Caro Ginzberg, Marx non sta “sul comodino di Berlinguer”, ma vive nel PMLI e in coloro che vogliono abbattere il capitalismo e conquistare con la rivoluzione il socialismo

Nell’ambito del Bicentenario della nascita di Marx ha voluto dire la sua anche lo storico e giornalista borghese Siegmund Ginzberg, per anni inviato in Cina per “l’Unità”. Lo ha fatto in un pezzo apparso su “la Repubblica” del 4 maggio, di cui è collaboratore, dal titolo “Il Marx campione di libertà sul comodino di Berlinguer”.
Costui, dall’alto della sua spocchia borghese e anticomunista, si mostra infastidito del successo che sta avendo la proiezione del film “Il giovane Karl Marx” nelle sale del nostro Paese, di cui mette in evidenza “la quasi insopportabile arroganza di quel nipote di rabbini che è sicuro di essere nel giusto e non ha tempo da perdere con le ragioni degli altri”, così come “Sono mesi che al Bridge di Londra replicano con tutto esaurito una pièce teatrale sulla sua difficile vita nella città dove scrisse Il Capitale”, che “Anche il Finacial Times è tornato sull’argomento con un saggio impegnativo”. Del resto, continua Ginzberg, “C’è chi è infastidito che si riparli di Marx”, lui per primo. “È comprensibile. Gran parte del secolo scorso è stato segnato da un esperimento fallito, il cosiddetto ‘socialismo reale’. L’avevano pietrificato, ridotto a monumento senz’anima. Si erano ricostituiti gli antichi imperi dispotici, con nuovi zar, sultani e imperatori. La chiamavano ‘dittatura del proletariato’. Ma Marx con questa espressione intendeva cose come il suffragio universale, la sovranità popolare, il governo della larga maggioranza. In realtà il giovane Marx fu una delle vittime di quei sistemi”. Addirittura i “Manoscritti economici-filosofici del 1844” gli “ricordano un po’ i Quaderni dal carcere di Gramsci” (sic!), testi “difficili che grondano però di idee forti che fanno a pugni con la percezione che è rimasta del comunismo: umanità, libertà, rispetto della natura e del prossimo, dignità dei produttori ‘in quanto esseri umani’, lavoro concepito come ‘libera manifestazione della vita, quindi godimento della vita”.
Eh no, caro Ginzberg, Marx era un rivoluzionario che andò ben oltre le tue dichiarazioni riprese dalla rivoluzione francese fino ad oggi e alla base della putrefacente democrazia borghese, che nell’opera “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, scritta oltre 60 anni dopo, definisce la rivoluzione la “locomotiva della storia” e usa per la prima volta il termine “dittatura del proletariato” quale sinonimo di potere politico in mano al proletariato.
Ginzberg chiude con un aneddoto: “Ero corrispondente a Pechino quando nell’estate del 1983 venne in visita Enrico Berlinguer. Sul suo comodino c’era una copia delle Opere filosofiche giovanili. Mi sono chiesto spesso cosa l’avesse spinto a portarsi in viaggio una lettura così impegnativa, anziché un romanzo. Ho una sola certezza: che era interessato al Marx campione di tutte le libertà, tranne la libertà di sfruttare altri uomini. Gli serviva anche per respingere il tipo di marxismo imposto dai comunismi totalitari”.
Caro Ginzberg, al di là del fatto che nell’83 in Cina Deng aveva già assestato duri colpi al socialismo instaurando quel capitalismo a te tanto caro, Marx non sta “sul comodino di Berlinguer”, ma vive nel PMLI e in coloro che vogliono abbattere il capitalismo e conquistare con la rivoluzione il socialismo e il potere politico. Tirarlo da destra per gratificare la democrazia borghese e il capitalismo è tanto inutile quanto meschino.

30 maggio 2018