Come emerge da una ricerca commissionata dalla Fiom-Cgil
Nelle fabbriche di Marchionne peggiorate le condizioni di lavoro
Pesano soprattutto i carichi di lavoro

 
Sono passati ormai otto anni dalla svolta contrattuale del “nuovo Valletta” Marchionne, quando assunse un contratto di lavoro specifico per le sue aziende, uscendo dalla contrattazione nazionale di categoria e dalla stessa Confindustria. Allora, col referendum di Pomigliano quando i lavoratori furono chiamati a votare questo colpo di mano di stampo fascista, Fiat bandì la Fiom dalle sue fabbriche, e oggi la stessa Fiom col supporto della Cgil ha incaricato la Fondazione Sabattini e quella Di Vittorio di realizzare un’inchiesta sul lavoro in FCA. Dall’ottobre 2017 a marzo scorso, dunque, 15 ricercatori di varie università hanno sottoposto un questionario di 65 domande a 9.668 lavoratori del gruppo FCA, pari al 20% degli operai dei 54 stabilimenti, ad al 15,6 per cento dei lavoratori complessivi.
L’avallo scientifico al test, lo fornisce direttamente Davide Bubbico, ricercatore dell’università di Salerno e coordinatore dell’inchiesta: “gli iscritti Fiom sono solo il 21,6 per cento, il 25 per cento sono iscritti ad altre organizzazioni mentre il restante non è sindacalizzato”. Una situazione già di per sé difficile, e come già accennato causa diretta del vile ricatto di Marchionne che nel 2010 sadicamente chiese ai lavoratori se accettate il taglio dei diritti o perdere il lavoro.
 

Le dirette conseguenze del referendum FIAT
Nonostante la complicità della CISL e della UIL che capitolarono immediatamente, a strettissima maggioranza i dipendenti di Pomigliano e Mirafiori accettarono, a differenza della Fiom e dei lavoratori iscritti alla CGIL che sostenne il NO. Inutile sottolineare i gravi danni all’unità dei lavoratori e alla sindacalizzazione dell’azienda di quegli anni. Nell’indagine, il primo dato che salta agli occhi è il peggioramento delle condizioni di lavoro riscontrato nel 59,7 per cento degli intervistati; una percentuale che sale addirittura all’80 per coloro che lavorano in catena di montaggio, percentuale parimenti più alta negli stabilimenti dove maggiore è stata la crescita produttiva in questi anni, come ad esempio Melfi.
 

Meno diritti e salari più bassi nel “Modello Marchionne”
Già questo dato smentisce la propaganda aziendale incentrata sul cosiddetto “modello Marchionne”, il World Class Manufactoring, sistema basato sulla creazione di squadre di lavoro per ridurre gli sprechi e migliorare la qualità della produzione; un modello dunque, sulla carta, universalmente applicato in FCA, proprio perché ne rappresenta il fulcro, il cuore dell’organizzazione produttiva del fascista in maglioncino. Se però non bastasse il primo dato a dimostrare che c’è qualcosa che non quadra nei suoi proclami, solo l’80 per cento dei dipendenti conosce il Wcm e di questi quasi la metà (41,9%) sostiene che venga applicato solo in previsione dei controlli esterni. Unitamente, solo il 22 per cento dei lavoratori partecipa a riunioni di team e nemmeno la metà delle domande o richieste di miglioramenti hanno ottenuto risposta dai dirigenti. Oltre a questa parte, diremmo più gestionale e basata su vane promesse partecipative che occorrerebbe sempre osteggiare, oggi anche la loro condizione salariale è peggiore dei metalmeccanici che hanno il contratto nazionale; ben il 77,3 per cento degli intervistati ritiene il salario insoddisfacente, percentuale che sale all’82,8 per quanto riguarda il bonus-premio annuale. A sottolineare il clima di terrore che pervade gli stabilimenti FCA, è anche la gravissima situazione dei lavoratori a Ridotta Capacità Lavorativa (Rcl), poiché sono ben il 28,5% del totale ma il 6,3% di essi ammette di non aver dichiarato problemi fisici per paura di essere messo in cassa integrazione.
 

CGIL e Fiom sulla stessa lunghezza d’onda
Dopo le divisioni via via riassorbite in questi ultimi anni grazie all’appiattimento della Fiom sulle posizioni del gruppo dirigente della CGIL, all’indomani della pubblicazione dei risultati di questo studio le parole di Susanna Camusso e di Francesca Re David, sono sulla stessa lunghezza d’onda. “Questa ricerca ci dice che la situazione in Fca è molto diversa da come è stata fatta passare. Contratti di solidarietà e cassa integrazione sono in crescita mentre i risultati delle elezioni della Rls che premiano la Fiom - primo sindacato con oltre il 30 per cento in tutti gli stabilimenti - confermano che la strategia di isolare la Cgil è stata sconfitta”. “Abbiamo usato questa inchiesta per costruire la nostra piattaforma per il rinnovo del contratto che discuteremo con i nostri delegati il 7 luglio”, le fa eco Re David, “Una piattaforma dei lavoratori e non della Fiom, puntando ad un rinnovo unitario come ci è riuscito per il contratto nazionale. Anche Fim e Uilm sono consce del disagio, affrontiamolo assieme, sfidando l’azienda a migliorare le condizioni di lavoro”. Ora, premessa una ovvia necessità di cambiamento dell’atteggiamento sindacale, in particolare della Cgil, difficile da ipotizzarsi, ecco smascherato l’inganno del cosiddetto “debito zero”, sbandierato da Marchionne come miracolo ed amplificato da tutti i media, nessuno escluso, con la compiacenza dei governi del nostro Paese, in particolare di Renzi che ne aveva elevata la “statura” al pari di pioniere dei rapporti di lavoro e del profitto aziendale da prendere a riferimento. Oggi, al netto di fantasiose novelle e ingenti profitti dei capitalisti, a noi rimane solo la dura realtà quotidiana dei 76.822 dipendenti italiani e dei 50.170 operai di Fca, Cnhi e Magneti Marelli; l’unica conferma che ci dona questa vicenda ancora ben lontana dal concludersi positivamente, è che laddove i profitti aumentano, i salari, le condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori sono destinare, inesorabilmente, a peggiorare. Serve l’unità dei lavoratori, nel merito delle questioni poiché sappiano dileguarsi dall’opportunismo e dal pessimismo sindacale, trovando la forza necessaria a riconquistare tutto ciò che è stato perduto. No al modello Marchionne né ora e né mai! Battiamoci dentro e fuori del sindacato per far rimanere il contratto collettivo nazionale di lavoro centrale in ogni categoria.

11 luglio 2018