Verso il XVIII Congresso della Cgil
Punti di accordo e punti di disaccordo del documento congressuale del Sindacatounaltracosa
Prepariamoci ai congressi di base che inizieranno il 20 giugno

Il percorso del XVIII congresso della Cgil, che si concluderà a Gennaio 2019, è iniziato. Susanna Camusso e il gruppo dirigente hanno auspicato fin da subito che per l'occasione vi fosse un documento unitario. E ad un certo punto è sembrato che ciò potesse avvenire visto che le cosiddette “aree programmatiche” più consistenti che si autodefiniscono la sinistra sindacale della Cgil non hanno presentato documenti alternativi. Lavoro e società vi ha rinunciato subito mentre Democrazia e Lavoro lo ha fatto in un secondo momento, ripiegando sulla presentazione di qualche emendamento.

Il bilancio della gestione Camusso
Una conseguenza logica di quanto era stato scritto negli interventi e nei “contributi” da essi elaborati in vista del congresso. Entrambe hanno posto l'attenzione sull'abolizione della Legge Fornero, la cancellazione del Jobs Act, la lotta al precariato, la difesa del Contratto Nazionale di Lavoro, la critica al welfare aziendale, i temi che sono nel mirino di tutti coloro che da sinistra si pongono critici verso il gruppo dirigente del sindacato. In conclusione però tutte e due le aree giudicano positivamente la linea tenuta dalla Cgil dall'ultimo congresso a oggi tanto che Lavoro e società si è spinta a titolare un capitolo di un suo documento: “continuare sulla linea di questi ultimi anni”.
Comportamenti opportunistici votati più alla convenienza e alla spartizione del potere che alla battaglia per contrastare la destra della Cgil, mascherati dietro la facciata di rappresentare meglio gli interessi dei lavoratori aderendo al documento della maggioranza anziché opponendovisi apertamente. Il risultato è stato quello di assottigliare la sinistra sindacale che adesso risulta fortemente minoritaria.
Sindacatounaltracosa, pur consapevole di questi rapporti di forza sfavorevoli, ha ritenuto che ci fossero tutte le condizioni per proporre un documento alternativo a “Lavoro è”, la cui prima firmataria è Susanna Camusso ed è sostenuto dalla maggioranza, che non solo ripropone la politica cogestionaria e la collaborazione con i padroni, ma spinge per un sindacato unificato di regime con Cisl e Uil, istituzionale e neocorporativo. Riteniamo quindi positivo e condizione indispensabile partire con un bilancio critico della linea tenuta dalla Cgil dall'ultimo congresso (2014) a oggi.
Non possiamo difatti accettare il bilancio che ne fa la Camusso, sostanzialmente auto assolutorio, che rivendica lo smarcamento da Renzi e dal PD, e assegna alla Cgil il ruolo di alfiere della difesa di salari, pensioni e di lotta al precariato. Una rappresentazione che non corrisponde alla realtà. Come denuncia il documento della mozione 2 “Riconquistiamo tutto” la Cgil ha invece tentato di “gestire la crisi cercando il compromesso con imprese e governo”, ed è stata “una linea fallimentare”.
Opposizione discontinua e poco convincente contro la legge Fornero, tanto che la Cgil si è accontentata del blocco dell'età pensionabile per alcune categorie per chiudere la lotta. Rinnovi contrattuali a perdere che non hanno mai recuperato il costo della vita e peggioramento delle condizioni lavorative. Condividiamo altresì le critiche verso l'atteggiamento poco coraggioso tenuto nelle grandi vertenze nazionali (Ilva, Alitalia ecc.). Una politica sindacale sempre sottomessa alle compatibilità delle aziende dove i diritti e gli interessi dei lavoratori vengono in secondo piano.
Il documento esprime critiche alla Carta dei Diritti definita “una legge di iniziativa popolare che recepisce la precarietà e trasferisce la titolarità dei diritti sindacali dai lavoratori/lavoratrici alle organizzazioni”. Osservazioni giuste ma deboli perché oltre a ciò l'aspetto principale, per molti versi anche più grave, è la definitiva accettazione da parte della Cgil, anche sul piano formale e legislativo, del sindacato istituzionale e cogestionario rivendicando l'applicazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione, il riconoscimento giuridico dei sindacati e la “partecipazione” dei lavoratori alla gestione delle aziende.
La premessa si conclude con la “necessità di rompere con l’Europa capitalista, gestita da padroni e banchieri” e l'affermazione che “ogni conquista è il prodotto di lotte di massa in grado di rimettere in discussione un sistema basato sullo sfruttamento capitalistico”. Dichiarazioni anticapitaliste a cui però, vedremo più avanti, seguono strategie ambigue.

I 10 punti del documento Sindacatounaltracosa
Sulla parte rivendicativa sono molti i punti da sottoscrivere. Dieci sono gli obiettivi, i temi messi a fuoco nel documento. Il primo, contratti e salario , chiede aumenti uguali e certi per tutti e la difesa del contratto nazionale. Si rigettano quindi i vincoli legati alla produttività, presenza e flessibilità, l'erogazione di aumenti sotto forma di wefare e benefit aziendali al posto del salario diretto, il salario d'ingresso e le deroghe. Più cautela esprimiamo sulla richiesta di un salario minimo intercategoriale per legge rapportato al salario medio. Un arma a doppio taglio perché può portare allo schiacciamento dei salari verso il basso e a depotenziare la contrattazione nazionale che si dice di voler difendere.
Il secondo capitolo, altra economia possibile è quello che ci trova più discordanti. Il titolo, e poi il contenuto, richiamano a “un altro mondo è possibile”, ovvero allo slogan che fu del movimento no-global che sottintende la possibilità di cambiare la società fermo restando il capitalismo. Si afferma che i governi italiani attuano una politica fiscale a favore dei padroni drenando le risorse dal lavoro al capitale, politiche inserite organicamente in quelle dell'Unione Europea. Perciò “questa Europa non si può riformare” e “l’unica Europa che vogliamo è quella dei lavoratori e delle lavoratrici”. Per il Sindacatounaltracosa l'Unione Europea va quindi contrastata, “per lo stravolgimento di queste politiche e di queste istituzioni”. Un analisi che lascia aperta la possibilità di avere una UE diversa. Noi invece siamo contro l'UE per principio, in quanto alleanza imperialista e capitalista, che non può cambiare natura, nemmeno se nei Paesi aderenti governasse la “sinistra” borghese, come ha dimostrato Tsipras in Grecia.
Sulle pensioni, a partire dall'abrogazione della legge Fornero le considerazioni, così come le rivendicazioni, sono da sottoscrivere: dal ritorno al sistema retributivo, alla difesa della condizione delle donne. Segnaliamo solo la mancanza della richiesta di una “pensione di garanzia” destinata a chi avrà una carriera lavorativa discontinua. Sottoscriviamo anche il capitolo sull'orario : rilanciare la richiesta di riduzione a parità di salario, il controllo delle prestazioni e la regolazione collettiva delle attività fino alla necessità di “una vertenza generalizzata per contrastare la flessibilità e l'aumento delle disponibilità aziendali, il lavoro domenicale e festivo, i part time involontari”.
Nel quinto capitolo, dignità , si rivendicano l'abrogazione del Jobs Act e il ripristino dell'articolo 18 e degli ammortizzatori sociali, il contrasto fino all'eliminazione della precarietà, del lavoro gratuito, dell'alternanza scuola-lavoro e dei part-time involontari. Una parte è riservata al Sud, per il quale si chiede “un piano straordinario per il Mezzogiorno, con investimenti in grado di attenuare il gap strutturale, di garantire buona occupazione e una vita dignitosa”. Un passo da sottoscrivere che esce dalla logica dell'elemosina di Stato del reddito di cittadinanza ma anche dai “contratti d'area” e “patti territoriali” in passato appoggiati da Cgil-Cisl e Uil atti a favorire le imprese a tutto discapito dei lavoratori.
In salute, sicurezza e ambiente si chiede alla Cgil una mobilitazione radicale, anche alla luce delle vicende più recenti che registrano un aumento delle stragi sul lavoro (Thyssen, Lamina..), ferroviarie (Viareggio, Pioltello..), infortuni, malattie professionali e inquinamento riassumibili nella vicenda dell'Ilva di Taranto ma che sono presenti in molte altre aziende di tutta Italia. I tagli padronali alla sicurezza e quelli governativi ai controlli, la ricattabilità dei lavoratori, l'inesperienza e la mancata formazione di lavoratori che entrano ed escono velocemente dal mondo produttivo, l'allungamento dell'età lavorativa, sono le cause individuate che stanno alla base di queste situazioni, e che vanno combattute.
Il capitolo sette si pone in favore del welfare pubblico e universale e in contrasto con quello contrattuale e privato, favorito dagli stessi sindacati confederali con la sua defiscalizzazione, contrastando “la regionalizzazione (a partire dal SSN) e ogni suo ulteriore rafforzamento, finalizzato a diversificare i diritti sociali tra i territori" come nei recenti referendum in Lombardia e Veneto. Quindi il documento si schiera contro le privatizzazioni richieste dalla BCE e le controriforme governative sulla privatizzazione del servizio sanitario e previdenziale, fino agli interventi di Renzi e Gentiloni (nominati per la prima e unica volta) sul Welfare aziendale.
Nel capitolo otto, occupazione , oltre a ribadire la necessità della riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario si chiede un forte intervento pubblico in favore di politiche industriali di settore, nazionalizzando aziende in crisi ed espropriando proprietà incapaci o criminali come Riva, Rebrab, Alitalia o come le banche fallite negli ultimi anni, senza indennizzo, sotto il controllo dei lavoratori e delle popolazioni interessate, che non vuol dire, puntualizza il documento, “partecipazione...persino finanziaria” che schiaccerebbe i lavoratori sulle esigenze padronali. Da condividere e sostenere con convinzione la richiesta di “un piano che ripubblicizzi il collocamento, con l’abolizione di agenzie private e interinali. Un piano che comprenda un salario di disoccupazione e inoccupazione (per chi ha perso e per chi e in cerca di lavoro)”.
Nove: pace, solidarietà,uguaglianza. Qui ci sono importanti dichiarazioni anche se in buona parte scontate perché lotta al razzismo e al fascismo dovrebbero essere valori fondamentali in cui si riconosce tutta la Cgil. Naturalmente alle parole bisogna far seguire i fatti per cui nel documento si afferma giustamente che “non devono più ripetersi episodi come quelli del ritiro dell’adesione (della Cgil) alla manifestazione di Macerata.” Da sostenere anche la critica alla Cgil per non aver partecipato e sostenuto, nel rispetto della reciproca autonomia, il movimento delle donne “Nonunadimeno”, condividendo lo sciopero generale delle donne l'8 marzo come strumento di lotta.
Sosteniamo la richiesta di diritti per i migranti, l'abolizione della Bossi-Fini e dei provvedimenti Minniti. Più confusionaria l'analisi sulla situazione internazionale. Bastava dire fino in fondo che le guerre sparse in tutto il mondo sono generate dall'aggressione e dalle ingerenze dei vari imperialismi, globali come quello Usa o regionali come quello dei Paesi europei e dell'Italia, compresa la reazione di chi viene attaccato che può rispondere anche con azioni terroristiche in Europa.
Infine nel capitolo 10, democrazia sindacale , si chiede il voto dei lavoratori per ogni piattaforma e accordo sindacale, mentre il Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) “deve essere messo in discussione”. Perché non si esprime chiaramente che va cancellato visto che lo stesso documento dichiara che “bisogna respingere il principio (contenuto nel TUR) che la rappresentanza sia condizionata all'approvazione di un accordo”? Sottoscriviamo invece convinti il passo dove si critica la nomina di dirigenti e funzionari dall'alto e che la loro attività non deve essere “a vita” ma deve essere valutata sui risultati e il consenso, e quindi, aggiungiamo noi, devono poter essere revocati dai loro incarichi in qualsiasi momento.

Sosteniamo il documento “Riprendiamoci tutto”
Tirando le somme possiamo dire che il documento “Riprendiamoci tutto” presentato dal Sindacatounaltracosa sul piano delle rivendicazioni è in larghissima parte condivisibile, esse sono simili, se non uguali, a quelle proposte dal PMLI sul piano sindacale, salvo su un paio di punti, come il salario minimo e sulla democrazia sindacale che noi vorremmo anzitutto nelle mani delle Assemblee generali di tutti i lavoratori.
Discordiamo sull'analisi politica generale. Riteniamo insufficiente la critica all'imperialismo, specie di quello italiano. Si chiede la chiusura di tutte le basi, anche all'estero, ma non il ritiro di tutte le “missioni” militari. Sull'Ue, pur spostando in avanti la critica rispetto al documento presentato dalla stessa area al congresso di quattro anni fa, si lascia ancora aperta la porta e si conta su un suo cambiamento. L'attacco al capitalismo, che pure c'è nel documento, è parziale, non è tanto sul sistema economico in quanto tale, ma solo sulla sua versione neoliberista e sulle politiche da esso esercitate in questo particolare momento di crisi.
Mentre la denuncia dei governi nazionali, a partire da quelli più recenti, è piuttosto blanda, a malapena vengono citati i nomi di alcuni presidenti del Consiglio. E ci si limita soltanto agli aspetti economici e sociali, manca completamente la denuncia dell'instaurazione dell'attuale regime neofascista, presidenzialista, federalista e razzista che si ricongiunge, seppur sotto nuove forme, a quello del ventennio mussoliniano, chiudendo definitivamente con la parentesi della repubblica democratico borghese antifascista.
Sopratutto, rispetto al Sindacatounaltracosa , abbiamo un modello sindacale diverso. Le richieste di maggiore democrazia, di referendum da sottoporre ai lavoratori per ogni decisione che li riguardino, le sacrosante rivendicazioni di salari e pensioni più alte ed eque, di lotta al precariato, di piena occupazione, le facciamo nostre ma la nostra proposta strategica va molto oltre. Occorre costruire dal basso un grande Sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, pensionate e pensionati, che sia in grado di unificare tutti i lavoratori e i pensionati, superando le sigle confederali e quelle “autonome”.
Un sindacato autonomo dai partiti e dalle istituzioni, fondato sulla democrazia diretta e sul protagonismo dei lavoratori, con dirigenti revocabili in qualsiasi momento, libero dalle compatibilità padronali e governative, incardinato sulla difesa degli interessi dei lavoratori occupati, dei precari e disoccupati e dei pensionati. Su questo tema dobbiamo però registrare un passo indietro del Sindacatounaltracosa perché in occasione dell'ultimo congresso aveva abbozzato nel suo documento la necessità di “avviare un processo di organizzazione nuovo” e di nuova rappresentanza sindacale. Riflessioni che stavolta sono del tutto assenti.
Le differenze e i punti di disaccordo con il Sindacatounaltracosa ci sono ma è stato naturale aderire al suo documento “Riprendiamoci tutto” perché esso riunisce la reale sinistra sindacale della Cgil, e non quella che possiamo definire virtuale o ex, come Lavoro e società e Democrazia e Lavoro. Perciò in un ottica di fronte unito contro la destra sosteniamo la mozione alternativa firmata da Eliana Como e altri 5 membri del direttivo nazionale; lo facciamo in maniera leale pur mantenendo la nostra autonomia e le nostre riserve.
Dov'è possibile possiamo anche proporci come relatori della mozione, puntando sulle cose che ci uniscono ma liberi di esprimere la nostra forte impronta anticapitalista. Prepariamoci a fare la nostra parte perché già il 20 giugno inizieranno i congressi di base.

13 giugno 2018