Quarto rapporto Agromafia e caporalato Flai Cgil
Nelle campagne dominano l'illegalità e lo sfruttamento
Un bracciante su due senza contratto

Basterebbe snocciolare qualche dato contenuto nel “4° Rapporto agromafie e caporalato” dell'Osservatorio Placido Rizzotto per capire come nelle nostre campagne predomini il lavoro irregolare e imperversino le organizzazioni mafiose. I dati che ci fornisce ogni 2 anni l'Osservatorio della Flai (la Federazione dei lavoratori agricoli della Cgil) confermano i numeri allarmanti contenuti nei rapporti precedenti.
Il settore agricolo vede una presenza marcata delle varie mafie che si affianca ad altri comparti tradizionalmente con alta penetrazione malavitosa, come ad esempio l'edilizia. Proprio la crisi del mercato immobiliare ha visto un repentino spostamento dell'attenzione verso l'agroalimentare, che è diventato molto redditizio perché i prodotti italiani, molto richiesti e diversificati, si esportano in tutto il mondo.
Da sempre nel nostro Paese l'economia sommersa e il lavoro illegale hanno avuto un peso notevole, tanto da essere valutata in 208 miliardi di euro, il 12,6% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Solo il lavoro irregolare vale 77 miliardi, ossia il 37,3% del sommerso, mentre la sua incidenza sul lavoro agricolo è del 15,5%. Gli affari generati dal lavoro irregolare e dal caporalato in agricoltura arrivano a quasi 5 miliardi di euro, di cui 1,5 solo di evasione contributiva. Un'altra voce che incide sul mancato gettito fiscale è la contraffazione e l'“italian sounding”, ovvero prodotti copiati all'estero ma che nulla hanno a che fare con il cibo italiano.

La tratta di braccianti
In questa illegalità diffusa hanno buon gioco le mafie che gestiscono la tratta degli esseri umani per il loro sfruttamento, l'intermediazione illecita della manodopera (caporalato), imposizione di forniture all'ingrosso e al dettaglio, infiltrazione nella logistica e nel settore dei servizi alle imprese attraverso il controllo mafioso di numerose cooperative, l'infiltrazione nella gestione dei mercati ortofrutticoli come hanno dimostrato le indagini nelle sedi di Milano e Fondi (Latina), infiltrazione nel settore delle energie rinnovabili legate all'agricoltura.
Ma i capitoli più allarmanti sono forse quelli che riguardano le condizioni dei lavoratori, che nel settore agricolo sono circa 1 milone e centomila. Tra i 400/430.000 sono esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale; di questi più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Inoltre, più di 300.000 lavoratori agricoli, ovvero quasi il 30% del totale, lavorano meno di 50 giornate l’anno. Pur considerando la stagionalità presumibilmente in questo bacino è presente molto lavoro nero. Il tasso di irregolarità dei rapporti di lavoro in agricoltura è pari al 39%.
Il rapporto analizza anche l'incidenza dei migranti in agricoltura, confermando come questi rappresentino una componente molto forte e in continuo e rapido aumento. Nel 2017 erano quasi 300mila ma considerando gli irregolari la stima supera i 400mila, ripartiti equamente tra comunitari ed extracomunitari, tutti accomunati da una condizione di supersfruttamento. Il 16,5% di loro ha un rapporto informale, cioè senza alcun contratto, mentre il 38,7% ha una retribuzione “non sindacale”.
Una buona parte di essi, specie quelli che sono considerati “clandestini” e praticamente invisibili, non hanno nessun accesso all'assistenza sanitaria, nessun diritto ad un alloggio e sono costretti a vivere in disumane baraccopoli ai margini dei nostri centri urbani e nelle campagne. Lo Stato borghese si accorge di loro solo quando si ribellano a queste condizioni di semi-schiavitù, ma solo per farli prendere a manganellate dalla polizia. Nel rapporto si parla anche dei controlli che hanno rivelato irregolarità in oltre il 50% delle ispezioni. Ma i controlli sono solo una goccia nel mare e, a causa dei tagli del governo, rispetto all'anno precedente sono calati del 10%.

Migranti trattati come bestie
Oltre all'irregolarità diffusa il rapporto analizza anche le situazioni di maggiore sfruttamento dei lavoratori senza nessuna tutela e diritto e diffonde dati drammatici. Paga media tra i 20 e i 30 euro al giorno per un orario tra le 8 e le 12 ore, lavoro a cottimo per un compenso di 3/4 euro per un cassone da 375 Kg, salario inferiore di circa il 50% di quanto previsto dai Contratti nazionali e provinciali (che si usano in agricoltura, con la sigla CPL). Nei casi più gravi di sfruttamento alcuni lavoratori migranti percepivano un salario di 1 euro l’ora, le donne sotto caporale percepiscono un salario inferiore del 20% rispetto ai loro colleghi.
E qui si apre il capitolo del caporalato. Al caporale va pagato il trasporto in base alla distanza, in media 5 euro, poi ci sono i beni di prima necessità, 1,5 euro per l'acqua, 3 euro per un panino, che vanno ad intaccare la già misera paga giornaliera. Un fenomeno questo diffuso in tutta Italia, da Nord a Sud come dimostra la distribuzione territoriale degli arresti e denunce per caporalato che vede in testa la Sicilia con il 15%, a seguire la Toscana con l’11%, Puglia ed Emilia-Romagna con il 10%.
L'Osservatorio Placido Rizzotto approfondisce anche il tipo di caporalato definendolo al 60% (forse con stima troppo ottimistica) “soft”, in ogni caso irregolare dove i lavoratori percepiscono mediamente il 25% in meno del dovuto ma formato da squadre di manovali che si rivolgono regolarmente alle stesse aziende e dove non emergono comportamenti schiavistici del caporale, dove si contrattano le condizioni. Il 30% viene invece considerato caporalato “violento e dirigistico”, dove non si accetta nessun tipo di contraddizione e dove vengono prelevate consistenti quote ai braccianti per i beni di prima necessità e perfino per l'alloggio.
Il restante 10% dei caporali sono collusi con le organizzazioni criminali o affiliati essi stessi alla mafia, ma questo non ferma le aziende, anche quelle grandi, che nel 25% dei casi ricorre a questa forma odiosa, e illegale, di intermediazione di mano d'opera sempre più organizzata. Non si deve pensare solo al gretto proprietario terriero che sposta i lavoratori su furgoncini sgangherati. Il rapporto della Flai-Cgil ci parla di “capacità di partnership internazionali, nel Nord Italia hanno un sistema sempre più strutturato, con appalti, lavori di somministrazione, cooperative spurie (cioè fittizie)”.
In sintesi possiamo dire che ci viene fornito un quadro allarmante: nelle campagne del cosiddetto “Bel Paese” dominano l'illegalità e lo sfruttamento, un bracciante su due è senza contratto, praticamente nessuno dei “regolari” percepisce la paga contrattuale, masse di lavoratori italiani e immigrati subiscono vessazioni di ogni genere. I migranti, respinti, offesi e perseguitati dal nero governo Salvini-Di Maio sono invece “accolti” e sfruttati per rendere più competitive le aziende agricole e far guadagnare loro lauti profitti.
Ma la lotta di classe e per la difesa dei propri diritti e della propria dignità non si può fermare e sempre più spesso si sviluppano le lotte tra i braccianti, nativi o migranti che siano, che hanno stracciato il velo su realtà di gravissimo sfruttamento che si è cercato di tenere nascoste, a volte con la connivenza di alcuni sindacati, anche se in verità sono conosciute da tutti.

25 luglio 2018