In Nicaragua dopo più di tre mesi di proteste
Il traditore della “rivoluzione” Ortega continua a massacrare le masse in rivolta

 
In una intervista rilasciata il 23 luglio all'emittente latinoamericana teleSUR il presidente nicaraguense Daniel Ortega sosteneva che il governo di Managua aveva sconfitto il golpe, ossia il caos creato nel paese dalle proteste popolari segnate da almeno 400 vittime, oltre un migliaio i feriti, diverse centinaia gli arrestati. L'anziano leader del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale affermava che c'era la mano degli Usa dietro le proteste violente: “questa è la radice del problema. Gli Stati Uniti dovrebbero rispettare la sovranità del Nicaragua”. Invece “le agenzie degli Stati Uniti, stanno finanziando questi giovani” protagonisti delle proteste come gruppi di paramilitari venezuelani dell'opposizione a Maduro, protagonisti di rapimenti e torture a danno dei sandinisti, che sono stati ingaggiati per alimentare la spirale di violenza, come a Caracas, e per realizzare il golpe in Nicaragua.
Ricordiamo comunque che gli scontri e i massacri a Managua e in altre parti del paese hanno preso il via dopo che lo scorso 18 aprile era entrata in vigore la “riforma” del sistema previdenziale nazionale, ufficialmente per far fronte alla crisi finanziaria dell’ente pensionistico del paese. Una riforma liberista e liberticida che prevedeva una tassa del 5% sulle pensioni ed un forte aumento dei contributi per i lavoratori. Anche se la manovra governativa è stata ritirata il 22 aprile a seguito delle rivolte, scontri e barricate si sono susseguiti in tutte le principali città del paese. Le masse nicaraguensi, con alla testa gli studenti universitari, hanno risposto fermamente alle uccisioni dei loro giovani compagni e alla repressione governativa scatenata contro ogni richiesta di giustizia. Secondo un comunicato della polizia nazionale, infatti, tra le vittime ci sarebbero anche elementi delle forze di sicurezza, attaccati da quelle che vengono definite “bande delinquenzali”.
Che nel paese centroamericano operi da anni una rete mediatica lautamente finanziata dagli USA e indirizzata principalmente ai giovani delle superiori e universitari per scatenare un’offensiva senza precedenti sulle reti sociali quando se ne fosse presentata l’occasione per destabilizzare il paese e ricondurlo nel “giardino di casa” dell’imperialismo americano, è risaputo e accertato. Così come nelle manifestazioni si possono essere infiltrati elementi di destra armati allo scopo di inasprire gli scontri e provocare il caos, ma nulla toglie al fatto che il governo di Ortega ha offerto l’occasione su un piatto d’argento, prima con la “riforma” pensionistica approvata unilateralmente, poi facendo attaccare da polizia e forze speciali dell’esercito i primi gruppi di manifestanti, oscurando i canali televisivi che mostravano le violenze e infine attaccando gli studenti universitari, storicamente un bacino del Fronte sandinista, che davano vita ad una protesta genuina, spontanea e autoconvocata.
Una crisi frutto della politica autoritaria e antipopolare del traditore della “rivoluzione”, ritornato al potere da undici anni, alla fine del 2006, dopo il periodo del governo della controrivoluzione. L’illusione sandinista, che aveva portato in Nicaragua infrastrutture, diminuzione della povertà, stabilità sociale e sicurezza, sanità ed educazione gratuite, copertura elettrica e acqua potabile, si è dissolta soprattutto negli ultimi anni, con la deriva autoritaria e caudillista di Ortega, l’ex “guerrigliero” che ha dato vita ad un regime personale e familiare, selezionando i suoi maggiori esponenti dalla sua cerchia ristretta borghese fino al midollo, nel 2016 ha addirittura nominato come vicepresidente della Repubblica la moglie Rosario Murillo, allontanandosi irrimediabilmente da quelle masse popolari, lavoratori, studenti, movimenti sociali progressisti e intellettuali di sinistra, che lo avevano appoggiato nella lotta antimperialista che portò nel 1979 alla destituzione del dittatore fascista Somoza.
Come tra l'altro denunciava il sacerdote e poeta nicaraguense Ernesto Cardenal, tra i massimi esponenti della cosiddetta “teologia della liberazione” e della rivoluzione sandinista, ma tramite una lettera del 21 giugno indirizzata formalmente all’ex-presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica. “Il mondo deve sapere e pronunciarsi su ciò che sta avvenendo in Nicaragua: una vera crisi dei diritti umani e terrorismo di stato”, sosteneva Cardenal nella lettera firmata assieme al Coordinamento Universitario per la Democrazia e la Giustizia del Nicaragua nelle cui fila si sono avuti i primi morti. “Ortega e Murillo – denunciava Cardenal - non possono continuare a trovare legittimità nei movimenti di sinistra che con i loro atti senza scrupoli hanno tradito. Gli eroi e i martiri della rivoluzione sandinista non meritano che la loro memoria sia macchiata dagli atti genocidi di un dittatore che li ha traditi. Le vittime di Ortega e Murillo meritano giustizia”.
Invece di fronte al malessere del popolo del Nicaragua esploso in tutta la sua drammaticità, il traditore della “rivoluzione” Ortega intende gestire la situazione col solito balletto degli ultimi tempi, invitando gli imprenditori e la Conferenza episcopale al “dialogo nazionale”, mentre le masse in rivolta chiedono giustizia, per i morti e per le loro condizioni di vita. Ortega deve dimettersi. Starà al popolo del Nicaragua decidere del proprio destino.

31 luglio 2018