Sentenza della Cassazione per recuperare 46 milioni truffati allo Stato
“Sequestrare i conti della Lega ovunque”

I soldi pervenuti su conti riconducibili alla Lega, "ovunque e presso chiunque custoditi", devono essere sequestrati: questo ordina la Corte di cassazione che il 3 luglio ha depositato le motivazioni della sentenza che conferma quella del 4 settembre 2017 che autorizzava il sequestro di tutte le somme che entreranno nelle casse del partito, da quella data e per il futuro, fino al raggiungimento della somma truffata allo Stato. Vale a dire circa 46 dei 48 milioni e 970 mila euro di rimborsi elettorali ingiustamente percepiti negli anni dal 2008 al 2010 tramite bilanci truccati, dato che nei conti della Lega i magistrati hanno trovato solo tre milioni, e il resto è stato fatto sparire durante le gestioni di Maroni e di Salvini. Ora manca solo la decisione del tribunale del Riesame di Genova, affinché la sentenza della Cassazione divenga esecutiva.
Per la ricostruzione della vicenda dei 49 milioni spariti si veda gli articoli specifici pubblicati su questo stesso numero e sul numero precedente de "Il Bolcevico". Aggiungiamo che in questi giorni, alle indagini per il reato di riciclaggio della magistratura di Genova e della polizia tributaria guidate dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dalla pm Paola Calleri, stanno collaborando due funzionari dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, gli stessi che nel 2013 fecero esplodere lo scandalo Carige. Sono specializzati nella decrittazione di movimenti bancari complessi su conti di appoggio in Italia e all'estero, proprio nel tentativo di rintracciare il tesoro che la Lega potrebbe aver occultato in circa un centinaio di conti distribuiti in una quarantina di banche, tramite un giro vorticoso di bonifici, prelievi e trasferimenti che coinvolgono anche società di comodo con sedi in Italia e in Lussemburgo.
Secondo il revisore contabile Stefano Aldovisi, condannato insieme ad altri due revisori e a Bossi e Belsito per la maxitruffa dei rimborsi gonfiati, a fine 2011 nel bilancio del Carroccio c'erano quasi 47 milioni e 800 mila euro, dei quali 20,3 in titoli e 12,8 in liquidità. Lo ha dichiarato in un esposto ai giudici genovesi chiedendo di indagare sui flussi che nei 6 anni successivi hanno portato al prosciugamento delle casse dl partito, facendo anche riferimento ad un'inchiesta de "L'Espresso" in cui si parla di 19,8 milioni di euro trasferiti dai conti di due banche, la Unicredit di Vicenza e la sede milanese della banca Aletti, "per essere messi in sicurezza".
Al vaglio dei magistrati e dei funzionari di Bankitalia ci sono anche i documenti sequestrati a giugno nella Sparkasse di Bolzano, da dove nel 2016 partì un trasferimento di 10 milioni ad una società in Lussemburgo, 3 dei quali ritornarono alla banca bolzanina nel gennaio 2018, soldi che gli inquirenti sospettano facciano parte del famoso tesoro nascosto della Lega.

Salvini e Maroni hanno nascosto i 46 milioni
Il 4 luglio il quotidiano "La Repubblica" ha pubblicato una tabella contabile, estratta da un dossier facente parte delle memorie difensive di Bossi e Belsito, dalla quale si evince che Maroni e Salvini, durante le loro rispettive segreterie, presero in carico almeno una parte di quei soldi a cui si sta dando la caccia. La tabella, che qui riproduciamo, contiene le partite dare e avere del conto ufficiale del Carroccio, e mostra che per le mani di Maroni passarono almeno 13 di quei 46 milioni mancanti, e che tra il 2013 e il 2014 Salvini ne incassò oltre 800 mila.
Eppure il caporione fascioleghista e i suoi accoliti continuano a scaricare ogni responsabilità sulla gestione Bossi e a sostenere che quei soldi non ci sono più perché sono stati spesi per l'attività politica: "Tra il 2010 e il 2016 posso dire che 24 milioni sono andati spesi per le risorse umane, e altri 20 milioni sono stati impiegati per costi connessi a tornate elettorali. Quindi non sono scomparsi", ha dichiarato il tesoriere della Lega, Giulio Centemero. E Calderoli, nel ribadire che "non c'è un solo euro che non sia stato speso in politica", ha avuto persino la faccia tosta di dichiarare che "noi siamo parte lesa", cioè che "non deve risponderne la Lega, ma gli interessati". Ma allora perché Salvini ha ritirato la costituzione di parte civile contro Bossi e Belsito? Inutile dire che i due si guardano bene dallo spiegarlo.
Alla notizia delle motivazioni della Cassazione che dispone il sequestro di tutte le entrate della Lega, il ducetto padano è andato su tutte le furie, e seguendo il copione già recitato centinaia di volte dal suo amico Berlusconi si è scagliato come un panzer contro la magistratura accusandola di voler "mettere fuori causa la Lega per via giudiziaria" e di "attentare alla democrazia con una sentenza politica". Intervenendo la sera stessa alla trasmissione In Onda su La7, ha ribadito che "quei 49 milioni di euro non ci sono, posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto. Siamo l'unico partito che si vuol mettere fuori legge per via giudiziaria".

Tentativo di coinvolgere Mattarella contro i giudici
Non contento, il giorno dopo Salvini ha chiamato in causa lo stesso presidente della Repubblica, annunciando di aver inviato Giorgetti al Quirinale per chiedere un incontro con Mattarella e fargli presente il grave attacco subito dal suo partito da parte di "giudici politicizzati". Evidente in ciò il tentativo del caporione fascioleghista di creare un conflitto istituzionale tra il capo dello Stato e la magistratura, servendosi della sua doppia veste di segretario della Lega e ministro dell'Interno, anzi di capo del governo di fatto, per ricattare Mattarella, e farsene scudo contro i giudici anche in quanto presidente del Consiglio superiore della magistratura.
"Sono sicuro che l'incontro con Mattarella ci sarà. A Mattarella voglio chiedere un consiglio, lui è garante dei diritti costituzionali, non miei ma degli italiani: ci sono milioni di italiani che hanno votato Lega e sono danneggiati da questa strana sentenza", dichiarava infatti bellicoso Salvini al ricevimento dell'Ambasciatore americano a Villa Taverna per la festa dell'indipendenza. Questo violento attacco alla magistratura col tentativo di tirare dentro anche il Quirinale, provocava allarme e sconcerto tra i magistrati, tanto che perfino il vicepresidente del Csm, Legnini, esprimeva "seria preoccupazione" per le parole e i toni "non accettabili" del capo della Lega.
Invece il ministro Cinquestelle alla Giustizia, Alfonso Bonafede, si è limitato a commentare, solo ore dopo le reazioni dei magistrati, che "le sentenze vanno rispettate, senza evocare scenari che sembrano appartenere più alla seconda repubblica". Quanto a Di Maio, che prima si riempiva la bocca di "onestà" e "legalità", ora non si limita nemmeno a questo minimo sindacale, ma si è subito schierato con decisione col suo partner di governo, dicendo di "non sentire il minimo imbarazzo a credere a Salvini" quando dice di non sapere niente dei soldi: ergo, non crede alle sentenze della magistratura. "Non ho niente da dire perché la vicenda riguarda i tempi di Bossi. Se i soldi ci sono la magistratura può andare a prenderseli", ha dichiarato infatti il vicepremier a Sky, aggiungendo che "chiedere un incontro al presidente della Repubblica è legittimo".

Regalata una mezza vittoria a Salvini
Mattarella, che in quei giorni era in visita di Stato in Lituania, ha fatto rispondere con una nota piuttosto fredda di essere "all'estero e all'oscuro di ogni contatto", e che "avrebbe valutato al suo ritorno". Nel frattempo è scattato un altro proditorio attacco della Lega ai magistrati, quando il sottosegretario alla giustizia, l'ex berlusconiano ora leghista, Jacopo Morrone, ha dichiarato intervenendo ad un convegno di giovani magistrati, di augurarsi che in magistratura "siano sempre meno presenti le correnti, in particolare quelle di sinistra". Sottolineando per di più di aver parlato così "per un nervo scoperto che abbiamo come Lega". E malgrado le immediate e durissime reazioni degli stessi presenti, del Csm, dell'Anm e di tanti singoli magistrati, il ministro Bonafede si è coperto dietro le mezze scuse di Morrone per aggiungere però che "l'associazionismo dei magistrati è cosa buona, se non porta alle storture del correntismo". E anche Di Maio, per nulla imbarazzato dall'ennesima sortita leghista, ha ribadito che "le correnti nella magistratura vanno superate".
In questo clima di tensione Mattarella ha fatto capire a Giorgetti che l'eventuale incontro non avrebbe potuto assolutamente riguardare la sentenza della Cassazione sul sequestro dei soldi della Lega, e così Salvini ha dovuto ripiegare su una motivazione "istituzionale": sarebbe andato da Mattarella "per spiegargli le tante cose fatte nel mio primo mese da ministro, per mantenere le promesse, difendere i confini, proteggere gli italiani e riportare ordine, rispetto e tranquillità in Italia". L'incontro si è poi tenuto al Quirinale il 9 luglio, e si dice che Salvini abbia tentato lo stesso di parlare dei soldi della Lega, ma Mattarella l'abbia zittito subito con un secco "ne prendo atto" che non ammetteva repliche.
Sta di fatto però che avendogli concesso l'udienza ha ceduto ancora una volta alla protervia del ducetto fascioleghista, regalandogli di fatto una mezza vittoria, anche se non piena. Avrebbe infatti potuto benissimo rifiutarsi di incontrarlo e fare fino in fondo così il suo dovere di garante della Costituzione e dell'indipendenza della magistratura.

11 luglio 2018