra" presentato in campagna elettorale.
Mattarella si era preso però una pausa di riflessione di oltre un giorno prima di decidere se affidare a lui l'incarico, forse perché preoccupato delle voci di taroccamenti rilevati nel curriculum del professore, ma anche per non dare l'impressione di cedere troppo docilmente al metodo irrituale e anticostituzionale con cui i due leader gli hanno presentato un pacchetto preconfezionato contenente il premier e addirittura la lista dei ministri, scavalcando così i poteri che spettano al suo ruolo istituzionale e costituzionale. Inoltre a Mattarella non piaceva il nome scelto dalla Lega per il ministero dell'Economia, Paolo Savona, per le sue posizioni apertamente euroscettiche, e intende esercitare fino in fondo il suo ruolo di guardiano dei trattati internazionali nei confronti dei programmi dei due alleati.
A dispetto delle dichiarazioni di Di Maio che il premier scelto sarebbe stato "un premier politico", e un "amico del popolo", Conte si presenta in tutta evidenza come un tecnocrate senza nessuna esperienza politica alle spalle, e non certo di estrazione popolare, bensì elitaria e borghese. E il suo ruolo appare essere più che altro quello di "esecutore" delle direttive dei due leader che lo hanno designato, i quali hanno già prenotato i posti di vicepremier da cui lo marcheranno stretto vigilando sull'attuazione del programma tra loro concordato che il premier designato potrà solo eseguire a scatola chiusa.
 

Il contratto è il programma della Lega
In cosa consiste allora questo "contratto per il governo del cambiamento"? A ben guardare e nella sostanza esso non è altro che il programma elettorale della Lega fascista, razzista e xenofoba, e che durante l'interminabile ed estenuante trattativa il M5S ha ingoiato un pezzo dopo l'altro sperando come contropartita di portare l'ambizioso Di Maio a Palazzo Chigi, accontentandosi per il resto di portare a casa solo il reddito di cittadinanza, peraltro limitato a due anni e a partire dal 2020, e poche altre rivendicazioni puramente formali e di bandiera, come i capitoli sull'acqua pubblica, la green economy, la lotta alla corruzione e il taglio ai costi della politica, solo per tenere buoni i suoi militanti ed elettori.
Da parte sua Salvini ha condotto con molta abilità il gioco, sbarrando la strada a Di Maio e rialzando continuamente il prezzo dell'accordo con minacce di far saltare il banco, per stoppare o annacquare tutte le rivendicazioni del M5S che potessero dar fastidio alla Lega, al suo elettorato di riferimento e anche al suo amico Berlusconi, nonché per fare il pieno di dicasteri di peso e decisivi in campagna elettorale, a cominciare dall'Interno, prenotato dallo stesso Salvini, e a quello fondamentale dell'economia.
In questo modo la Lega ha imposto e ottenuto tutto quel che più gli premeva, dalla flat tax dal costo di ben 56 miliardi e il relativo condono fiscale, che premiano sfacciatamente i ricchi e gli evasori, e segnatamente la borghesia del Nord, all'estensione della legge sulla legittima difesa domiciliare, ovvero la licenza di sparare a chiunque e per qualunque motivo violi una proprietà privata, come negli Usa di Trump; l'istituzione in tutte le regioni di centri di detenzione per 500 mila migranti "irregolari" in attesa di espulsione e la chiusura dei campi Rom; l'aumento delle forze di polizia e relativo armamento e gli sgomberi immediati delle case occupate; l'inasprimento delle pene e la riduzione delle garanzie giuridiche, anche per i minori, e la costruzione di altre carceri; misure federaliste sotto forma di rafforzamento del regionalismo e il monopolio della Lega sui suoi feudi tradizionali dell'agricoltura e del turismo, e altro ancora.
 

I molti passi indietro del M5S
Da parte sua il M5S ha accettato anche di fare tutta una serie di passi indietro rimangiandosi molti punti qualificanti del suo programma, e sui quali era riuscito a carpire il voto degli elettori democratici e di sinistra che altrimenti sarebbero andati ad ingrossare l'astensionismo. Ci riferiamo al conflitto di interessi, il cui capitolo si limita a qualche dichiarazione di principio, del tutto generica e senza alcun riferimento a Berlusconi. All'allungamento dei termini della prescrizione, che i Cinquestelle volevano si fermasse all'inizio del processo mentre ora si chiede solo una sua "efficace riforma", senza meglio specificare. Anche sulla lotta alle mafie non c'è nulla, salvo implementare il sequestro dei beni. Sulle telecomunicazioni ci si ferma ad annunciare la fine della lottizzazione partitica alla Rai, senza il minimo accenno all'impero mediatico di Berlusconi, con la rinuncia del M5S anche alla sua vecchia proposta di mettere un tetto alla raccolta pubblicitaria che spaventava Mediaset.
Per quanto riguarda lo stop alle grandi opere infrastrutturali, come Tav, Tap, Mose, il terzo valico, le autostrade pedemontane care agli amministratori e ai grandi elettori della Lega ecc., il M5S ha fatto dietro-front e ha accettato di rinviare ogni decisione in sede di Comitato di conciliazione. Di Maio si è rimangiato persino la sospensione dei lavori della Tav, battaglia storica del movimento e dopo averla proclamata con grande enfasi anche ad inizio di trattativa, per cui adesso il contratto si limita ad annunciare che della Tav occorrerà "ridiscuterne" con la Francia. Quanto alla sorte dell'Iva di Taranto, nel contratto è destinata alla "riconversione" ma "mantenendo i livelli occupazionali": il che può voler dire o la chiusura o la svendita dell'impianto siderurgico più grande d'Europa, dato che solo la sua nazionalizzazione, di cui nel contratto non si parla affatto, potrebbe garantire le due cose insieme.
Nel capitolo lavoro non c'è un impegno ad abolire finalmente il precariato, anzi è svanita nel nulla l'abolizione del Jobs Act, come anche il ripristino dell'articolo 18. In compenso ricompaiono i voucher, e non c'è neanche un accenno ai morti sul lavoro che sono ormai un'emergenza nazionale. Non c'è uno straccio di piano per l'occupazione, e oltretutto non c'è niente nemmeno per il Sud, dove pure il M5S aveva fatto il pieno di voti seminando speranze e illusioni nelle popolazioni abbandonate e truffate da tutti i partiti del regime neofascista.
Solo all'ultimo momento Di Maio e i suoi "sherpa", subissati dalle critiche della base per tale "dimenticanza", si sono decisi a far inserire un capitolino (il 25) sul Sud: ma solo per dire che non occorreva "individuare specifiche misure con il marchio 'Mezzogiorno'", perché tanto "tutte le scelte politiche previste dal presente contratto" erano finalizzate allo "sviluppo omogeneo" del Paese. E più in generale in tutto questo contratto di governo non c'è la minima critica al sistema capitalistico, che evidentemente si dà per scontato ed inamovibile.
 

I punti in comune tra Salvini e Di Maio
Tutto questo dovrebbe far riflettere attentamente gli elettori di sinistra, e in particolare gli elettori del Sud, che sono caduti nella trappola del "cambiamento" promesso dal M5S di Grillo e Casaleggio e hanno dato ascolto allo slogan ingannatorio della "terza repubblica dei cittadini" che l'imbroglione Luigi Di Maio va proclamando ad ogni pie' sospinto. E conferma che solo la lotta per il socialismo e per il potere al proletariato può cambiare da sinistra l'Italia, non certo il "contratto di governo" con i fascisti e i razzisti firmato dai dirigenti pentastellati.
E non ci vengano a raccontare che il contratto è stato legittimato dal 90% degli iscritti al movimento, in quella votazione farsa con la quale, nell'arco di solo 10 ore, gli iscritti avrebbero dovuto leggersi le 58 pagine del documento e votarlo! E per di più sulla piattaforma on line, gestita da Casaleggio, praticamente sempre intasata e inaccessibile, come provano le centinaia di post di protesta sul "Blog delle stelle".
Ci sono altri punti del programma sui quali Salvini e Di Maio sono andati invece d'amore e d'accordo senza bisogno di grandi mercanteggiamenti, come per esempio l'istituzione del “Comitato di conciliazione”, un organismo parallelo al governo composto da premier, segretari dei due partiti e rispettivi capigruppo parlamentari, che presenta evidenti profili di incostituzionalità e che qualcuno ha paragonato al Gran Consiglio del fascismo.
Nessun attrito tra i due neanche sulla politica estera e della difesa, con la conferma dell'Alleanza atlantica e del rapporto "privilegiato" con gli Usa, ma anche con l'apertura alla Russia di Putin, da considerare non una minaccia ma un partner economico, tanto da chiedere il ritiro delle sanzioni e considerarlo "interlocutore strategico" per risolvere le crisi regionali in Siria, Libia e Yemen. Stessa visione comune anche sul considerare le minacce provenienti semmai dal sud del Mediterraneo e dal terrorismo (Stato islamico e altre organizzazioni islamiche antimperialiste), così come sul potenziamento delle forze armate e la "tutela" del personale militare e della nostra industria bellica, mentre non c'è nessun accenno agli F-35, a rivedere il modello di difesa interventista dei precedenti governi, né a cancellare le missioni di guerra internazionali, ma solo a "rivalutare la nostra presenza" nelle stesse.
Sull'Unione europea i due ducetti hanno fatto diversi passi indietro rispetto ai bellicosi proclami iniziali, costretti anche dai paletti imposti loro da Mattarella e dai minacciosi avvertimenti provenienti dai mercati, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale, nonché da qualche cancelleria d'oltralpe. Non si parla più di uscita dall'euro, né di rinegoziare il debito italiano in mano alla Bce, nè di uscire dal fiscal compact. Ma solo di "adeguamento delle regole di bilancio", di tornare allo "spirito originario" di Maastricht del 1992, di aumentare i poteri del parlamento europeo e diminuire quelli della Commissione, e così via.
 

I due ducetti si blindano al potere
Di Maio e Salvini vanno naturalmente a braccetto anche sulla Fornero, dove hanno deciso di comune accordo di lasciar perdere la sua "abolizione" che avevano strombazzato in campagna elettorale limitandosi a stabilire la quota 100 per andare in pensione (64 anni di età e 36 di contributi, oppure 41 anni di contributi senza soglia di età), e la proroga dell'"opzione donna", ma con trattamento interamente contributivo. Stessa identità di vedute anche sulle riforme istituzionali, dal dimezzamento dei parlamentari, "senza intaccare il principio di rappresentanza" (sic), al vincolo di mandato per i parlamentari, in linea di principio condivisibile ma nella fattispecie inaccettabile perché ha lo scopo di trasformarli in marionette al servizio di poteri occulti.
Inoltre Di Maio e Salvini si sono assegnati non solo i ruoli di vicepremier per controllare direttamente l'operato del governo, tenuto conto che disporranno anche dell'anticostituzionale Consiglio di conciliazione per controllare sia il premier che i gruppi parlamentari, ma si sono assegnati anche due ministeri chiave: Di Maio quelli accorpati dello Sviluppo economico e del Lavoro, e Salvini quello strategico dell'Interno, che gli dà mano libera contro i migranti, i Rom e le comunità islamiche, ma sarà anche decisivo in caso di elezioni anticipate, visto che le gestirebbe lui di prima mano.
Questo governo si presenta dunque come un governo nero da tutti i punti di vista, a maggior ragione se imbarcherà in qualche forma anche i fascisti di FdI, e non a caso è stato salutato entusiasticamente da due caporioni fascisti, di cui uno di caratura internazionale come la leader del Rassemblement National francese, Marine Le Pen, twittando che la Lega al governo apre "prospettive strabilianti", e come il capo di Casapaund, Simone Di Stefano, secondo il quale "il governo Lega-5stelle ha grandi potenzialità". Quello che preoccupa Mattarella, però, non sono tanto la sua composizione e il suo programma fascisti e razzisti, sui quali non risulta che abbia avuto nulla da eccepire, ma unicamente la sua compatibilità con le regole ferree della finanza internazionale e della Ue, nonché con la Nato e la collocazione occidentale dell'Italia.
Perciò Mattarella si assume una grave responsabilità a dare via libera al governo nero Salvini-Di Maio, avallando oltretutto gli evidenti strappi costituzionali che hanno contrassegnato la sua formazione. Tocca allora agli antifascisti farsi sentire e unirsi per fare fronte ai fascisti e razzisti e lottare per buttare giù il governo Lega-M5S che li sta portando al potere.

23 maggio 2018