Si consolida la spartizione della Siria
Usa e Turchia assumono il controllo di Manbij
Scaricate da Washington le YPG curde costrette a ritirarsi dalla città. Assad con l'aiuto della Russia caccia gli oppositori nel sud e i sionisti colpiscono coi raid aerei

 
Invaso e occupato il cantone curdo di Afrin, col consenso di Mosca, il fascista turco Erdogan aveva subito dichiarato che il bersaglio successivo sarebbe stata la zona della città di Manbij, ripresa allo Stato islamico dalle Forze Democratiche Siriane (Fds) e mantenuta grazie all'aiuto dei marines americani. Manbij si trova tra il cantone curdo di Afrin e gli altri della Rojava, lungo il confine siriano con la Turchia, una regione che Erdogan intende “ripulire” dai terroristi, ossia le formazioni curde.
Tre mesi fa i rapporti tra Ankara e Washington erano ancora complicati, seppur in via di distensione, e la furia dell'invasione turca minaccava di abbattersi sul presidio curdo e americano. Erdogan resta agganciato a Putin ma ha riaperto alcuni canali con Trump e nel tempo è maturata la loro soluzione per Manbij; il ministro degli Esteri turco Cavusoglu e il segretario di Stato Usa Pompeo raggiungevano il 4 giugno scorso un accordo di cui non hanno fornito dettagli ma che intanto prevede la rimozione delle forze curde, scaricate da Washington, e la loro sostituzione con forze militari turche e statunitensi.
L’obiettivo di questa intesa, sosteneva Cavusoglu in conferenza stampa, “è la rimozione da Manbij di tutte le organizzazioni terroristiche e una stabilità permanente”, minacciando l'intervento militare congiunto di Turchia e Usa entro 30 giorni, se necessario per allontanare le formazioni curde.
Erdogan ha messo già due piedi in Siria, a Afrin e nella regione di Manbij, e non intende certo tornare indietro. Nel cantone curdo di Afrin gli occupanti hanno trasferito, secondo la denuncia della resistenza curda, circa 100.000 persone da altre parti della Siria, dai distretti lasciati dalle opposizioni a Assad a fronte delle offensive governative, appoggiate dalle milizie iraniane, libanesi di Hezbollah e dall'aviazione russa, per trasformarlo in un cantone a maggioranza arabo-siriana. Ankara considera già Afrin territorio proprio e lo confermava l'agenzia di stampa turca Anadolu che l'8 luglio rilanciava le dichiarazioni del governatore della confinante provincia turca di Hatay in merito alla volontà degli occupanti di rinnovare e trasformare formalmente in un museo la struttura militare, nota come la “base Atatürk”, che si trova nel centro della regione, presso la città di Ray e utilizzata dal fondatore della Repubblica turca Mustafa Kemal Atatürk durante la prima guerra mondiale.
A fine giugno durante una sua audizione al Senato degli Stati Uniti, il segretario di Stato Mike Pompeo, confermava che con la rielezione di Erdogan Washington e Ankara possono dare avvio a “un dialogo più costruttivo” riguardo in particolare alla spartizione della Siria, ricordando il piano definito col collega Cavusoglu che consentirà ai due paesi di “collaborare per risolvere questioni molto complicate tra i diversi gruppi etnici di Manbij”. E non solo, dato che secondo Cavusoglu, uno schema identico a quello definito con Pompeo per Manbij sarà applicato anche a Raqqa e Kobane. A conferma del disegno della Turchia di schiacciare i curdi e controllare tutta la fascia siriana oltreconfine e il pezzo contiguo nel nord dell'Iraq dove si trovano basi dei curdi del Pkk, già sotto il tiro dell'esercito di Ankara che ha avuto il via libera dal governo di Baghdad e dalla regione autonoma dei curdi iracheni di Barzani.
La Turchia consolida le sue posizioni nel nord della Siria mentre il regime di Bashar Assad, col determinante aiuto degli alleati russi, libanesi e iraniani, consolida il suo controllo nel sud del paese. L'8 luglio Damasco poteva annunciare la presa della città meridionale di Deraa che riportava l'esercito governativo a controllare la frontiera sud con Israele e Giordania, nelle zone dove le formazioni delle opposizioni supportate da Washington e Tel Aviv avrebbero dovuto costruire una zona cuscinetto a protezione del Golan occupato ‎dal 1967 dai sionisti.
L'attenzione degli imperialisti sionisti sulla Siria si concentra in particolare contro la presenza delle milizie filoiraniane, ne parleranno anche Trump e Putin nell'incontro in programma il 15 luglio. Intanto Tel Aviv parla coi raid aerei sulle basi siriane che nell'ultimo mese sono andati dalle regioni centrali di Homs e Damasco a quelle dell'est, nella provincia di Deir Ezzor al confine con l’Iraq dove lo scorso 17 giugno per la prima volta sono rimasti vittime una ventina di miliziani sciiti iracheni. Il governo di Baghdad ha incassato il colpo e fatto finta di nulla.

18 luglio 2018