Interrogativo dell'”Espresso” condiviso da “Il Bolscevico”
Giorgetti gestiva i fondi neri della Lega?

Prosegue l'inchiesta de "L'Espresso" sui 49 milioni di euro di rimborsi elettorali che la Lega ha fatto sparire all'estero e a cui la magistratura sta dando la caccia da quasi un anno. Nel numero del 24 giugno la rivista fa un altro passo avanti nella ricostruzione della rete di società di comodo italiane, facenti capo ad una holding in Lussemburgo e collegate con la Lega, tramite la quale il partito di Salvini potrebbe aver nascosto all'estero il tesoro e di cui si servirebbe per farlo rientrare in Italia sotto forma di fondi neri riciclati in altre attività. E dallo stesso articolo emerge anche il ruolo centrale giocato, nella gestione della finanza occulta del partito, dal potente consigliere di Salvini, appena nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, soprannominato non a caso "il Gianni Letta della Lega".
Proprio dalle rivelazioni di un articolo del settimanale pubblicato nel novembre 2015, che cercava di ricostruire una serie di movimenti finanziari sospetti della Lega, sia nel periodo della segreteria Maroni che della successiva reggenza Salvini, a gennaio di quest'anno è partito il filone d'inchiesta per riciclaggio della magistratura di Genova che si propone di rintracciare il tesoro scomparso. Rivelazioni confermate nello scorso dicembre da uno dei tre revisori della Lega condannati nel luglio 2017 insieme a Bossi e Belsito per la maxitruffa dei rimborsi elettorali che venivano usati per le spese personali della famiglia del vecchio leader.
Come abbiamo infatti ricostruito dettagliatamente nell'articolo sul n. 26/2018 de "Il Bolscevico", quei movimenti erano stati messi in atto subito dopo l'apertura dell'inchiesta per truffa e appropriazione indebita a carico dell'ex tesoriere Francesco Belsito e dello stesso Umberto Bossi, per far sparire all'estero il denaro dei rimborsi elettorali, ammontanti allora a 48 milioni e 970 mila euro, onde evitarne il possibile sequestro da parte degli inquirenti. Tanto che dopo la condanna definitiva degli imputati, quando in effetti i magistrati erano andati a sequestrare i 49 milioni di soldi pubblici, avevano trovato nei conti della Lega solo 3 milioni, gli altri 46 si erano già volatilizzati. Il caporione leghista Salvini quindi ha sempre mentito quando giurava pubblicamente che la Lega ha le casse vuote e che di quei soldi non ha mai visto un euro.

La rete italo-lussemburghese della Lega
Ma almeno alcuni di questi movimenti sembra siano stati ricostruiti. Nel 2016 dieci di questi milioni sono transitati nella banca Sparkasse di Bolzano per andare a finire in un fondo di investimenti con sede in Lussemburgo, il Pharus Management Lux Sa. Nel gennaio 2018 tre di quei milioni rientrarono nella banca altoatesina, i cui dirigenti escludono tassativamente che abbiano a che fare con la Lega. Ma i sospetti che siano parte dei soldi del tesoro occultato nel granducato e riciclati in Italia come fondi neri per la Lega, sono forti.
Ed è su questo punto che l'articolo de "L'Espresso" del 24 giugno aggiunge qualche importante tassello. Secondo il settimanale, infatti, la rete che sta alla base del riciclaggio è costituita da sette piccole Srl italiane controllate da una holding lussemburghese, la Ivad Sarl, anche se il tesoriere della Lega, Centemero, esclude "ogni collegamento diretto o indiretto" col partito. Ma Centemero è poco credibile, perché è anche colui che ha escluso che i 250 mila euro versati alla fondazione Più voci facente capo alla Lega, dal costruttore Luca Parnasi, arrestato per corruzione e traffico di influenze dalla magistratura romana, siano un finanziamento occulto al partito. E questo nonostante che il costruttore, amico personale di Salvini e di Giorgetti, abbia confermato agli inquirenti che quei soldi rappresentavano un finanziamento per la campagna elettorale della Lega.
Secondo "L'Espresso", invece, il collegamento c'è eccome, a partire dal fatto che le sette società sono registrate presso lo studio contabile, in via Angelo Mai a Bergamo, intestato a Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, che oltre ad essere ex compagni di università di Centemero sono anche responsabili amministrativi del gruppo della Lega alla Camera e al Senato. Nello stesso studio ha sede anche l'associazione Più voci.
Anche loro escludono qualsiasi collegamento "diretto e indiretto" tra le sette società e la Lega. Ma dai loro documenti societari emerge che dietro di esse c'è un uomo della lussemburghese Pharus Management, Vito Luciano Mancini, un bocconiano con un passato alla Unicredit e oggi residente nel granducato. Mancini è infatti azionista della Seven Bit di Bergamo, società che attraverso la Seven Fiduciaria detiene il controllo delle sette aziende in questione. E, guarda caso, dal maggio 2013 è anche un manager della Pharus. Non solo, ma nel suo curriculum dichiara di lavorare anche per la Arc Asset Management Sa, un'altra società lussemburghese che figura tra i soci della Seven Bit, proprietaria a sua volta delle sette Srl registrate nello studio dei due commercialisti con alti incarichi nell'organizzazione della Lega.

Il ruolo di Giorgetti nel gestire i fondi neri
Quanto a Giorgetti, vera e propria eminenza grigia di Salvini, da sempre fiduciario del "capo" di turno fin dai tempi di Bossi e Maroni, oltre a richiamare i suoi rapporti stretti con il corruttore Parnasi, al punto da discutere a pranzo con lui e l'altro arrestato, l'avvocato del M5S e presidente dell'Acea Lanzalone, la formazione del governo Lega-Cinquestelle, "L'Espresso" mette in evidenza il suo ruolo ricoperto da sempre nel gestire i rapporti della Lega col mondo degli imprenditori e i loro finanziamenti occulti al partito.
A parlarne per la prima volta fu Belsito cinque anni fa, quando nel carcere di San Vittore in cui era detenuto raccontò ai pm milanesi le confidenze fattegli, al momento del passaggio delle consegne, dal precedente cassiere della Lega, Maurizio Balocchi: "Mi era stato detto da Balocchi che da sempre gli imprenditori portavano denaro in nero al partito. Questi rapporti erano intrattenuti principalmente da Giorgetti", si legge nei verbali della procura da lui firmati in quell'occasione.
Sempre parlando di fatti riferitegli dal suo predecessore, Belsito raccontò anche di un versamento in contanti da Lombardi Cerri, consigliere di Finmeccanica in quota Lega e di un altro versamento da parte di un imprenditore per la costruzione della Marina dell'Aeroporto di Genova. Belsito raccontò anche, come testimone diretto, di incontri tra Giorgetti e imprenditori disposti a finanziare il partito, come un incontro con il costruttore Salini e di cene con l'industriale Cremonini.
Anche le aziende pubbliche erogavano finanziamenti in nero alla Lega attraverso gli amministratori da essa nominati: "Balocchi mi diceva ad esempio che il senatore Fruscio finanziava personalmente Giorgetti", aveva rivelato Belsito. Dario Fruscio, anche lui commercialista e parlamentare della Lega dal 2006 al 2008, è stato in effetti consigliere di aziende pubbliche come Eni e Sviluppo Italia (attuale Invitalia). Peccato che l'archiviazione intervenuta nel frattempo impedisca oggi di verificare queste rivelazioni, anche perché Balocchi intanto è deceduto.
Anche noi condividiamo gli interrogativi de "L'Espresso" e vorremmo sapere fino a che punto Giorgetti è coinvolto nella gestione dei fondi neri della Lega, anche perché come sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha in mano la partita delle centinaia di nomine da rinnovare negli enti pubblici e nelle partecipate, che da sempre, anche senza la conferma di Belsito, sappiamo essere il più grande serbatoio di fondi neri per i partiti borghesi. Inoltre vorremmo che prima di permettersi di tuonare contro i migranti che fanno la "pacchia con i soldi degli italiani", il caporione fascioleghista Salvini restituisse agli italiani i 49 milioni dei rimborsi elettorali usciti dalle loro tasche e andati a ingrassare i fondi neri del suo partito fascista e razzista.
 
 
 
 

11 luglio 2018