Trattati come animali
Raggi e Salvini sgomberano il campo rom “River”
300 persone, tra cui donne e bambini, finiscono in mezzo alla strada. Di Maio: “Azione legale e pacifica”

Lo scorso 26 luglio, con un giorno di anticipo rispetto a quanto disposto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che, rispondendo al ricorso di tre residenti, aveva chiesto al governo italiano di non procedere fino al giorno successivo, il Comune di Roma ha sgomberato il campo Roma “River“ di Roma, con il pieno supporto del ministro dell'Interno Salvini, il quale ha fornito uomini e mezzi.
Oltre 300 persone - tra cui donne, bambini, anziani e persone malate - sono stati allontanati dall'area, che si trova nella zona nord della capitale, e sia la polizia locale che la polizia di Stato, intervenuti con decine di pattuglie, non si sono fatti scrupoli di usare maniere forti come spintoni e spray urticante per buttare fuori dal campo gli abitanti, quasi tutti profughi provenienti dalla Bosnia Erzegovina, che dovettero scappare dalla pulizia etnica degli anni Novanta e che vivevano in quel sito dal 2005.
Subito dopo lo sgombero le abitazioni di decine di famiglie sono state letteralmente demolite e oltre 300 persone, compresi donne e bambini, sono finite letteralmente per la strada, alcune nelle vicinanze del campo e altre sparse in altre zone di Roma, e il tutto è avvenuto senza che il Comune di Roma retto dalla Raggi provvedesse a trovare una qualche positiva sistemazione ai 300 rom. Altri politicanti borghesi, invece, hanno espresso pieno compiacimento per quanto è accaduto: infatti il ducetto leghista Salvini ha affermato che questo è un passo avanti verso “legalità, ordine e rispetto “, mentre l'altro ducetto pentastellato Di Maio ha affermato che si è trattato di una “azione legale e pacifica
Il Comune di Roma aveva proposto alle famiglie rom di dividersi, separando le donne e i bambini, ai quali il Campidoglio aveva offerto una sistemazione in una struttura di accoglienza, dagli uomini, ai quali peraltro non restava che restare per strada o accamparsi da un'altra parte. Ma quasi nessuna delle famiglie rom ha accettato di dividersi, e sono quindi finiti letteralmente in mezzo alla strada, trattati peggio degli animali dalle istituzioni.
A Roma il problema dell'emergenza abitativa delle minoranze rom e sinti è assai grave: infatti su circa 26.000 persone, appartenenti a questi gruppi etnici, che vivono in Italia ben 6.900, ossia il 27% del totale nazionale, abitano nella capitale. Circa 4.400 di essi vivono in 17 insediamenti ufficiali concessi dal Campidoglio, mentre i restanti 1.500 abitano in 300 campi abusivi, tra i quali era anche il “River “. Anche se gli insediamenti ufficiali non brillano certo per i servizi forniti dal Comune, il problema più grave è rappresentato dai cosiddetti campi abusivi, caratterizzati da abitazioni precarie e spesso fatiscenti, come roulotte dismesse e arrugginite, tende, baracche costruite con lamiere o legno, all’interno delle quali è spesso assente l’acqua corrente, il riscaldamento una rete idrica, fognaria e di illuminazione.
È una situazione insostenibile, che governo e amministrazioni locali lasciano incancrenire per alimentare una guerra tra poveri.
E a chi, come Salvini, sostiene che tali minoranze siano per loro natura e cultura inclini alla delinquenza, bisogna rispondere che è semmai la condizione di degrado e di emarginazione, non certo voluta da loro ma voluta da questa politica razzista a costringerli a vivere spesso di espedienti per poter solo sopravvivere, esattamente come il sottoproletariato di Londra e di Parigi dell'Ottocento descritto rispettivamente dai romanzi di Charles Dickens e di Victor Hugo, per non parlare del saggio La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels, laddove a vivere una vita di miseria e di espedienti erano donne, bambini e adolescenti inglesi e francesi, che vivevano in due tra le più moderne e avanzate città del mondo.
È interessante rileggere l'articolo, pubblicato a p. 6 de Il Bolscevico n. 22 del 4 giugno 2015, intitolato “Come l'Urss di Lenin e Stalin si prodigava per l'integrazione e l'emancipazione delle popolazioni di lingua romané “, per ricordare che nell'URSS già alla fine degli anni Trenta le popolazioni rom, dopo un processo di integrazione e di contemporanea valorizzazione culturale, fornivano alla società operai specializzati, dirigenti di cooperative agricole, medici e ingegneri, e lo Stato sovietico valorizzò la loro cultura costruendo a Mosca il Teatro Romen, tuttora esistente, il cui primo direttore fu Ivan Ivanovic Rom-Lebedev, artista e attivista bolscevico. Rappresentanti delle varie culture romané sedettero per decenni nel Soviet delle Nazionalità. Anche gli altri Paesi socialisti dell'Europa orientale avrebbero scelto con successo tale via vincente per ciò che riguarda sia l'integrazione sia la preservazione della peculiare cultura nazionale di tali minoranze.
Ovviamente il confronto con quanto accade nei sistemi capitalisti, e soprattutto in Italia, è inutile, e lo lasciamo alla riflessione dei lettori.
 
 
 

26 settembre 2018