“Il Jobs Act ha fatto un macello”, denuncia Daita della Cgil
Come i padroni aggirano l'obbligo di assumere i disabili

 
Nina Daita, responsabile delle Politiche della disabilità della Cgil nazionale, ha recentemente denunciato la prassi della sistematica elusione, da parte delle imprese, delle norme poste a salvaguardia delle assunzioni delle persone disabili da parte delle imprese, e la situazione, a suo avviso, non è migliorata con il tempo, ma è addirittura gravemente peggiorata con le riforme renziane degli ultimi anni, tanto da affermare che "il Jobs Act ha fatto un macello".
La legge n. 68 del 1999 infatti prevede per le imprese l'obbligo di assunzione di un lavoratore con disabilità riconosciuta superiore al 46% se i dipendenti sono da 15 a 35, di due lavoratori se i dipendenti sono tra i 36 e i 50 e del 7% dell'intera forza lavoro se l'azienda occupa più di 50 dipendenti.
Se inadempienti, le aziende che non assumono il numero previsto di disabili che ne facciano richiesta tramite il collocamento obbligatorio, si espongono a sanzioni non irrilevanti, in quanto, ai sensi della legge n. 68 del 1999, per ogni disabile non assunto l'azienda deve pagare 143,20 euro al giorno.
Il decreto legislativo n. 151 del 2015, emanato nell'ambito del Jobs Act renziano, ha però stabilito, contrariamente a quanto prevedeva la previgente legislazione per cui il 60% dei lavoratori disabili era a chiamata nominativa mentre il rimanente il restante 40% era gestito dal collocamento obbligatorio, che le aziende hanno sempre e senza eccezioni la possibilità di procedere soltanto con l’assunzione nominativa del lavoratore riservatario.
Senza la garanzia costituita dal controllo pubblico sul collocamento obbligatorio ora "le aziende scelgono i 'più sani' tra i 'meno sani'", denuncia la Daita, perché le aziende hanno iniziato sistematicamente a escludere proprio i lavoratori che hanno disabilità maggiori a vantaggio di quelli che hanno disabilità minori, un fatto che elude in modo plateale lo scopo stesso della legge n. 68 del 1999, emanata proprio per tutelare i lavoratori più deboli.
Molte imprese inoltre preferiscono rischiare di pagare le sanzioni previste dalla legge, perché "i controlli - prosegue Nina Daita - sono da sempre zero assoluto, per mancanza di personale", e così tra la strafottenza delle imprese private, per le quali ogni lavoratore è buono purché crei il massimo profitto, e la latitanza dei controlli pubblici le uniche persone che ci rimettono sono quelle disabili, costrette dal tanto decantato Jobs Act renziano oggi a sottostare a ulteriori arbitri del capitalista, domani forse a mendicare, come accadeva un tempo nelle strade delle città immortalate dai pittori degli scorsi secoli, i cui quadri di soggetto urbano sono pieni di paralitici e ciechi che chiedono l'elemosina per sopravvivere.
 

25 luglio 2018