Condono fiscale agli evasori e tagli ai servizi
Def in linea con l'austerità
Padoan apprezza

Il 19 giugno la Camera ha discusso il documento di economia e finanza (Def) trasmesso dal governo Gentiloni al nuovo governo Lega-M5S, discussione che si è conclusa con un intervento finale del ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, e l'approvazione di una risoluzione della maggioranza da allegare come indirizzo politico al documento. Quest'ultimo infatti, come ha spiegato il ministro, contiene solo l'analisi del quadro macroeconomico a legislazione vigente e le previsioni tendenziali per il periodo 2019-2021, mentre il quadro programmatico (cioè la manovra di aggiustamento dei conti pubblici, delle spese programmate e delle relative coperture, ndr), sarà definito dal nuovo governo e trasmesso al parlamento a settembre, per poi essere inviato come nota di aggiornamento al Def alle istituzioni europee in ottobre.
La risoluzione approvata a maggioranza di Lega e Cinquestelle si limita perciò a prendere atto del quadro previsionale tracciato dal vecchio governo e stabilire fondamentalmente due punti: 1) Che saranno disinnescate le clausole di salvaguardia che farebbero scattare dal 1° gennaio l'aumento di 2 punti dell'Iva e le accise sui carburanti, per un costo di circa 12,5 miliardi. 2) Che il governo individuerà "gli interventi prioritari necessari per dare attuazione alle linee programmatiche indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri nelle sue comunicazioni alle Camere e su cui ha ottenuto la fiducia". I quali "interventi prioritari" non sono specificati, ma si suppone che siano il reddito e la pensione di cittadinanza, la revisione della Fornero e la flat tax. Così come non si fa cenno delle necessarie coperture finanziarie, che secondo il "contratto" firmato da Salvini e Di Maio dovrebbero venire, a parte il maxicondono chiamato "pace fiscale", che dovrebbe coprire l'abbattimento delle aliquote alle imprese e alle famiglie più ricche, soprattutto da un cospicuo aumento dell'indebitamento da contrattare in sede Ue.
Però nel suo intervento il ministro Tria non ha lasciato molti margini di manovra su quest'ultimo punto. Al contrario, tutto il suo discorso è stato incentrato nel ribadire nella sostanza il rispetto dei vincoli di bilancio già stabiliti nel Def scritto a quattro mani dal suo predecessore Padoan e dalla Commissione europea.

"Prevenire ogni aggravio per la finanza pubblica"
La crescita tendenziale continua, ma sta rallentando, ha detto infatti il ministro, anche per effetto delle politiche protezionistiche, per cui è prudente confermare il quadro che prevede una decrescita progressiva del Pil dall'attuale1,5% fino all'1,2% nel 2021. Per quanto riguarda l'indebitamento netto della finanza pubblica, il Def prevede un "percorso virtuoso" fissandolo al 2,3% nel 2017, con un calo dello 0,2%, all'1,6% nel 2018, allo 0,8% nel 2019, il pareggio di bilancio nel 2020, e infine un attivo del -0,2% nel 2021. "È un'evoluzione che è bene non mettere a repentaglio - ha sottolineato anche qui Tria - perché il consolidamento di bilancio e una dinamica decrescente del rapporto debito-PIL sono condizioni necessarie per mantenere e rafforzare la fiducia dei mercati finanziari; fiducia che è imprescindibile per la tutela delle nostre finanze pubbliche, dei risparmi degli italiani, nonché per la stabilità della crescita".
E anche se è vero che l'aumento degli interessi sul debito dello stato conseguente alla salita dello spread è "per larga parte" dovuto all'incertezza, ora superata, per la formazione del governo, "è compito e intenzione del Governo agire in modo da prevenire ogni aggravio per la finanza pubblica", ha ammonito Tria. La realtà è che "dopo dieci anni, siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi, a differenza della quasi totalità degli altri Paesi membri dell'area euro", e che "il debito, in rapporto al PIL, è cresciuto meno che in altri Paesi, ma rimane molto alto", ha proseguito.
Insomma, non c'è trippa per gatti, sembra dire Tria rivolto più ai banchi della maggioranza che al resto dell'assemblea. Se questa è la realtà, allora, che cosa resta da fare per il governo? Il suo obiettivo prioritario, per Tria, deve essere quello di "accrescere la competitività del nostro sistema produttivo e la dinamica della produttività". E per raggiungerlo occorre da una parte "attuare le riforme strutturali previste nel programma di governo, dall'altra attivare uno stimolo endogeno di crescita", stimolo che è "rappresentato dal rilancio degli investimenti pubblici".
Più facile a dirsi che a farsi, anche perché il ministro avverte che la "crescita" dell'economia si deve accompagnare con un "un percorso di riduzione del nostro debito e, soprattutto, evitare ulteriore indebitamento volto a finanziare la spesa corrente". E come in questo "sentiero stretto" sia possibile fare le "riforme strutturali" previste nel contratto, cioè quantomeno reddito di cittadinanza, pensioni e flat tax, resta tutto da vedere. Sicuramente non aumentando la spesa pubblica né negoziando con l'Europa un aumento del deficit di bilancio, come vanno da tempo strombazzando i vari Salvini, Di Maio, Siri, Borghi e Bagnai, sembra dire il ministro. Al contrario, "ogni proposta di riforma sarà attentamente articolata in considerazione dei suoi effetti sulla crescita, sull'equità e sulla dinamica di breve e lungo termine delle finanze pubbliche".

"Sembra scritta dal governo Monti"
Solo per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti pubblici, che in ogni caso dovranno avere le necessarie coperture, il ministro è disposto a concedere di contrattare con la Commissione europea un allentamento dei vincoli di deficit, chiedendo anche che essa dia attuazione a quel piano europeo per gli investimenti promesso da tempo e mai avviato. Insomma, il Def prospettato da Tria è tutt'altro che quel "cambiamento" annunciato con grandi fanfare dalla nuova maggioranza, ma piuttosto la riconferma di quello già impostato dal governo Gentiloni ligio alla politica di austerità dettata dalla Ue. Tant'è vero che perfino Stefano Fassina, intervenendo a nome di LeU, e che pure aveva "apprezzato l'intervento del Ministro, concentrato sugli investimenti", ha finito per annunciare voto contrario alla risoluzione del governo perché "sembra scritta dal Governo Monti". E non a caso l'ex ministro Padoan ha fatto sapere di aver molto "apprezzato" l'intervento del suo successore.
Del resto la conferma di questa linea "inflessibile" Tria l'ha fornita pochi giorni dopo, al termine della riunione dei ministri delle Finanze europei dell'Ecofin a Bruxelles, alla presenza del presidente della Bce, Draghi: "I giochi per il 2018 sono fatti. Ci muoveremo su interventi strutturali che non hanno costi", ha detto infatti seccamente il ministro, confermando che sarà rispettato l'impegno preso dal suo predecessore alla riduzione dello 0,3% del deficit.
Dunque, Di Maio è avvertito: per quest'anno niente reddito di cittadinanza né revisione della Fornero, provvedimenti di cui il ducetto ha un disperato bisogno per rilanciare le sorti del M5S, completamente oscurato da Salvini che si è preso tutta la scena politica e mediatica con la sua offensiva razzista. Anche perché a ottobre ci sarà da aspettarsi invece una manovra da una ventina di miliardi, tra quelli necessari per evitare l'aumento dell'Iva e delle accise e per ottemperare all'aggiustamento dei conti pubblici richiesto dalla Commissione europea.

Chi pagherebbe il conto della flat tax?
Per il caporione fascioleghista, invece, i paletti imposti da Tria sono molto meno vincolanti, e non soltanto perché la sua guerra ai migranti, alle ong e ai rom è a costo zero, ma anche la flat tax, che è uno dei principali cavalli di battaglia della Lega, potrebbe eludere almeno in fase di avvio i vincoli di bilancio. Il consigliere economico di Salvini e ideatore della flat tax, Armando Siri, sostiene infatti che i 50 miliardi necessari ad attuarla potranno venire dal maxicondono chiamato "pace fiscale", con una rottamazione di massa delle cartelle esattoriali fino a 100-200 mila euro, pagando da un massimo del 25% ad un minimo del 6% del dovuto. Per gli anni successivi essa si autoalimenterebbe con la crescita indotta, secondo la teoria liberista che l'abbassamento delle tasse ai ricchi favorisce gli investimenti. Un miraggio ben sventolato in campagna elettorale che spiega in gran parte il successo della Lega.
Peccato che di vero in tutto ciò ci sia solo il gigantesco premio agli evasori e la beffa ai contribuenti onesti, perché secondo autorevoli economisti non cointeressati come il pregiudicato per frode fiscale Siri, il gettito prodotto dalla maxirottamazione potrebbe arrivare al massimo a poco più di 10 miliardi in due anni, ben lontano dal coprire il buco di 50 miliardi che si aprirebbe immediatamente nelle finanze pubbliche all'introduzione della flat tax. Quanto alla tesi dell'"autoalimentazione", si tratta di un'assurdità, semplicemente per il fatto che il Pil dovrebbe aumentare a un tasso del 13% per recuperare i mancati introiti fiscali, più di quello della Cina dei suoi anni di maggior sviluppo. Ma intanto la Lega e il suo elettorato di riferimento, la ricca borghesia imprenditoriale, commerciale e agraria del Nord, incasserebbero subito i dividendi della flat tax, mentre il conto lo lascerebbero da pagare ai ceti più poveri, ai lavoratori e al Meridione d'Italia.
 

27 giugno 2018