Dopo l'omicidio del giovane bracciante maliano Soumaila Sacko, ucciso a fucilate
In piazza i migranti della Piana di Gioia Tauro: “Siamo trattati come bestie”
In tendopoli trattati come bestie. Sfruttati nei campi per due soldi. Una lunga scia di sangue senza fine

Ammazzato come un cane perché bracciante, nel giorno della festa della Repubblica "fondata sul lavoro". E ammazzato perché migrante e con la pelle nera, nel giorno in cui il fascista e razzista Salvini dichiarava aperta la caccia ai migranti proclamando che per loro "la pacchia è finita": così è morto il 2 giugno scorso Soumaila Sacko, 29 anni originario del Mali, una compagna e una figlia di 5 anni rimaste ad attenderlo nel suo Paese, bracciante e sindacalista dell'Usb con regolare permesso di soggiorno, abbattuto da una fucilata a pallettoni alla testa sparata da 60 metri da uno sconosciuto sceso da una Panda bianca mentre con due suoi compagni rovistava in una fornace abbandonata nella campagna intorno a San Calogero, in provincia di Vibo Valentia. Erano alla ricerca di lamiere per costruire una baracca nella tendopoli di San Ferdinando, alla periferia industriale di Gioia Tauro, dove in centinaia i migranti vivono ammassati come bestie per lavorare come schiavi alla raccolta dei pomodori e della frutta per 50 centesimi a cassetta o 25 euro al giorno.
"Soumaila non doveva neanche essere lì", ha raccontato ancora scosso Madiheri Drame, 30 anni, rimasto ferito ad una gamba, anche lui del Mali come l'altro suo compagno, il 27 enne Fofana Madoufoune, rimasto illeso solo per miracolo. "Aveva già un alloggio nella nuova tendopoli. Ma ci sapeva fare con le costruzioni. Siamo tutti maliani, ci si dà una mano tra connazionali. Non volevamo rubare nulla a nessuno. Quella fabbrica, ci hanno detto, era abbandonata, per questo siamo andati lì". Quella vecchia fabbrica di mattoni, infatti, era chiusa e in rovina da anni perché posta sotto sequestro dalla magistratura come deposito clandestino di rifiuti pericolosi e tossici, 13 mila tonnellate sepolte dalla 'ndrangheta in quel terreno sulla strada tra Rosarno e Nicotera.
Una precisazione, quella del compagno di Soumaila, fatta anche per rispondere a quanti, a caldo, approfittando delle prime dichiarazioni degli inquirenti che escludevano frettolosamente il movente razzista, avevano insinuato che i tre fossero stati presi a fucilate perché sorpresi a rubare, quasi si trattasse di un caso di "eccesso di legittima difesa". L'articolo del Corriere della Sera del 4 giugno, per esempio, suggerendo nel titolo la pista della "vendetta", ipotizzava che i tre stessero cercando metalli e rame anche "per eventualmente piazzarli al mercato nero". Come dire che se l'erano andata a cercare.

Un assassinio maturato in un contesto politico
Drame ha raccontato che erano al lavoro da circa un'ora quando avevano sentito la Panda arrivare, ma non ci avevano fatto caso: "Con Soumaila eravamo sul tetto e abbiamo sentito un proiettile passarci vicino. Inizialmente non abbiamo capito, poi ci siamo resi conto che qualcuno ci stava sparando addosso". Mentre scendevano di corsa dal tetto il cecchino ha preso di mira Fofana, che si è salvato solo perché protetto dalle lamiere che portava sulla schiena. "Quando si è reso conto di non poterlo colpire, quell’uomo ha ricominciato a sparare contro di noi. Soumaila è stato colpito alla testa. L’ho visto cadere, poi ho sentito un dolore fortissimo alla gamba", ha aggiunto Drame: "Volevo aiutarlo, andare a chiamare aiuto, ma quell’uomo continuava a sparare".
Non c'è dubbio quindi che si sia trattato di una deliberata volontà di uccidere, e che solo per caso il killer non è riuscito a compiere una vera e propria strage: non c'è rabbia o momento di follia che possa spiegare una così fredda quanto spietata esecuzione da parte dell'aggressore. Il quale poi è fuggito, ma la testimonianza dei due sopravvissuti, che lo avevano visto in faccia e ricordavano anche le prime due lettere della targa, hanno permesso agli inquirenti di identificarlo e indagarlo per omicidio volontario. Si tratta di Antonio Pontoriero, 42 anni, proprietario di terreni nella zona e di un negozio di laterizi, descritto come una "testa calda" e già fattosi notare per questo in passato dalla polizia. Uno zio dell'indagato, Francesco Pontoriero, era stato socio della fornace prima che fosse sequestrata, ed è imparentato con il potente clan dei Mancuso che spadroneggia nella piana di Gioia Tauro.
Soumaila era un bracciante, ma anche un sindacalista che si batteva per i diritti dei suoi compagni ed era sempre pronto ad aiutarli, anche personalmente, ricordano di lui, e la sua morte non può non essere collegata con il clima di odio razzista e xenofobo che proprio in questi giorni, col nuovo governo fascista e razzista Salvini-Di Maio, si cerca di attizzare al massimo nel Paese: "Sacko è stato assassinato in un contesto politico. Un ministro della Repubblica ha dichiarato in questi giorni che è finita la pacchia", ha gridato forte Abobakar Soumaoro, sindacalista in testa al corteo di migranti che il 4 giugno è partito dalla tendopoli di San Ferdinando e si è diretto al municipio sfilando per 5 km, dopo la proclamazione di uno sciopero di tutti i braccianti della Calabria e della Puglia e di un'assemblea indetti dall'Usb. Tanta la rabbia trattenuta a stento dalle autorità con rassicurazioni e promesse che i colpevoli sarebbero stati puniti. I manifestanti innalzavano cartelli con la foto del giovane assassinato, e scritte come "ci ammazzano come animali. Basta uccidere gli africani", e "Salvini razzista". Alle autorità presenti i manifestanti hanno chiesto un incontro urgente con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio.

Il vergognoso silenzio di Salvini, Di Maio e Conte
A proposito di Salvini e Di Maio, nessuno dei due ducetti sulla cresta dell'onda ha sentito il bisogno dire almeno una parola sull'odioso assassinio razzista di Sacko e sulle vergognose condizioni di schiavitù e di degrado in cui sono costretti a vivere i migranti braccianti e che la vicenda ha riportato all'attenzione del Paese. Idem per quanto riguarda anche il presidente del Consiglio, Conte. Un silenzio assordante, quello del governo nero Lega-M5S, che la dice lunga sulla sua matrice fascista e razzista.
Un silenzio che peserà per sempre come un marchio d'infamia, e non basterà certo a farlo dimenticare il frettoloso piantino di coccodrillo fatto da Conte nel suo discorso alle Camere sulla "tragica e inquietante vicenda occorsa a Sacko", e solo per cercare di rimediare a posteriori alla giusta indignazione pubblica per la vergognosa indifferenza del governo. Il fatto stesso che Conte abbia sentito il bisogno di proclamare con enfasi davanti al parlamento che "noi non siamo razzisti", lungi dal suonare come una rassicurazione mostra solo la coda di paglia del suo governo nero.
Occorrono sempre morti tragiche come quella di Sacko, o quella della sua amica nigeriana Becky Moses, 26 anni, bruciata viva lo scorso 18 gennaio nell'incendio della stessa baraccopoli di San Ferdinando, o quella di Abdullah Mohammed, bracciante sudanese morto di fatica in un campo di pomodori a Nordò nel luglio 2015, per accorgersi delle condizioni "al di sotto della soglia della dignità" (parole di Conte) in cui vivono i lavoratori migranti?
Sono ormai mezzo milione, secondo la Cgil, per la stragrande maggioranza stranieri, i braccianti che lavorano sotto caporalato in un'ottantina di distretti agricoli dal Nord al Sud del Paese, che si spostano da una regione all'altra secondo il ritmo delle stagioni e delle raccolte, dai pomodori all'uva, dalle olive alle arance, per una paga di pochi euro l'ora e con turni di lavoro massacranti di 10 e anche 12 ore al giorno, costretti a vivere ammassati come bestie in alloggi fatiscenti e senza servizi, quando non in baraccopoli e tendopoli improvvisate prive di acqua e degli altri servizi essenziali, come quella della piana di Gioia Tauro.
Eppure i braccianti avrebbero diritto per contratto a vitto e alloggio dignitosi, ma a Gioa Tauro l'80% lavora senza un contratto regolare, sebbene, secondo un rapporto di Medici per i diritti umani (Medu), che nella piana ha un presidio fisso, il 79,4% abbia un regolare permesso di soggiorno. Né la Regione, governata dal 2014 dal PD Oliverio, né la Prefettura, agli ordini prima di Minniti e ora di Salvini, hanno mai mosso un dito per sanare questa vergognosa situazione di schiavitù e di condizioni di vita inumane, a parte impiantare una tendopoli con acqua e qualche servizio a fianco della baraccopoli spontanea, capace solo di ospitare qualche centinaio di lavoratori a fronte delle migliaia che affluiscono nella piana nel pieno delle stagioni dei raccolti.
Il 7 giugno, su iniziativa dell'Usb, 5.000 persone hanno sfilato per le strade di Milano per dire no al razzismo e per ricordare Soumaila, con in testa uno striscione che insieme al sindacalista maliano ricordava anche Abd Elsalam, lavoratore della logistica ucciso a Piacenza durante un picchetto. Il 6 e 7 giugno i lavoratori della Logistica aderenti all'Usb hanno organizzato presidi davanti alle Prefetture per rivendicare giustizia per Soumaila Sacko e contro il caporalato e il lavoro nero.
 
 

13 giugno 2018